Il sospetto che certe forzature siano volute e acquistino una valenza simbolica viene corroborato, a esempio, dall’uso della macchina del tempo, affettuoso ricordo wellsiano che l’autore pone come puro espediente narrativo, circondandolo d’ironiche annotazioni fuorvianti (il serbatoio d’acqua polimerica, il pedale di avviamento, lo stretto pertugio d’entrata, le maniglie, l’esiguo spazio nel quale si muove il viaggiatore, tutti tocchi di raffinato humor in un conte, io disperatamente tragico): ma tutto scompare nella dimensione agghiacciante che l’intera opera ci offre dì un’America mutata confusa senza capirne il perché, attonita in imo dei momenti di maggiore crisi morale di tutta la sua storia. Gli anni del ritrovato orgoglio reaganiano sono annua lontani: dopo L’anno del sole quieto l’America — e con essa la fantascienza — avrebbero dovuto affrontare gli anni più bui della loro storia; gli anni del Watergate e di Jimmy Carter per l’America, gli anni di un profondo ripensamento e di una problematica relazione con il mainstream per la SF.
Testimonianza inquietante, dunque, ma anche opera viva, bella, colta e pregna d’idee: insomma, una tappa fondamentale nello sviluppo e nella maturazione di un ampio movimento letterario com’è stato, e come sta ritornando a essere la fantascienza.
Ugo Malaguti