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Le lunghe unghie cominciarono a ticchettare nuovamente sull’ampia balaustra di pietra.

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Vortici nel Disegno

Nell’entroterra soffiava il caldo vento notturno verso nord attraverso l’ampio delta chiamato le Dita del Drago, un labirinto sinuoso di corsi d’acqua, ampi e stretti, alcuni ostruiti da erbacoltello. Ampie pianure di canne separavano gruppi di isole basse coperte da foreste di alberi dalle radici intricate che non si vedevano da nessun’altra parte. Quindi il delta cedeva il posto alla propria sorgente, il fiume Erinin, la parte più ampia punteggiata dalle luci delle lanterne dei piccoli pescherecci. Imbarcazioni e luci sobbalzarono selvaggiamente, di colpo e inaspettatamente e alcuni anziani borbottarono di malefiche entità notturne. I giovani risero, ma issarono le reti con maggior vigore, impazienti di andare a casa ed essere fuori dall’oscurità. Le storie narravano che il male non poteva varcare la soglia di casa a meno che non lo si invitava a entrare. Questo era quanto sostenevano le storie. Ma qui al buio...

L’ultima traccia di sale nell’aria era svanita quando il vento aveva raggiunto la grande città di Tear vicino al fiume, dove le locande dal tetto di tegole e i negozi si trovavano accanto ad alti palazzi con le torri, splendenti alla luce della luna. Eppure nessun palazzo era alto come la massiccia costruzione, quasi una montagna, che si estendeva dal cuore della città ai margini dell’acqua. La Pietra di Tear, fortezza leggendaria, la più antica roccaforte del genere umano, eretta durante gli ultimi giorni della Frattura del Mondo. Mentre nazioni e imperi sorgevano e cadevano, venivano rimpiazzati e cadevano nuovamente, la Pietra resisteva. Era la pietra sulla quale gli eserciti avevano spezzato lance, spade e cuori, per tremila anni. E in tutto quel tempo non era mai caduta nella mani degli invasori. Sino a ora.

Le vie della città, le taverne e le locande erano vuote nell’afosa oscurità, la gente stava al sicuro in casa. Chi occupava la Pietra era signore di Tear, città e nazione. Era sempre stato così, e la gente di Tear lo accettava. Il giorno seguente avrebbero acclamato il nuovo signore con lo stesso entusiasmo con cui avevano acclamato il vecchio; a sera si sarebbero riuniti, rabbrividendo malgrado il caldo, con il vento che ululava sui tetti come migliaia di persone che recitano un lamento funebre. Insolite nuove speranze danzavano nelle loro teste, speranze che nessuno in Tear aveva osato esprimere per centinaia di generazioni, miste a paure antiche come la Frattura.

Il vento sferzava la lunga bandiera bianca e sembrava che cercasse di strappare la luna che splendeva sopra la Pietra. Per tutta la lunghezza della bandiera marciava una figura sinuosa, come un serpente munito di zampe, con una criniera d’oro leonina e le scaglie rosse e oro, che sembrava cavalcare il vento. La bandiera delle profezie, desiderata e temuta. La bandiera del Drago. Il Drago Rinato. Foriera della salvezza del mondo, messaggera di una nuova Frattura. Come oltraggiato da un simile disprezzo, il vento si scagliò contro le dure pareti della Pietra. La bandiera del Drago garrì, incurante nella notte, in attesa della tempesta più potente.

In una stanza nel lato meridionale della Pietra, seduto su una cassapanca ai piedi del letto a baldacchino, Perrin guardava la giovane donna dai capelli scuri camminare avanti e indietro. Nei suoi occhi dorati c’era una traccia di cautela. Di solito Faile lo prendeva in giro, facendo accenni graziosamente divertiti alle sue maniere ponderate; stasera non aveva detto dieci parole da quando aveva oltrepassato quella porta. Perrin poteva fiutare i petali di rosa che erano stati ripiegati fra gli indumenti della ragazza dopo che erano stati lavati e quel profumo che apparteneva solo a lei. E nell’accenno di pulita traspirazione, fiutava nervosismo. Faile non era quasi mai nervosa. Si chiedeva perché adesso la ragazza gli provocasse un prurito in mezzo alle scapole che non aveva niente a che vedere con il calore della sera. La stretta gonna divisa faceva un delicato fruscio mentre camminava.

Perrin si grattò irritato la barba lunga di due settimane. Era anche più riccia dei capelli e teneva caldo. Per la centesima volta pensò di radersi.

«Ti dona» osservò all’improvviso Faile, fermandosi.

Perrin, a disagio, si strinse nelle spalle appesantite dalle lunghe ore di lavoro alla forgia. A volte la ragazza sembrava sapere cosa Perrin pensava. «Mi prude» borbottò, e desiderò di aver parlato con maggior vigore. Era la sua barba; poteva raderla in qualsiasi momento.

Faile lo studiò, con la testa inclinata da un lato. Il naso forte e gli zigomi alti la facevano apparire selvaggia, in contrasto con la voce delicata con la quale stava dicendo: «Ti sta bene.»

Perrin sospirò, e si strinse nuovamente nelle spalle. Non gli aveva chiesto di tenere la barba, e non lo avrebbe fatto. Eppure Perrin sapeva che non si sarebbe rasato. Si chiese come Mat avrebbe gestito la situazione. Probabilmente con un pizzicotto, un bacio e qualche osservazione che l’avrebbe fatta ridere fino a quando non l’avrebbe convinta. Ma Perrin sapeva di non avere i modi di Mat con le ragazze. Mat non si sarebbe mai ritrovato a sudare dietro una barba perché una donna pensava che doveva avere i peli sul viso. A meno che la donna non fosse Faile. Perrin sospettava che il padre doveva rimpiangere molto la sua partenza da casa, e non solo perché era sua figlia. Era il più grande commerciante di pellicce della Saldea, così sosteneva la ragazza, e a Perrin pareva di vederla ottenere ogni volta il prezzo che voleva.

«Qualcosa ti sta preoccupando, Faile, e non è la mia barba. Di cosa si tratta?»

L’espressione della ragazza si fece attenta. Guardò da tutte le parti, tranne che verso di lui, eseguendo una panoramica altezzosa dell’arredamento.

Leoni e leopardi intagliati, falchi in picchiata e scene di caccia decoravano tutto, dall’alto guardaroba alle colonne del letto spesse come una gamba, fino alla panca imbottita davanti al freddo camino di marmo. Alcuni degli animali avevano gli occhi di granato.

Perrin aveva cercato di convincere la majhere che voleva una stanza semplice, ma non sembrava che la donna avesse capito. Non che fosse stupida o lenta. La majhere comandava un reggimento di servitori in numero maggiore dei difensori della Pietra; chiunque comandasse la Pietra, chiunque governasse le mura, lei controllava le attività quotidiane che facevano funzionare il tutto. Ma la donna guardava il mondo attraverso occhi tarenesi. Malgrado l’abbigliamento, lui doveva essere più che il giovane contadino che sembrava, perché la gente comune non veniva mai alloggiata nella Pietra, tranne i difensori e i servitori, naturalmente. Oltre a questo, apparteneva al gruppo di Rand, era un amico o un seguace o comunque vicino al Drago Rinato. Per la majhere, ciò equivaleva a porlo almeno al livello di un Signore della Terra, se non di un Sommo signore. Si era decisamente scandalizzata della stanza senza nemmeno un soggiorno; Perrin credeva che sarebbe svenuta se avesse insistito per averne una ancora più semplice. Se ne esisteva una simile oltre agli alloggi dei servitori o dei difensori. Almeno lì d’oro c’erano solo i candelabri.

Ma l’opinione di Faile era differente. «Dovresti avere qualcosa di meglio. Lo meriti. Puoi scommetterci l’ultimo centesimo che Mat ha qualcosa di meglio.»

«A Mat piacciono le cose sgargianti» rispose semplicemente.

«Tu non difendi i tuoi principi.»

Perrin non commentò. Non era la sua stanza che la faceva odorare di disagio, non più della barba.

Dopo un momento, la ragazza aggiunse: «Il lord Drago sembra avere perso interesse per te. Tutto il suo tempo adesso è impegnato per i Sommi signori.»

Il prurito fra le scapole si acuì; ora sapeva cosa la preoccupava. Cercò di assumere una voce spensierata. «Il Lord Drago? Parli come una di Tairen. Si chiama Rand.»

«È tuo amico, Perrin Aybara, non mio. Se un uomo come quello può avere amici.» Fece un respiro profondo e proseguì con un tono più moderato. «Ho pensato di lasciare la Pietra. Andare via da Tear. Non credo che Moiraine mi fermerebbe. Notizie di... di Rand hanno lasciato la città ormai da due settimane. Non può pensare di tenerlo nascosto più a lungo.»