«Non vuole capirmi,» disse Crawford. «Proviamo con un’analogia. Ritorniamo ai tempi in cui i Cro-Magnon si avventurarono nel territorio degli uomini di Neanderthal…»
«Non mi faccia un’analogia,» obiettò Vickers, «Mi dica che cos’ha in testa. Mi dica che cosa vuole da me, e chi mi crede, esattamente, e quali sono i suoi piani.»
«Non mi piace la situazione,» disse Crawford. «Non mi piace la piega che sta assumendo.»
«Lei dimentica che io non so quale sia la situazione.»
«È quanto cercavo di dirle con la mia analogia. Lei è il Cro-Magnon. Ha l’arco e le frecce e la lancia. Io sono un uomo di Neanderthal. Possiedo soltanto una rozza clava. Lei ha il coltello di pietra levigata: io ho un pezzo di selce scheggiata, raccolto nel letto di un fiume. Lei ha indumenti confezionati di pelli, e io non ho altro che il mio pelo.»
«Se lo dice lei…» disse Vickers.
«Non mi sembra il caso di fare dello spirito,» fece Crawford. «Non sono molto sicuro neppure io dell’analogia. Non sono esperto in queste cose. Forse attribuisco troppi privilegi ai Cro-Magnon, e do all’uomo di Neanderthal meno di quanto avesse in realtà. Ma questo non importa.»
«Capisco,» disse Vickers. «E dove andiamo a finire?»
«Gli uomini di Neanderthal si difesero,» disse Crawford. «E cosa ne fu di loro?»
«Si estinsero.»
«Possono essere morti per molte ragioni, non solo a causa della lancia e delle frecce. Forse non potevano competere con una razza migliore, per assicurarsi il cibo. Forse vennero estromessi dai loro territori di caccia. Forse vennero scacciati e morirono di fame. O forse morirono di vergogna… per la certezza di essere superati, di non essere buoni a nulla, di essere, in confronto ai nuovi venuti, poco più che bestie.»
«Non credo,» fece asciutto Vickers, «che un uomo di Neanderthal potesse farsi venire un forte complesso d’inferiorità.»
«Può darsi che l’ipotesi non sia calzante, nei confronti dell’uomo di Neanderthal. Ma lo è nei nostri confronti.»
«Lei sta cercando di farmi capire quanto è profonda la spaccatura.»
«Per l’appunto,» rispose Crawford. «Non può rendersi conto dell’immensità dell’odio, del margine d’intelligenza e di abilità. E non può neppure capire fino a qual punto siamo disperati.
«Lei vuole sapere chi sono questi disperati? Glielo dirò io, chi sono. Sono gli uomini di successo, gli uomini brillanti, gli industriali, i banchieri, gli affaristi, i professionisti che hanno la sicurezza e posizioni importanti, che si muovono negli ambienti sociali privilegiati della nostra cultura.
«Non avrebbero più le loro posizioni, se prendessero il sopravvento quelli come lei. Sarebbero come gli uomini di Neanderthal in confronto ai Cro-Magnon. Sarebbero come i greci di Omero alle prese con la complessa tecnologia di questo nostro secolo. Sopravviverebbero fisicamente, è naturale. Ma sarebbero aborigeni. I loro valori verrebbero travolti, e tali valori, costruiti così faticosamente, sono i soli che consentano loro di vivere.»
Vickers scosse il capo:
«Non scherziamo, Crawford. Cerchiamo di essere sinceri, per un po’. Lei crede, immagino, che io sappia molto più di quanto so in realtà. Suppongo che dovrei fingere di sapere tutto ciò che lei crede che io sappia… fare il furbo e indurla a pensare che sono al corrente di tutto, parlare per enigmi, facendo il grand’uomo e impegnandomi in una brillante schermaglia dialettica con lei, per farle scoprire le sue carte e informarmi di tutto a sue spese. Ma, non so perché, non me la sento. C’è qualcosa che mi induce a mettere le cose in chiaro subito, con lei, senza perdere del tempo a giocare.»
«So benissimo che lei non sa troppo. È per questo che volevo raggiungerla al più presto possibile. Secondo me, lei non è ancora completamente mutante, non è ancora uscito dalla crisalide dell’uomo normale. In lei c’è ancora molto dell’uomo comune. La tendenza però slitta verso la mutazione… oggi più di ieri, domani più di oggi. Ma questa notte, in questa stanza, io e lei possiamo ancora parlarci da uomo a uomo. Per questo sono venuto.»
«Potremmo parlarci comunque.»
«No, non potremmo,» disse Crawford. «Se lei fosse completamente mutante, sentirei profondamente la differenza esistente tra noi. Senza una base di eguaglianza, non vi sarebbe più una base per la discussione. Io dubiterei della solidità della mia logica. Lei mi guarderebbe con un’ombra di disprezzo.»
«Poco prima che lei entrasse,» disse Vickers, «mi stavo quasi convincendo del fatto che tutti questi enigmi, che tutti questi interrogativi, non fossero altro che uno scherzo dell’immaginazione. Pensavo di avere perduto il cervello per una serie di sciocchezze prive di senso…»
«Non si tratta di uno scherzo dell’immaginazione, Vickers. Lei aveva una trottola, rammenta?»
«La trottola non c’è più.»
«C’è ancora,» disse Crawford.
«L’ha presa lei?»
«No,» disse Crawford. «No, non l’ho presa io. Non so dove sia, ma è ancora da qualche parte, in questa stanza. Vede, sono venuto qui prima che lei rientrasse, e ho forzato la serratura. A proposito, è una serratura molto inefficiente.»
«A proposito,» disse Vickers, «è un trucco molto sporco.»
«Lo ammetto. E prima che questa storia sia finita, ricorrerò ad altri trucchi ancora più sporchi. Ma torniamo a quel che le stavo dicendo: ho forzato la serratura, sono entrato qui e ho visto la trottola e mi sono meravigliato, e… be’, ecco…»
«Continui,» disse Vickers.
«Stia a sentire, Vickers. Anch’io avevo una trottola come quella, quand’ero bambino. Tanto, tanto tempo fa. Non ne vedevo più una da molti anni, perciò l’ho presa e l’ho fatta girare, vede. Senza motivo. Be’, sì, può esserci stato un motivo. Forse un tentativo di recuperare, nel posto più impensato e nel momento meno atteso, un attimo perduto dell’infanzia, con la sua serenità e le sue certezze e i suoi candori. E la trottola…»
S’interruppe, e fissò Vickers, come se cercasse di cogliere traccia di un sorriso ironico. Quando riprese a parlare, il suo tono era quasi distratto.
«La trottola è scomparsa.»
Vickers non disse nulla.
«Che cos’era?» disse Crawford. «Che razza di trottola era?»
«Non lo so. Lei la stava guardando quando è scomparsa?»
«No. Mi è sembrato di sentire dei passi, nel corridoio. Ho distolto lo sguardo per un momento. Quando ho guardato di nuovo, la trottola non c’era più.»
«Non avrebbe dovuto sparire,» disse Vickers. «Non doveva sparire, se lei non la guardava.»
«La trottola aveva qualche ragione per essere qui,» disse Crawford. «Lei l’aveva dipinta. Il colore non era ancora completamente asciutto, e su quella tavola c’erano i barattoli di vernice. Lei non si sarebbe dato tanto da fare senza un motivo. A cosa le serviva la trottola, Vickers?»
Vickers rispose:
«Mi serviva per andare nella terra incantata.»
«Che razza d’indovinello è questo?»
Vickers scosse il capo.
«C’ero andato una volta, fisicamente, quando ero bambino.»
«Dieci giorni fa, avrei detto che eravamo pazzi tutti e due, lei per avermi detto una cosa simile, e io… io ancora più pazzo, perché le credo. Adesso, non so. Non so più cosa credere.»
«Può darsi che siamo davvero dei pazzi, o, nella migliore delle ipotesi, che siamo due stupidi.»
«Non siamo né stupidi né pazzi,» disse Crawford. «Siamo uomini tutti e due, diversi e resi più diversi a ogni istante che passa: ma siamo pur sempre umani, e questa è una base di comprensione più che sufficiente.»
«Perché è venuto qui, Crawford? Non mi dica che è solo per parlarmi. Lei è troppo ansioso. Ha messo sotto controllo il telefono di Ann per sapere dov’ero andato. È entrato con lo scasso in camera mia e ha fatto girare la trottola. E aveva una ragione per farlo. Quale?»