Lì, su quella Terra, la cultura pastorale-feudale era soltanto il primo passo. Era un luogo per riposare, per imparare a sistemarsi. Poi le cose sarebbero cambiate, o qualcuno le avrebbe fatte cambiare. Il figlio dell’uomo che l’ospitava in casa sua avrebbe costruito una casa migliore, e probabilmente avrebbe avuto dei robot per lavorare i suoi campi e per procurargli da vivere, mentre lui avrebbe vissuto una vita tranquilla e agiata: e quella gente tranquilla e agiata, con tutte le energie incanalate da una buona leadership, avrebbe potuto creare un paradiso in terra… o su molte terre.
C’era stato quell’articolo sul giornale, che lui aveva letto quella mattina — erano passati solo pochi giorni? — in cui si diceva che le autorità erano preoccupate per le sparizioni di massa. Famiglie intere, diceva l’articolo, sparivano senza ragione apparente e senza avere nulla in comune, tranne la miseria. È naturalmente, erano proprio quelli ridotti in miseria, a venire portati via per primi: coloro che non avevano né casa né lavoro ed erano stanchi, e venivano sistemati su quelle terre che seguivano la Terra cupa e insanguinata abitata dall’Uomo.
Ben presto, sulla Terra cupa e insanguinata sarebbe rimasto poco più di un pugno di persone. Presto, entro mille anni o meno, avrebbe continuato a girare sulla sua orbita tutta sola, con la superficie sbarazzata dalla tribù famelica che l’aveva divorata e sventrata e maltrattata e straziata… e la stessa tribù sarebbe stata insediata su altre terre, sotto una guida migliore, per crearsi una vita migliore.
Molto bello, penso Vickers. Molto bello… eppure c’era la faccenda degli androidi.
Ricomincia dall’inizio, si disse. Comincia con i primi fatti, cerca di comprendere la logica, di scoprire il corso della mutazione.
I mutanti c’erano sempre stati. Se non ci fossero stati, l’Uomo avrebbe continuato ad essere una piccola creatura che si nascondeva nella giungla, e viveva arrampicata sugli alberi, atterrita e furtiva.
C’era stata la mutazione del pollice opponibile. C’erano state le mutazioni nel piccolo cervello, che avevano dato l’astuzia a quell’essere. Qualche mutazione non documentata aveva catturato il fuoco e l’aveva domato. Un’altra mutazione aveva ideato e realizzato la ruota. Un’altra ancora aveva inventato l’arco e le frecce. Ed era continuato così, nel corso dei secoli. Una mutazione dopo l’altra, per costruire la scala su cui s’era arrampicata l’umanità.
Ma l’essere che aveva catturato e domato il fuoco non sapeva di essere un mutante. E neppure l’uomo che aveva ideato la ruota, e neppure il primo arciere.
In tutte le epoche c’erano stati mutanti insospettati ed ignari… uomini che avevano più successo degli altri, grandi uomini d’affari o grandi statisti, grandi scrittori, grandi artisti, uomini tanto superiori al gregge dei loro simili da apparire, in confronto, dei giganti.
Forse non tutti erano mutanti, anche se alcuni dovevano esserlo senz’altro. Ma la loro mutazione era ben poca cosa in confronto a ciò che avrebbero potuto essere, perché erano costretti a limitarsi, a conformarsi al modello sociale ed economico stabilito da una società di non mutanti. Il fatto che fossero riusciti a conformarsi, ad adattarsi ad una misura inferiore alla loro statura normale, e avessero potuto adeguarsi ad uomini inferiori a loro, pur giganteggiando, era già una misura della loro mutazione.
Benché il loro successo fosse stato grande secondo i criteri degli uomini normali, come mutanti erano falliti, perché non si erano mai resi conto di esserlo. Erano stati semplicemente un po’ più intelligenti o più svegli dell’umanità comune.
Ma… e se un uomo si fosse accorto di essere un mutante? Se lo avesse compreso grazie ad una prova inconfutabile… che cosa sarebbe accaduto, allora?
Supponi, per esempio, che un uomo scopra di potersi protendere verso le stelle, di potere captare i pensieri degli esseri pensanti che vivevano sui pianeti orbitanti intorno a quei soli lontani: quella sarebbe stata la prova completa e sufficiente che era un mutante. E se, interrogando le stelle, poteva acquisire alcune informazioni specifiche dal valore economico — per esempio il principio operativo di una macchina senza attrito — allora senza il minimo dubbio avrebbe avuto la certezza di possedere un dono da mutante. E sapendo questo, non avrebbe potuto integrarsi agevolmente nella sua nicchia contemporanea con la stessa facilità di coloro che erano stati mutanti senza sapere di esserlo. Sapendo questo, sarebbe stato preso dalla smania di grandezza, avrebbe sentito la necessità di seguire la propria strada e non quella tracciata dagli altri.
Poteva essere un po’ spaventato dalle cose che aveva appreso ascoltando le stelle, e poteva sentirsi terribilmente solo, e poteva sentire la necessità che altri umani lavorassero sulle informazioni rastrellate da lui nelle profondità dello spazio.
Perciò avrebbe cercato altri mutanti, e l’avrebbe fatto molto abilmente, e avrebbe magari impiegato molto tempo prima di trovarne uno, e avrebbe dovuto avvicinarlo con prudenza, conquistarsi la sua fiducia e finalmente dirgli ciò che aveva in mente. Allora i mutanti sarebbero stati due, alleati, e con l’andare degli anni ne avrebbero cercati e trovati altri. Non tutti, naturalmente, potevano essere in grado di protendere la mente verso le stelle, ma potevano essere capaci di fare altre cose. Alcuni avrebbero compreso l’elettronica, quasi per istinto, più completamente di qualunque uomo normale dopo anni di studi intensivi, e un altro spazio che consentiva l’esistenza di più mondi, uno dopo l’altro, in un magnifico cerchio eterno.
Alcuni sarebbero stati donne, e ai mutanti scoperti si sarebbero aggiunti i mutanti nati, e in vent’anni, più o meno, ci sarebbe stata un’organizzazione mutante di parecchie centinaia di persone che mettevano in comune le loro facoltà.
Grazie alle informazioni attinte dalle stelle, più la capacità mutante di acquisirne altre, avrebbero inventato e messo in vendita oggetti che avrebbero procurato loro il denaro necessario per continuare l’attività. Quanti degli oggetti di uso comune e quotidiano, diffusissimi e prosaici, adoperati attualmente nel mondo, si chiese Vicekrs, erano i prodotti di questa razza mutante?
Ma poi sarebbe venuto il momento in cui l’organizzazione mutante e la sua attività non avrebbero più potuto passare inosservate, e allora i mutanti avrebbero cercato un luogo dove nascondersi: un luogo sicuro dove poter proseguire il loro lavoro. E quale luogo poteva essere più sicuro di una delle altre terre?
Disteso sul materasso di foglie di granoturco, Vickers fissava l’oscurità e si stupiva della scioltezza della propria immaginazione, della sensazione tormentosa che non si trattasse d’immaginazione… ma di certezza. Ma come poteva saperlo?
Forse era un condizionamento della sua mente di androide. Oppure una conoscenza autentica, acquisita in qualche periodo della sua vita che era stato cancellato dalla sua memoria, come era stato cancellato il ricordo di quella volta che era andato, a otto anni, nella terra incantata… una conoscenza che adesso ritornava, come era tornato il ricordo di quella visita.
Oppure era la memoria ancestrale, una memoria autentica trasmessa dal genitore al figlio come veniva trasmesso l’istinto… ma il fatto era che essendo un androide lui non aveva genitori.
Non aveva genitori, non apparteneva a una razza, era una parodia di un uomo, creato per uno scopo che neppure conosceva.
Per quale scopo potevano averlo creato i mutanti? Quale dote possedeva, per essere loro utile? Per quale fine si sarebbero serviti di lui?