«È là, e aspetta che ne abbiamo bisogno. Mondi senza fine, in attesa che abbiamo bisogno di loro. Possiamo continuare a fare i pionieri per generazioni e generazioni. Una terra nuova per ogni generazione, se fosse necessario, una terra vergine e pulita e in attesa… anche se loro dicono che non ne avremo bisogno tanto presto, che qui abbiamo tutto lo spazio che possiamo desiderare.»
«Loro?» domandò Vickers, e la sua voce si fece dura, assumendo un’intonazione di sfida. «Chi sono loro?»
«I mutanti,» rispose l’uomo, tranquillamente. «Quelli di qui vivono nella Grande Casa. Non ha visto la Grande Casa?»
Vickers scosse il capo, guardingo.
«Deve proprio esserle sfuggita, quando è venuto dalla cresta. Un grande edificio di mattoni circondato da una staccionata bianca, e da altre costruzioni che sembrano stalle ma non lo sono.»
«Non sono stalle e lo sembrano?» domandò Vickers.
«No,» disse l’uomo. «In realtà, sono laboratori ed edifici sperimentali, dove si svolgono tutti i lavori di ricerca e moltissime altre cose, e ce n’è uno che è speciale, perché è completamente attrezzato per l’ascolto.»
«Per l’ascolto?» disse Vickers. «E perché dovrebbe esserci qualcosa di speciale in un posto attrezzato per l’ascolto? Mi sembra che si possa ascoltare dappertutto. Io e lei possiamo ascoltare senza bisogno di un posto speciale.»
«Loro ascoltano le stelle,» disse l’uomo.
«Ascoltano…» cominciò Vickers, e poi s’interruppe, perché un’immagine si era presentata davanti agli occhi della sua mente, ed era l’immagine di Flanders, seduto sotto il portico a Cliffwood, mentre si dondolava sulla sedia e diceva che nelle stelle esistevano patrimoni immensi di conoscenza, che vi si poteva attingere, e che forse non c’era bisogno di astronavi per arrivarci e per prenderli, e si poteva tendere la mente, e poi bisognava setacciare e selezionare, e molte cose avrebbero potuto essere inutili o incomprensibili, ma in mezzo ci sarebbero state altre cose utili e indispensabili. E tutte queste cose Flanders le aveva dette mentre le stelle avevano scintillato nel cielo, ma certamente le stelle di quell’altra Terra erano più pulite e più grandi e più nuove, e più vicine.
«Telepatia?» domandò Vickers.
«Infatti,» approvò l’uomo. «Vede, loro non ascoltano realmente le stelle, ma la gente che vive tra le stelle. Non è la cosa più strana che si sia mai sentita… ascoltare le stelle?»
«Sì, penso di sì,» disse Vickers. «È la cosa più strana che si sia mai sentita.»
«Se ne stanno là, e ascoltano, e prendono le idee di quella gente, le idee che vengono dai mondi delle stelle. Non parlano con quelli di lassù… almeno non credo. Si limitano ad ascoltarli. Captano alcune delle cose che essi pensano, e delle cose che sanno, e una parte di quello che ascoltano possono utilizzarlo, e una parte molto più grande non ha proprio senso, o non ha senso adesso, anche se potrà averne in futuro, così almeno dicono. Le potrà sembrare una cosa bizzarra, immagino, ma è la verità, mi creda, signor…»
«Mi chiamo Vickers. Jay Vickers.»
«Be’, lieto di conoscerla, signor Vickers. Io mi chiamo Asa Andrews.»
Si fece avanti, tendendo la mano, e Vickers la prese: la stretta fu salda, sicura.
E in quel momento Vickers comprese dove aveva letto qualcosa di quell’uomo, perché la sua figura gli era stata vagamente familiare, e l’aveva associata ad altre cose che sul momento non era stato capace d’identificare. E capì di non avere identificato la persona, ma quello che la persona significava, presa come simbolo di un’epoca e di un periodo e di qualcosa che nessuno era stato capace d’isolare, ma che esisteva, e molti avevano descritto.
Davanti a lui stava un pioniere americano, l’uomo armato di un lungo fucile, che veniva dalla costa e si avventurava nei territori di caccia del Kentucky. Ne aveva la sicurezza, l’indipendenza, la buona volontà e la pronta intelligenza, la costante fiducia in se stesso. Quel pioniere del quale parlavano tante storie, l’uomo desideroso di nuovi orizzonti e di terre vergini, pronto a credere nelle cose essenziali, pronto ad accettare tutto ciò che era buono e a non chiudere i propri occhi di fronte alla verità, per quanto strana essa potesse sembrare.
E lì, nelle foreste della Terra numero Due, c’era un altro tipo di pioniere, solido e indipendente, un uomo che poteva essere un buon amico.
Il senso d’irritazione scomparve, insieme alla diffidenza.
«I mutanti devono essere quelli che mettono in vendita le lamette per la barba eterne e tutta l’altra roba nei negozi di casalinghi,» disse Vickers.
«Lei capisce tutto al volo,» disse Andrews. «Fra un giorno o due andremo alla Grande Casa, e potrà parlare con loro.»
L’uomo si passò l’arco da una mano all’altra.
«Senta, Vickers, lei non ha lasciato qualcuno laggiù? Magari moglie e figli?»
«Nessuno,» disse Vickers. «Non ho lasciato anima viva.»
«Bene, allora è tutto a posto. Se avesse lasciato qualcuno, saremmo andati subito alla Grande Casa e glielo avremmo detto, e loro avrebbero portato qui sua moglie e i bambini. È l’unico particolare di questo posto. Quando si arriva qui, non si può tornare indietro. Anche se non so proprio perché qualcuno dovrebbe avere voglia di tornare. A quanto ne so io, non c’è ancora stato nessuno che ne abbia avuto voglia.»
Squadrò Vickers dalla testa ai piedi, reprimendo a stento una risata.
«Lei mi sembra piuttosto magro,» disse. «Non deve avere mangiato molto bene, in questi ultimi tempi.»
Anche Vickers sorrise, perché l’uomo non aveva riso di lui, ma con lui, e questo era importante. Disse:
«Non molto bene, infatti. Soltanto pesci e qualche capo di selvaggina che ho trovato. E bacche, molte bacche.»
L’uomo rise apertamente, allora, e scrollò il capo.
«La mia vecchia dovrebbe avere la pentola sul fuoco, ormai. Le riempiremo a dovere lo stomaco, toglieremo di mezzo quel barbone, dirò ai ragazzi di scaldare un po’ d’acqua in modo che lei possa fare il bagno, e poi ci metteremo seduti tranquilli e parleremo un poco. Abbiamo parecchie cose da dirci.»
Senza aspettare una risposta, Andrews s’incamminò, seguito da Vickers, passando tra gli alberi giganteschi.
Giunsero al limitare di un campo, verdeggiante di granturco che cresceva lucido e rigoglioso, muovendosi quieto nella brezza legera.
«Laggiù c’è la mia casa,» disse Andrews, «Là, in fondo alla valletta. Vede il fumo?»
«Ha un bellissimo campo di granturco,» disse Vickers.
«Per il quattro di luglio arriverà già al ginocchio. E laggiù c’è la casa di Jake Smith. Può vederla anche da qui, se guarda bene. E dietro quel dosso ci sono i campi di John Simmons. Ci sono anche degli altri, diversi altri, ma da qui non si possono vedere le loro case.»
Scavalcarono il recinto di filo spinato e attraversarono il campo, passando tra i filari del granturco.
«Qui non è come sulla Terra,» disse Andrews. «Là lavoravo in una fabbrica e abitavo in un posto che sarebbe andato bene appena appena per i porci. Poi la fabbrica ha chiuso, e io sono rimasto senza lavoro e senza quattrini. Ci ho pensato su, e finalmente sono andato da quelli dei carboidrati, e in quel modo ho potuto dare da mangiare alla mia famiglia. Senza di loro non avrei potuto sbarcare il lunario, ma non bastava avere perduto il lavoro e tutto il resto… dopo qualche tempo il padrone di casa ci ha buttati fuori, e ci siamo trovati senza un tetto sopra la testa; e per quanto fosse più simile a un porcile che a una casa, quella che avevamo offriva sempre un tetto, e una famiglia non può starsene senza una casa. Così, visto che quelli dei carboidrati erano stati così gentili con me, ho pensato di rivolgermi di nuovo a loro, per spiegare i miei problemi e raccontare quello che era successo. Non sapevo cosa potevano fare, naturalmente. Se devo essere franco, non speravo neppure che potessero fare qualcosa, perché ci avevano già aiutati più di quanto avrebbero dovuto. Più che altro, ci sono andato perché volevo parlare dei miei problemi con qualcuno che fosse in grado di ascoltare… non volevo assistenza, né aiuti, perché un uomo deve guadagnarsi da vivere con le proprie mani, ma c’è qualcosa che neppure con i milioni si può comprare, e quella è la possibilità di raccontare i propri problemi a qualcuno che ti stia ad ascoltare, e ti possa capire. E, vede, quelli dei carboidrati erano gli uomini ai quali sapevo di potermi rivolgere. E così, io sono stato da loro, e dopo un paio di giorni è venuto uno e ci ha parlato di questo posto… però, naturalmente, non ci ha detto cos’era in realtà.»