«Ancora una volta, Pura, cosa sai delle Aes Sedai...»
Suroth distorse le labbra nel doverle insozzare con quel nome; Alwhin emise un verso di disgusto «... Aes Sedai che aiutano quest’uomo? Ti avviso. I nostri soldati a Falme hanno combattuto contro donne della Torre che incanalavano il Potere, per cui non cercare di negare.»
«Pura... Pura non lo sa, Somma signora.» C’era una sorta di apprensione nella voce della Damane, e di incertezza; lanciò un’altra occhiata a Taisa. Era chiaro che voleva disperatamente essere creduta. «Forse... forse l’Amyrlin, o il Consiglio della Torre... No, non lo farebbero. Pura non lo sa, Somma signora.»
«L’uomo può incanalare» rispose bruscamente Suroth. La donna al suolo si lamentò, anche se aveva già sentito in precedenza le stesse parole. Pronunciarle ancora fece stringere lo stomaco a Suroth, ma non lo mostrò con l’espressione. Poco di quel che era accaduto a Falme era stato opera di donne che potevano incanalare; le Damane potevano percepirlo, e le sul’dam che indossavano il bracciale sapevano sempre cosa sentiva una Damane. Questo significava che doveva essere stato opera dell’uomo. Significava anche che era incredibilmente potente. Così potente che Suroth si era chiesta una o due volte, avvertendo la nausea, se fosse davvero il Drago Rinato. Non può essere, si disse con fermezza. In ogni caso non faceva differenza per i suoi piani. «È impossibile credere che proprio la Torre Bianca permetta a un tale uomo di circolare liberamente. Come lo controllano?»
La Damane giaceva silenziosa, col volto a terra, le spalle scosse dal pianto.
«Rispondi alla Somma signora!» le intimò Taisa duramente. La donna non si mosse, ma Pura rimase senza fiato, trasalendo come se fosse stata colpita sui fianchi. Un colpo inferto tramite l’a’dam.
«P... Pura non lo s... sa.» La Damane protese una mano esitante come a voler toccare il piede di Suroth. «Ti prego. Pura ha imparato a obbedire. Pura dice il vero. Ti prego, non punire Pura.»
Suroth indietreggiò graziosamente, senza mostrare l’irritazione. Per essere stata costretta a muoversi a causa di una Damane. Per essere stata quasi sfiorata da una donna che poteva incanalare. Sentiva il bisogno di fare un bagno, come se fosse stata afferrata.
Gli occhi di Taisa si colmarono di oltraggio per la sfrontatezza della Damane; le guance erano rosse per la vergogna che fosse accaduto mentre indossava il bracciale. Sembrava combattuta tra il desiderio di prostrarsi anche lei vicino alla Damane per implorare perdono e quello di punire la donna immediatamente. Alwhin la fissava con le labbra tese dal disprezzo; ogni linea del suo viso suggeriva che certe cose non succedevano quando era lei a indossare il bracciale.
Suroth alzò impercettibilmente un dito, facendo un piccolo gesto che ogni so’jhin conosceva fin dall’infanzia, un semplice gesto di congedo.
Alwhin esitò prima di interpretarlo, quindi cercò di coprire il ritardo nella reazione rivoltandosi duramente contro Taisa. «Porta questa... creatura via dal cospetto della Somma signora Suroth. Quando l’avrai punita, recati da Surela e riferiscile che controlli le tue cariche come se non avessi mai indossato un bracciale prima d’ora. Dille che devi essere...»
Suroth escluse la voce di Alwhin dalla mente. Niente di tutto ciò era stato un suo ordine se non il congedo, ma i litigi fra sul’dam non la interessavano. Voleva sapere se Pura le nascondeva qualcosa. I suoi agenti riferivano che le donne della Torre Bianca non potevano mentire. Non era stato possibile costringere Pura a dire anche una semplice bugia, a dichiarare che una sciarpa bianca era nera, eppure non era sufficiente per essere decisivo. Si potevano anche accettare le lacrime delle Damane, le proteste di incapacità qualsiasi cosa facesse la sul’dam, ma chi si comportava a quel modo non sarebbe stato mai elevato a guidare il Ritorno. A Pura poteva essere rimasta una riserva di volontà, poteva essere abbastanza furba da usare la credenza che fosse incapace di mentire. Nessuna delle donne imprigionate nel continente erano completamente obbedienti, fidate, non come le Damane portate da Seanchan. Nessuna di loro accettava del tutto quel che era, come faceva una Damane seanchan. Chi poteva dire quali segreti potevano nascondersi in una donna che si era fatta chiamare Aes Sedai?
Non per la prima volta, Suroth desiderò di avere anche l’altra Aes Sedai che era stata catturata a Capo Toman. Con due da interrogare ci sarebbero state migliori possibilità di scoprire bugie e sotterfugi. Era un desiderio inutile. Poteva essere morta, annegata, o in mostra alla Corte delle Nove Lune. Alcune navi che Suroth non era riuscita a riunire dovevano essere tornate indietro attraverso l’oceano e una avrebbe benissimo potuto trasportare la donna.
Lei stessa aveva inviato una nave a consegnare rapporti accurati, ormai quasi sei mesi fa, appena consolidato il controllo sui Predecessori, con un capitano e una ciurma da famiglie che l’avevano servita fin da quando Luthair Paendrag si era proclamato imperatore, quasi mille anni fa.
Inviare la nave era stata una scommessa, poiché l’imperatrice poteva rimandare indietro qualcuno a prendere il posto di Suroth. Non inviarla però sarebbe stata una scommessa maggiore; solo una vittoria completa e schiacciante avrebbe potuto salvarla in quel caso. Forse nemmeno quella. Così ora l’imperatrice sapeva di Falme, era al corrente del disastro di Turak, e delle intenzioni di Suroth di proseguire. Ma qual era il suo pensiero, e cosa stava facendo a riguardo? Quello era un pensiero più grande di qualsiasi Damane, qualunque cosa fosse stata prima di indossare il collare.
Ma l’imperatrice non sapeva tutto. Le cose più gravi non potevano essere affidate a nessun messaggero, non importava quanto fosse leale. Sarebbero state riferite solo dalle labbra di Suroth alle orecchie dell’imperatrice, e Suroth si era assicurata al riguardo. Solo quattro donne che erano a conoscenza del segreto ancora vivevano, e due di queste non ne avrebbero parlato con nessuno, non di loro volontà. Solo tre decessi potrebbero proteggere meglio il segreto, pensò.
Suroth non si rese conto di aver mormorato le ultime parole fino a quando Alwhin puntualizzò: «Eppure la Somma signora ha bisogno che restino in vita.» La donna manteneva la corretta posizione umile, che le consentiva di vedere ogni segno proveniente da Suroth pur mantenendo lo sguardo basso. Anche la voce era umile. «Chi può dire, Somma signora, cosa potrebbe fare l’imperatrice — possa vivere per sempre! — se venisse a conoscenza del tentativo di tenerle nascosta una tal cosa?»
Invece di rispondere, Suroth fece ancora una volta l’infinitesimale gesto di congedo. Di nuovo Alwhin esitò — stavolta doveva trattarsi di semplice riluttanza; la donna si elevava sopra di lei! — prima di inchinarsi profondamente e arretrare per lasciare il cospetto di Suroth.
Con uno sforzo la Somma signora trovò la calma. La sul’dam e le altre due erano un problema che non poteva risolvere in questo momento, ma la pazienza era fondamentale per il Sangue. Quelli che ne avevano poca erano facilmente destinati a finire nella Torre dei Corvi.
Sul balcone, la fila di servitori inginocchiati si era protesa leggermente avanti, pronta in caso Suroth dovesse apparire di nuovo. I soldati mantenevano la vigilanza affinché non venisse disturbata. Suroth tornò al suo posto vicino alla balaustra, stavolta fissando il mare, verso il continente a centinaia di chilometri a est.
Guidare i Predecessori con successo dando il via al Ritorno, le avrebbe arrecato molto onore. Forse anche l’adozione nella famiglia dell’imperatrice, anche se quello era un onore non privo di complicazioni. E anche catturare il Drago, che fosse falso o vero, assieme alla possibilità di controllare il suo incredibile potere...
Ma... una volta preso, lo consegnerò all’imperatrice? Questo è il problema, pensò.