— Come è protetto il reattore? — domandò Chaney. — E come sono protetti i fili, i trasformatori e il resto? Gli impianti elettrici sono vulnerabili; praticamente quasi tutto può metterli in pericolo: tempeste di neve, automobilisti ubriachi che sbattono contro i pali, per non parlare dell’usura… ci sono migliaia di pericoli!
— Il nostro reattore è protetto, difeso da una costruzione di cemento armato, signor Chaney. I cavi sono sotterranei. Il materiale è garantito per almeno vent’anni di continuo funzionamento. — Con un cenno della mano fece capire che lui possedeva una conoscenza superiore, una sicurezza superiore. — Non si preoccupi; non ne ha motivo. I nostri piani sono precisi e accurati. Se sarà necessario, ci sarà energia disponibile per cinquecento anni. L’energia sarà disponibile per ogni lancio e ogni ritorno.
Lo scetticismo di Chaney rimase.
— I cavi e i trasformatori dureranno per cinquecento anni?
Di nuovo, l’espressione esasperata.
— Non ci aspettiamo tanto. Tutto il materiale verrà sostituito a intervalli varianti tra i venti e i venticinque anni, secondo un programma già stabilito. Tutto è stato previsto nei minimi particolari.
Chaney diede un calcio al serbatoio, e si fece male al piede.
— Il serbatoio potrebbe perdere.
— L’acqua polimerica non filtra. Ha la consistenza di un grasso sottile, ed è sospesa in tubi capillari. Nel serbatoio c’è il novantanove per cento della riserva mondiale di poliacqua. — Seguì l’esempio di Chaney, e diede un calcio al serbatoio. — Non perde.
— La pressione del TDV su che cosa si esercita? Sull’acqua polimerica?
Il tecnico lo guardò, come se fosse stato un idiota.
— Il veicolo è sospeso nell’acqua polimerica, signor Chaney. Galleggia. Le avevo già detto che la pressione viene esercitata su uno schermo, uno schermo di molibdeno che offre la velocità inerziale necessaria a dislocare gli strati temporali.
— Ah! Adesso capisco disse Chaney.
— Io no, invece replicò Saltus, con aria accusatrice. Si fermò davanti alla parte anteriore del veicolo, con il naso schiacciato contro la bolla trasparente. — Come si fa a guidare questo congegno? Non vedo né bottoni né volanti, nemmeno un timone.
Il tecnico parve sul punto di decidere di abbandonare la stanza, affidando il giro d’istruzione a qualche suo sottoposto.
— Il veicolo è guidato da un giroscopio a protoni di mercurio, signor Saltus — disse con studiata lentezza, indicando il cubo metallico che si trovava sulla bolla, vicino alla telecamera, e proprio accanto al naso di Saltus. — Quello strumento. Abbiamo adottato la tecnica della Marina, prendendola dal programma di guida delle sonde interplanetarie.
Arthur Saltus parve impressionato.
— Buono, eh? — disse, con un certo orgoglio.
— Superiore. I giroscopi a protoni di mercurio sono immuni alle scosse, alle vibrazioni, al moto, e funzionano in qualsiasi condizione, anche le più disastrose. Questo veicolo vi porterà nel futuro, e vi farà tornare indietro, sessantuno secondi dopo il lancio. Potete contarci.
Saltus disse: — Come? — e il maggiore Moresby aggiunse. — Si spieghi, per favore. È molto interessante.
Il tecnico guardò Moresby, apparentemente considerandolo l’unico non-tecnico parzialmente intelligente che si trovasse nel locale.
— L’apparecchio contiene delle cellule ripetitrici, che ci trasmettono un segnale continuo, indicandoci il percorso seguito nel vostro “corridoio” temporale, signor Moresby. Le cellule segnaleranno qualsiasi deviazione dal “corridoio” prestabilito; se il veicolo ondeggerà nel tempo, lo sapremo subito. Il nostro computer saprà interpretare l’errore e correggerlo immediatamente. Il computer lancerà l’esatto impulso correttivo al sistema tacheodeflettore, e rimetterà il veicolo sull’esatto “corridoio” temporale; tutto questo avverrà in meno di un secondo, tempo assoluto. Lei non si renderà neppure conto della deviazione e della correzione, naturalmente.
Saltus: — Chi ci garantisce che raggiungeremo l’obiettivo?
— Lo raggiungerete, con un margine di errore di quattro minuti in più o in meno per ogni anno di viaggio, signor Saltus. Il sistema non permette un errore maggiore sul punto prestabilito. Questo significa nessun margine di errore. I sovietici non saprebbero fare di meglio.
— Possiedono un veicolo simile? domandò Chaney, sorpreso.
— No — intervenne Gilbert Seabrooke. — Si trattava di un modo di dire. Vede, siamo tutti orgogliosi del nostro lavoro.
Il grado e l’anzianità di servizio erano i fattori più importanti. Fu il maggiore Moresby a eseguire il primo lancio di prova, e poi toccò al comandante Saltus.
Quando arrivò il suo turno, Chaney si spogliò e ripose gli abiti nell’armadietto. L’incombente presenza dei tecnici non gli dava fastidio, mentre non si poteva dire lo stesso delle due telecamere. Lui non poteva sapere chi ci fosse dall’altra parte del muro, chi lo stesse guardando. Indossando solo un paio di slip… l’unica concessione al pudore permessa dai tecnici all’ultimo momento… e in piedi, scalzo, sul pavimento di cemento, Chaney represse a fatica l’impulso di sollevare il suo ego depresso facendo sberleffi alle curiose telecamere. Gilbert Seabrooke, probabilmente, non avrebbe approvato.
Seguendo le istruzioni, si arrampicò sul TDV.
Chaney strisciò attraverso il portello, si calò sul lettuccio simile a una griglia, e naturalmente batté il capo contro la telecamera sistemata all’interno della bolla. Il dolore fu notevole.
— Accidenti!
Il tecnico disse, in tono di rimprovero:
— La prego di fare più attenzione alla telecamera, signor Chaney. Le scosse potrebbero danneggiarla.
— Avreste potuto appenderla fuori di questa tinozza.
Distendendosi sulla “cuccetta” scoprì che, quando i piedi raggiungevano il pedale, non c’era spazio per girare la testa senza urtare o la telecamera o il giroscopio, e che era anche impossibile allargare le braccia. Si mosse, cercando di protestare con il tecnico, ma il viso dell’uomo scomparve dal portello, che si chiuse con un tonfo sordo. Chaney conobbe un momento di panico, ina riuscì a vincerlo; il cilindro non era peggio di una tomba., ed era migliore sotto un punto di vista: la bolla trasparente lasciava entrare la luce dalle lampade nascoste nel soffitto. Continuando a seguire le istruzioni particolareggiata dei tecnici, Chaney sollevò le mani per afferrare le maniglie, e fu subito ricompensato dall’apparizione di una luce verde intermittente, sopra il suo capo. L’effetto gli parve grazioso.
Chaney guardò la luce per qualche tempo, ma non accadde niente.
Disse, ad alta voce: — Va bene, innoviamoci. — Il suono della sua voce, nell’angusto cilindro, lo fece sobbalzare.
Girandosi, a prezzo di uno stiramento ai muscoli del collo e di un altro urto contro la telecamera, guardò la stanza, attraverso la bolla trasparente, e la vide deserta. Durante un lancio doveva essere vuota, secondo le istruzioni. Probabilmente i suoi compagni si trovavano nel laboratorio, dietro la parete, e lo guardavano sui loro monitor come lui aveva guardato loro, nei due lanci precedenti. I suoni erano stati fragorosi, nel laboratorio, e gli avevano fatto dolere i timpani.
Lo sguardo di Chaney tornò a posarsi sulla luce verde che ammiccava sopra di lui, e in quel momento si accorse che accanto a essa si era accesa una luce rossa, che ammiccava monotona come la sua sorella. Guardò le due luci, e si chiese cosa sarebbe accaduto dopo. Le istruzioni si erano fermate a quel punto.