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E ciò che contava era l’intuizione.

Ma come servirsi dell’intuizione?

Spazzò via i fattori, li spazzò via dalla propria mente, e rimase disteso sul letto, a fissare l’oscurità, là dove c’era il soffitto, e cercò di non pensare.

Sentiva i fattori rimbalzare nel suo cervello, scontrarsi e poi fuggire l’uno dall’altro, ma si astenne dal riconoscerli.

Poi venne l’idea: Guerra.

Ci pensò, e l’idea crebbe e s’impadronì di lui.

Guerra: ma una guerra diversa da quelle che il mondo aveva conosciuto. Come diceva quella frase, nella vecchia storia della seconda guerra mondiale? Una guerra fasulla. Eppure, non una guerra fasulla.

Era inquietante pensare a qualcosa che non riuscivi a intuire che cos’era, un’intuizione che ti assillava e tu non sapevi che cos’era.

Cercò di pensarci, e l’intuizione gli sfuggì. Smise di pensare, e l’intuizione ritornò.

Venne un’altra idea: Miseria.

E la miseria era in qualche modo legata alla guerra, e Vickers le sentiva entrambe, quelle idee, che si aggiravano come coyotes intorno al fuoco che era lui stesso, ringhiando e mostrandosi i denti nell’oscurità, oltre la fiamma della sua comprensione.

Cercò di scacciarle nelle tenebre ma quelle non se ne volevano andare.

Dopo un po’ si abituò ad esse, e gli parve che il fuoco divampasse più basso, e che le idee-coyote non corressero più così rapide, non mostrassero più così ferocemente i denti.

E c’era anche un altro fattore, diceva la sua mente assonnata. I mutanti erano a corto di materiale umano. Era per questo che avevano i robot e gli androidi.

C’erano vari sistemi per sopperire alla carenza di potenziale umano. Si poteva prendere una vita, e scinderla in molte vite. Si poteva prendere la vita di un mutante ed estenderla, farla durare più a lungo, farla andare più avanti. Nell’economia del potenziale umano, si potevano realizzare molte cose, se si sapeva come fare.

I coyote giravano più lentamente, e il fuoco si affievoliva, e io ti fermerò, Crawford, troverò la soluzione e ti fermerò, e ti amerò, Ann, e…

Poi, senza accorgersene, si addormentò, e si svegliò, e si levò a sedere di scatto sul letto.

Ora sapeva!

Rabbrividì nella frescura dell’alba estiva e gettò le gambe fuori dalle coperte, e sentì il freddo pungente del pavimento sotto i piedi nudi.

Vickers corse alla porta, la spalancò, uscì sul ballatoio, verso la scala che scendeva nell’atrio.

«Flanders!» gridò. «Flanders.»

Hezekiah comparve da chissà dove e cominciò a salire le scale, chiedendo: «Che succede, signore? Vuole qualcosa?»

«Voglio Horton Flanders!»

Un’altra porta si aprì e Horton Flanders era là, con le caviglie ossute che spuntavano sotto l’orlo della camicia da notte, i capelli radi quasi ritti sul capo.

«Cosa succede?» borbottò, con voce ancora impastata dal sonno. «Perché questo baccano?»

Vickers attraversò l’atrio, l’afferrò per le spalle e chiese:

«Quanti siamo? In quante parti è stata divisa la vita di Jay Vickers?»

«Se la smette di scrollarmi…»

«La smetterò quando mi dirà la verità.»

«Oh, con piacere,» disse Flanders. «Siamo tre. Lei e io e…»

«Lei

«Certamente. Questo lo sorprende?»

«Ma è tanto più anziano di me.»

«Possiamo fare molte cose, con i tessuti sintetici,» disse Flanders. «Non capisco perché debba stupirsene.»

E infatti, Vickers si rese conto all’improvviso di non essere stupito. Era come se l’avesse sempre saputo.

«Ma il terzo?» chiese Vickers. «Ha detto che siamo tre. Chi è l’altro?»

«Non posso ancora dirglielo,» rispose Flanders. «Non le dirò chi è. Le ho già detto troppo.»

Vickers afferrò la camicia da notte di Flanders, sul petto, torse la stoffa fino a stringergli la gola.

«La violenza non serve a nulla,» disse Flanders. «A nulla. È stato soltanto perché siamo arrivati a una crisi prima del previsto che ho detto quanto ho detto. Lei non era pronto neppure per questo. Non era in condizioni di saperlo. Abbiamo corso un rischio, accelerando i tempi. Non posso assolutamente dirle altro.»

«Non ero in condizioni di saperlo?» ripeté rabbiosamente Vickers.

«Non era pronto. Avrebbe dovuto avere più tempo a disposizione. E dirle ciò che chiede, dirglielo adesso, proprio non è possibile. Le creerebbe complicazioni. Menomerebbe la sua efficienza e il suo valore.»

«Ma io conosco già quella risposta,» disse Vickers, incollerito. «Pronto o no, io conosco la soluzione da opporre a Crawford ed ai suoi amici, e questo è più di quanto abbiate fatto voi tutti, nonostante il tempo che vi avete dedicato. Adesso ho la soluzione, ciò che voi speravate: conosco l’arma segreta, e so come contrastarla. Lei aveva detto che dovevo fermare Crawford: ebbene, posso farlo.»

«Ne è sicuro?»

«Completamente sicuro,» disse Vickers. «Ma quell’altra persona, la terza persona…»

C’era un sospetto che gli si insinuava nella mente, un sospetto spaventoso.

«Debbo sapere,» disse.

«Non posso dirglielo: non posso dirglielo assolutamente,» ripeté Flanders.

Vickers allentò la stretta sulla camicia da notte, lasciò ricadere la mano. Il pensiero assillante che gli lacerava la mente era una tortura, una terribile, crescente tortura. Lentamente si voltò.

«Sì, sono sicuro,» disse ancora. «Sono sicuro di conoscere tutte le risposte. Le conosco, ma non servirà a nulla.»

Andò in camera sua e chiuse la porta.

41

C’era stato un momento in cui aveva visto la strada chiara e diritta davanti a sé… la certezza che Kathleen Preston non fosse stata altro che un personaggio condizionato, che per anni il ricordo artificiale della passeggiata nella valle fatata lo avesse reso cieco all’amore che nutriva per Ann Carter, all’amore che lei indubbiamente provava per lui, celato dagli sciocchi litigi e dalle rabbiose discussioni.

Poi era venuta la rivelazione che i suoi genitori dormivano da anni in uno stato d’animazione sospesa, in attesa dell’avvento di quel mondo di pace e di comprensione cui avevano dato un contributo tanto grande.

E lui non aveva potuto volger loro le spalle.

E forse, si disse, era un bene, perché adesso c’era quest’altro fattore: la scissione di un’unica vita in più di una vita.

Era un modo sensato di fare le cose, forse un metodo valido, perché i mutanti avevano bisogno di materiale umano, e in casi del genere bisognava fare del proprio meglio con ciò di cui si disponeva. Si affidava ai robot il lavoro che poteva venire lasciato ai robot, e si prendeva la vita di uomini e donne, e da ognuna di queste vite se ne ricavavano parecchie, incastonandole nei corpi degli androidi.

Lui non era una vera persona, ma una parte di una persona, un terzo del Jay Vickers il cui corpo attendeva il giorno della restituzione della sua vita.

E Ann Carter non era una vera persona, anche lei, ma una parte di un’altra persona. Forse — e per la prima volta permise che il suo sospetto diventasse un pensiero chiaro e terribile — forse una parte di Jay Vickers, e divideva con lui e con Flanders la vita che in origine era appartenuta ad uno soltanto.

Adesso tre androidi si dividevano quell’unica vita: lui e Flanders e qualcun altro. E la domanda lo assillava, bisbigliandogli nel cervello: chi poteva essere l’altro?

Loro tre erano legati da un comune cordone ombelicale che quasi ne facevano un solo essere, e con il tempo tutti e tre dovevano lasciar riaffluire le loro vite nel corpo del vero Jay Vickers. E quando ciò fosse avvenuto, quale dei tre avrebbe continuato a esistere come Jay Vickers? O forse nessuno? Forse sarebbe stato una specie di morte, per tutti e tre, e la continuazione della coscienza del Jay Vickers di un tempo? Oppure tutti e tre si sarebbero mescolati, in modo che il Jay Vickers risorto fosse una strana personalità triplice, la risultante di quello che adesso erano lui e Flanders e l’altro, lo sconosciuto?