Grazie ai carboidrati, in India e in Cina erano ancora vivi milioni e milioni di esseri umani che altrimenti sarebbero morti di fame. E adesso le migliaia d’individui che avrebbero perduto il posto quando le fabbriche di automobili avrebbero chiuso e le industrie siderurgiche avrebbero ridotto l’attività e le officine di riparazione avrebbero chiuso i battenti, avrebbero percorso tutti la stessa strada, verso le porte sopra le quali c’era l’insegna dei carboidrati.
L’industria automobilistica sarebbe stata costretta a chiudere. Nessuno avrebbe comprato altre macchine, quando potevi comprare, all’angolo della strada, una macchina che durava in eterno. L’industria delle lamette da barba stava già chiudendo i battenti, adesso che era possibile comprare la lametta eterna nei negozi di casalinghi… La stessa cosa stava succedendo con le lampadine e con gli accendini, ed era molto probabile, si disse Vickers, che l’auto Aeterna non sarebbe stata l’ultima trovata di quegli industriali, chiunque essi fossero.
Perché doveva essere così, si disse, convincendosi di quanto la sua mente aveva cominciato ad immaginare, non potevano esserci alternative. Quelli che fabbricavano le lamette facevano anche gli accendini e le lampadine, e quelli che fabbricavano questa roba dovevano aver progettato e realizzato l’automobile Aeterna. Non le stesse società, forse, anche se non poteva saperlo, perché non gli era mai venuto in mente di cercare di scoprire chi era che produceva quegli oggetti.
L’autobus si stava riempiendo, ma Vickers era ancora solo: guardava dal finestrino e riordinava i propri pensieri.
Dietro di lui due donne stavano chiacchierando, e, senza cercare di origliare di proposito, sentì quello che dicevano.
Una ridacchiò, e disse:
«Abbiamo il gruppo più interessante. C’è tanta gente interessante.»
E l’altra disse:
«Io ero dell’idea di entrare in uno di questi gruppi, ma Charlie dice che è roba da matti. Dice che viviamo nell’America del 1987, e che non c’è ragione di fingere che non è vero. Dice che il nostro è il migliore paese del mondo, e che siamo nell’epoca migliore del mondo. Dice che abbiamo tutte le comodità moderne e tutto il resto, e che siamo più felici di quanto la gente non sia mai stata. E poi, dice che la faccenda di questa finzione è solo propaganda comunista e che gli piacerebbe mettere le mani su quelli che hanno cominciato. Dice…»
«Oh, non so,» la interruppe la prima. «È davvero divertente. Richiede molto lavoro, certo, per leggere dei tempi andati e tutto il resto, ma se ne tira fuori qualcosa, penso. Non si tratta di fatiche sprecate: c’è una ricompensa. L’altra sera, alla riunione, un tale diceva che ne ricavi quello che ci metti dentro, e credo proprio che avesse ragione. Ma sembra che io non riesca a metterci dentro abbastanza: credo di essere un tipo incostante. Non sono una grande lettrice, e non capisco molto bene le cose, e devo sempre farmi spiegare tante cose, ma ce ne sono molti che sembra ci ricavino molto. Nel nostro gruppo c’è un tale che vive a Londra, ai tempi di un tizio che si chiama Samuel Peeps. Io non so chi fosse questo Peeps, ma mi pare che fosse un personaggio importante, un nobile o qualcosa del genere, sai come sono questi inglesi di una volta. Tu non sai mica chi era Peeps, Gladys?»
«No,» disse Gladys.
«Be’, comunque,» continuo l’altro, «questo tizio non fa altro che parlare del suo Peeps. Questo Peeps aveva scritto un libro, doveva essere spaventosamente lungo perché lui parla di tante cose. L’uomo di cui ti dicevo scrive il diario più meraviglioso. Siamo sempre felici, quando ce lo legge. Vedi, ci sembra quasi di vivere davvero là.»
L’autobus si fermò a un passaggio a livello e Vickers diede un’occhiata all’orologio. Sarebbero arrivati in città tra un’altra mezz’ora.
Era tempo sprecato, si disse. Qualunque idea avesse in mente Ann, sarebbe stato tempo sprecato, perché lui non poteva permettere che qualcosa interrompesse ciò che stava scrivendo. Non avrebbe dovuto neppure lasciarsi convincere a sprecare quel giorno.
E la sua mente aveva dimenticato l’autobus. Se Eb non gliel’avesse ricordato, lui avrebbe avuto una buona scusa per restare.
Dietro di lui, Gladys stava dicendo:
«Hai sentito di quelle nuove case che mettono in vendita adesso? Ne parlavo con Charlie l’altro giorno, e gli ho detto che dovremmo andare a sentire. Casa nostra sta andando in pezzi, vedi, e dovremo ridipingerla e farla riparare, ma Charlie afferma che quelle case sono una trappola per gonzi. Ha detto che nessuno offrirebbe case come quelle a simili condizioni se non ci fosse sotto un imbroglio. Charlie dice che lui è troppo furbo per farsi prendere in trappola con questa storia delle case. Mabel, tu le hai mica viste, o hai letto qualcosa…»
«Ti stavo dicendo,» insistette Mabel, «del gruppo di cui faccio parte io. C’è uno che finge di vivere nel futuro. Ora ti domando se non è tutta da ridere, questa. Immagina, uno che finge di vivere nel futuro…»
5
Ann Carter si fermò davanti alla porta, e disse;
«E adesso, Jay, ti prego di ricordartene: si chiama Crawford. Non chiamarlo Cranfors o Crawham o così via. È Crawford.»
Vickers disse, umilmente:
«Farò del mio meglio.»
Lei gli si avvicinò, gli aggiustò il nodo della cravatta, gliela raddrizzò, e gli tolse dal bavero un immaginario granello di polvere.
«Non appena avremo finito qui, penso che sarà meglio andare a comprarti un vestito,» disse.
«Ce l’ho già, un vestito,» disse Vikers.
Sulla porta, la scritta annunciava: North American Research.
«Quello che non capisco,» protestò Vickers, «è cosa possiamo avere in comune io e la North American Reasearch.»
«I soldi,» spiegò Ann, pratica. «Loro ce li hanno, e tu ne hai bisogno.»
Aprì la porta, e lui la seguì, docilmente, pensando che era una donna molto graziosa, e pratica, e molto efficiente. Troppo efficiente. Sapeva troppe cose. Conosceva i libri e gli editori e quello che voleva il pubblico, e sapeva giudicare le cose da tutti i punti di vista. Lavorava con impegno e faceva lavorare tutti quelli che aveva intorno. Non era mai felice come quando tre telefoni squillavano contemporaneamente e c’erano cinque dozzine di lettere alle quali rispondere e una dozzina di telefonate urgenti da fare. Era riuscita a convincerlo a venire lì quel giorno, e non era improbabile, pensò Vickers, che avesse convinto in qualche modo il signor Crawford e la North American Research a farlo venire lì.
Ann aveva questa dote, riusciva ad ottenere sempre quello che voleva; e c’era un certo disagio, a saperlo.
«Signorina Carter,» disse la segretaria, seduta dietro la lucida scrivania. «Si accomodi pure. Il signor Crawford la sta aspettando.»
Aveva stregato persino la segretaria, pensò Vickers.
6
George Crawford era un uomo grande e grosso che traboccava dalla poltrona sulla quale stava seduto. Teneva le mani intrecciate sulla pancia e parlava senza cambiare tono, senza la minima inflessione, ed era l’uomo più immobile che Vickers avesse mai visto. Non c’era il minimo movimento, in lui, né il minimo senso di movimento. Era enorme e massiccio, e muoveva appena le labbra, e la sua voce era poco più di un bisbiglio.
«Ho letto alcune delle sue opere, signor Vickers,» disse, «Mi hanno molto colpito.»
«Ne sono lieto,» disse Vickers.
«Tre anni fa non pensavo che avrei mai letto un’opera di narrativa, né che avrei parlato con l’autore. Adesso, tuttavia, mi sono reso conto di avere bisogno di un uomo come lei. Ne ho parlato con i miei direttori, e ci siamo trovati tutti d’accordo nel ritenere che lei è l’uomo adatto.»