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Flanders fece scattare l’accendino e accostò la fiammella. Vickers accese.

«Magnifico,» disse. «Sono rimasto senza sigarette dopo il quarto giorno.»

Rimase seduto a fumare, pensando al sapore delizioso del tabacco, e si sentiva la soddisfazione che gli scorreva nei nervi. Guardò Hezekiah, occupato a versare da bere.

«Questa mattina ho origliato,» disse Vickers. «Ero venuto qui, e Hezekiah mi aveva latto entrare. Ho ascoltato, mentre lei e alcuni altri stavano parlando, al pianterreno.»

«Lo so,» disse Flanders.

«In che misura era una commedia voluta?»

«Tutto quanto,» disse Flanders, tranquillamente. «Ogni singola parola.»

«Volevate farmi sapere che ero un androide.»

«Volevamo che sapesse.»

«Eravate stati voi a mettermi in casa il topo?»

«Dovevamo far qualcosa per scuoterla dalla sua esistenza monotona,» disse Flanders. «E il topo è servito per uno scopo speciale.»

«Mi spiava.»

«Oh, magnificamente. Quel topo era una spia molto efficiente.»

«Quello che più mi brucia,» disse Vickers, «è che lei abbia fatto credere a tutta Cliffwood che io l’avevo ucciso.»

«Dovevamo spingerla a lasciare il paese e a ritornare ai luoghi della sua infanzia.»

«E come sapevate che sarei ritornato ai luoghi della mia infanzia?»

«Amico mio,» disse Flanders, «ha mai pensato alla facoltà dell’intuizione? Non mi riferisco a quel tipo fiacco d’intuizione di cui ci si serve all’ippodromo per indicare il vincitore d’una corsa o che aiuta a prevedere se pioverà o no, o se ci sarà qualche altro piccolo avvenimento… ma la facoltà nella pienezza del suo significato. Si potrebbe dire che è la facoltà istintiva di valutare il risultato di un dato numero di fattori, di conoscere, senza pensare effettivamente, quanto sta per accadere. È un po’ come poter vedere nel futuro.»

«Sì,» disse Vickers, «ci ho pensato. E parecchio, per la verità, in questi ultimi giorni.»

«Ha formulato qualche ipotesi?»

«In una certa misura, ma che cosa c’entra…»

«Forse,» disse Flanders, «lei ha ipotizzato che potrebbe trattarsi di una facoltà umana mai evoluta, di cui conoscevamo appena l’esistenza e di cui non ci preoccupavamo; oppure che poteva trattarsi d’una delle facoltà che richiedono molto tempo per svilupparsi, una specie di dote tipo asso nella manica, che l’umanità potrà usare quando sarà pronta, o quando ne avrà bisogno.»

«L’ho pensato, infatti, almeno in parte, ma…»

«E adesso ne abbiamo bisogno,» l’interruppe di nuovo Flanders. «E questo risponde alla sua domanda. Noi abbiamo intuito che sarebbe ritornato.»

«In un primo momento avevo pensato che fosse stato Crawford a istigare il linciaggio, ma lui ha detto che non aveva fatto niente, ha negato con decisione.»

Flanders scosse il capo.

«Crawford non l’avrebbe mai fatto. Ha troppo bisogno di lei. Crawford non la spaventerebbe mai. La sua intuizione al riguardo non è stata molto esatta.»

«No, mi pare proprio di no .»

«Le sue intuizioni non funzionano,» disse Flanders, «perché non ne tiene conto come dovrebbe. Lei continua a lottare con il mondo della ragione. Si affida al vecchio ragionamento meccanico cui la razza umana si è affidata fin da quando è uscita dalle caverne. Lei esamina ogni aspetto e lo controbilancia con tutti gli altri aspetti, e aggiunge e sottrae come se stesse risolvendo un problema d’aritmetica. Non tiene mai un’intuizione nel conto dovuto. Questo è il suo guaio.»

E quello era effettivamente il guaio, pensò Vickers. Aveva avuto l’intuizione di fare girare la trottola sotto il portico della casa dei Preston, e se l’avesse fatto, si sarebbe risparmiato giorni e giorni di cammino nella solitudine di quel secondo mondo. Aveva avuto l’intuizione che avrebbe fatto meglio ad ascoltare il consiglio di Crawford e a non viaggiare con l’auto Aeterna, e se l’avesse fatto si sarebbe risparmiato parecchi guai. E poi c’era stata l’intuizione, cui aveva finalmente obbedito, di recuperare la trottola… e ne era valsa la pena.

«Che cosa sa?» chiese Flanders.

Vickers scosse il capo.

«In realtà non so molto,» ammise. «So che esiste un’organizzazione di mutanti. Deve avere cominciato anni fa, e deve avere contribuito a strappare il genere umano dal vecchio solco di cui lei mi ha parlato quella sera, a Cliffwood. E l’organizzazione è passata alla clandestinità, qui sugli altri mondi, perché la sua attività stava estendendosi troppo e diventava troppo significativa per passare inosservata. Avete fabbriche che lavorano, sfornando gli oggetti di cui vi servite per rovinare l’industria del nostro mondo. Ne ho vista una. La facevano funzionare i robot. Mi dica, sono i robot che la dirigono oppure…»

Flanders ridacchiò.

«La dirigono i robot. Noi ci limitiamo a dir loro quel che ci serve.»

«E poi c’è la faccenda dell’ascolto delle stelle.»

«Abbiamo trovato molte idee buone in questo modo,» disse Flanders. «Non tutti siamo in grado di farlo. Solo alcuni di noi, che sono telepati naturali. E come le ho detto quella sera, non tutte le idee sono tali che noi possiamo sfruttarle. Qualche volta captiamo solo un accenno, e partiamo di lì.»

«E dove volete arrivare? Dove avete intenzione di andare?»

«A questa domanda non posso rispondere. Continuano a crearsi tante nuove possibilità, ad aprirsi nuove prospettive. Siamo vicini a molte grandi scoperte. Per esempio, l’immortalità. C’è un ascoltatore…»

«Vuol dire,» chiese Vickers, «la vita eterna?»

«Perché no?»

Ma certo, pensò Vickers, perché no? Se c’erano lamette per barba eterne e lampadine eterne, perché non doveva esserci la vita eterna? Perché non prendersi tutto?

«E gli androidi?» chiese. «Cosa c’entra un androide come me? Senza dubbio, un androide non può essere troppo importante.»

«Abbiamo un compito da affidarle,» disse Flanders. «Il suo compito è Crawford.»

«E cosa debbo fare con Crawford?»

«Fermarlo.»

Vickers rise.

«Io? Sa chi c’è, alle spalle di Crawford?»

«Io so chi c’è alle sue spalle.»

«Me lo dica,» fece Vickers.

«L’intuizione… la più elevata e sviluppata facoltà d’intuizione che sia mai stata documentata in un essere umano. La più elevata e la più insospettata, la meno sfruttata che abbiamo mai conosciuto.»

«Aspetti un momento. Dimentica che non sono un essere umano.»

«Un tempo lo era,» disse Flanders. «Ritornerà a esserlo. Prima che prendessimo la sua vita…»

«Avete preso la mia vita?»

«L’essenza vitale,» disse Flanders. «La mente, i pensieri, le impressioni e le reazioni che formavano Jay Vickers, il vero Jay Vickers, a diciotto anni. È stato come versare l’acqua da un recipiente all’altro. Abbiamo versato lei, dal suo corpo in un corpo androide, e abbiamo conservato il suo corpo, in attesa del giorno in cui potremo compiere l’operazione inversa.»

Vickers si alzò per metà della poltrona.

Flanders gli fece un cenno con la mano.

«Si segga. Stava per domandarmi perché.»

«E lei dovrà rispondermi,» disse Vickers.

«Certo, le risponderò. Quando aveva diciotto anni, non era consapevole della facoltà che possedeva. Non c’era modo alcuno per renderla consapevole. Sarebbe stato inutile dirglielo, o tentare di addestrarla, perché doveva evolversi naturalmente. Avevamo calcolato che sarebbero occorsi quindici anni, e invece ne sono stati necessari più di venti, e ancora adesso non ne è pienamente consapevole come dovrebbe.»