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— Ah… le posso leggere nel pensiero, civile! Lei non andrebbe affatto avanti, tornerebbe indietro. Ritornerebbe all’Anno Zero, o nei paraggi, a vedere quegli antichi scribi mentre facevano quei rotoli. Lei pensa solo a senso unico.

— Non è vero — disse Chaney. — E non è mai esistito un Anno Zero. Ma ha ragione su un punto: non andrei avanti. Non con tutte le case del tesoro della storia che aspettano di essere aperte, esplorate, catalogate. No, non andrei avanti.

— E dove, allora, signore? In quale tempo?

Chaney disse, in tono sognante:

— A Eridu, Larsa, Nippur, Caifa, Ninive, Uruk…

— Ma quelle sono solo vecchie… vecchie città, mi sembra.

— Vecchie città, città antiche, morte e sepolte da molto tempo… come sarà morta e sepolta Chicago quando verrà il suo turno. Sono quelle le case del tesoro, comandante. Io voglio stare in piedi sulle mura della città di Ur, e assistere all’inondazione dell’Eufrate; voglio sapere come ò potuto entrare quella storia nella Genesi. Voglio fermarmi sulla pianura, davanti a Uruk, e vedere Gilgamesh ricostruire le mura della città; voglio vedere quel combattimento leggendario con Enkidu.

«Ma soprattutto, io voglio andare nelle foreste di Kadesh, e vedere Muwatallis respingere la marea egiziana. (redo che piacerebbe anche a lei e a Moresby. Muwatallis era inferiore come uomini, come mezzi, come carri, gli mancava tutto, all’infuori del coraggio e dell’intelligenza; riuscì a sorprendere l’esercito di Ramsete separato in quattro tronconi, e quello che fece poi cambiò il corso della storia occidentale. È accaduto tremila anni or sono, ma se gli Ittiti avessero perduto… se Ramsete avesse battuto Muwatallis… probabilmente oggi saremmo soggetti agli egizi.

— Non so parlare la lingua disse Saltus.

— La parlerebbe… quella, o qualche dialetto locale… se Ramsete avesse vinto. — Un gesto. — Ma questo è ciò che farei se avessi l’Alif e libertà di scelta.

Arthur Saltus rimase immerso nei suoi pensieri, e continuò a guardare il banco di nuvole, a occidente. Il tuono si udiva già distintamente.

Dopo qualche tempo, disse:

— Non riesco a pensare a una sola cosa, signore. A una sola cosa che io vorrei vedere. Per me, tanto vale andare nel futuro, a Chicago.

— Ammiro e rispetto un uomo soddisfatto — disse Chaney. — Tutto sparisce nel grande immondezzaio della storia; le cose si gettano via, e così spariscono. Non c’è niente di più, o niente di meno.

Capitolo ottavo

Brian Chaney, il mattino dopo, era già a nuotare nella piscina mentre la maggior parte del personale della base stava ancora facendo colazione. Nuotava da solo, godendosi fino in fondo il lusso della solitudine, dopo la sua solita passeggiata dalla vecchia caserma al centro ricreativo. Il sole del mattino era brillante, e traeva migliaia di scintille d’argento dall’acqua; l’aria era limpida e tersa, e il contrasto con la notte passate era enorme. Durante la notte la base era stata investita da un temporale di forte intensità, e i vialetti erano ancora invasi da carte e foglie e altri oggetti portati dal vento.

Chaney galleggiava sulla piscina, respirando a pieni polmoni, lasciandosi cullare dall’acqua, guardando il cielo azzurro. Si sentiva in pace con tutti, e soddisfatto. Socchiuse gli occhi, per proteggerli dal riverbero.

Gli pareva quasi di essere ritornato sulla spiaggia della Florida… in un giorno di riposo, nel quale aveva sonnecchiato sulla riva del mare, a pochi centimetri dalle onde dalla cresta bianca, guardando i gabbiani e la vela lontana e ondeggiante, con in mente soltanto pigri pensieri sui critici e i lettori che avevano condannato lui e la sua traduzione del rotolo dell’Apocalisse, e vaghi timori sull’avvenire del suo libro. Sì, gli pareva quasi di essere ritornato al giorno in cui ancora non aveva conosciuto Katrina, il giorno prima dell’apparizione della giovane donna sulla spiaggia. Chaney allora non si era reso conto di avere un vuoto dentro di sé, ma quando sarebbe giunto il momento di separarsi… allora la fine della missione… le cose sarebbero cambiate. Avrebbe sentito la mancanza della donna. Lasciare la compagnia di Katrina sarebbe stato doloroso, e quando lui sarebbe ritornato sulla spiaggia avrebbe sentito pienamente un nuovo senso di vuoto.

Era stato molto rude con lei, senza una vera necessità, quando si erano conosciuti, e adesso ne era pentito; l’aveva creduta semplicemente un’altra giornalista, mandata laggiù per attaccarlo o per coprirlo di ridicolo. E lui non si era trovato in rapporti più o meno civili con i giornalisti, allora. Chaney, ora, non voleva certo ammettere di essere geloso… la gelosia era un’emozione infantile… ma Arthur Saltus aveva suscitato in lui una reazione pericolosamente vicina alla gelosia. Saltus si era fatto avanti e, sfrontatamente, aveva preso possesso della donna, e anche questo gli faceva male.

Ma non era l’unica cosa che gli faceva male.

Aveva l’indice irrigidito, indolenzito, e la spalla gli doleva come il peccato; gli avevano assicurato che si trattava di un fucile leggero, ma dopo un’ora di esercitazioni al poligono di tiro Chaney era stato sicuro del fatto che gli avevano mentito. Anche in sogno l’incalzante figura del maggiore lo aveva perseguitato: — Schiacci, schiacci, non si muova… non cambi posizione… schiacci! Fuoco! — Chaney aveva continuato a schiacciare e, quattro o cinque volte, era perfino riuscito a colpire il bersaglio. Gli era parso un successo considerevole, ma i suoi compagni non erano stati del medesimo avviso. Moresby era rimasto così disgustato che gli aveva strappato di mano il fucile e, in un batter d’occhio, aveva centrato il bersaglio per cinque volte consecutive.

L’esperienza con la pistola era stata peggiore. Il modello automatico dell’Esercito gli era parso infinitamente più leggero, in confronto al fucile, ma non potendo usare la mano sinistra per sollevare e tenere ferma la canna, Chaney aveva mancato il bersaglio otto volte su dieci. I due colpi migliori avevano colpito l’estremo margine del bersaglio.

Moresby aveva brontolato: — Date un cannone a questo civile! — e se ne era andato, del tutto schifato.

Arthur Saltus gli aveva insegnato le tecniche di ripresa.

Chaney conosceva le comuni cineprese portatili e gli apparecchi fissi usati nei laboratori per copiare dei documenti, ma Saltus lo aveva fatto entrare in un nuovo mondo. La macchina olografa era un’autentica novità. Saltus aveva detto che le comuni pellicole erano state ormai relegate nelle cineprese più scadenti; gli strumenti olografi impiegavano un nastro sottile di nylon speciale, trattato chimicamente in modo da sopportare quasi ogni abuso e fornire ugualmente un’immagine riconoscibile. Saltus aveva passato una negativa di nylon su un foglio di carta vetrata, poi era riuscito a prendere un’ottima foto, con la stessa negativa. L’illuminazione non era più un problema; la macchina olografa poteva fornire una foto soddisfacente anche sotto la pioggia.

Chaney aveva fatto una prova tenendo una microcamera legata sul petto, con l’obiettivo infilato in un’asola della giacca, dove avrebbe dovuto esserci un bottone. Un’altra microcamera gli era stata sistemata sulla spalla sinistra, con l’obiettivo mimetizzato in modo da apparire un dispositivo appuntato sul bavero della giacca… un filo scendeva lungo la manica della giacca, e usciva dal polsino, per terminare con un pulsante che Chaney aveva stretto in mano; il pulsante serviva ad azionare le macchine fotografiche. Un cinturone alto aveva nascosto una cinepresa. Un cappello a tesa larga aveva nascosto una cinepresa. Un giornale piegato era in realtà, una cinepresa camuffata, e una valigetta diplomatica portata con disinvoltura in mano aveva nascosto una macchina fotografica e un’altra cinepresa. C’erano anche stati i microfoni per i registratoli Saltus gli aveva mostrato dove portarli… nascosti nel nodo della cravatta, o nei bottoni, o nei distintivi, o nei colletti.. mentre i registratori potevano essere tenuti sotto il soprabito o in tasca.