Faile rise di colpo, una bassa risata gutturale. «Lo faresti, vero? Però non credere che non ti ritroveresti a ballare con il Tenebroso se ci provassi.»
Perrin fu così sorpreso che la lasciò andare. Non riusciva a vedere nessuna grande differenza fra ciò che aveva appena detto e quanto aveva menzionato un attimo prima, ma quello l’aveva fatta infuriare, mentre questo l’aveva preso... teneramente. Non che fosse certo che la minaccia di ucciderlo fosse interamente uno scherzo. Faile aveva dei pugnali nascosti addosso e sapeva come usarli.
Si strofinò i polsi ostentatamente e mormorò qualcosa fra i denti. Colse le parole «bue peloso» e Perrin si ripromise di eliminare ogni pelo di quella stupida barba. Lo avrebbe fatto.
Faile disse ad alta voce: «L’ascia. Era lui, vero? Il Drago Rinato che tentava di ucciderci.»
«Dev’essere stato Rand.» Perrin pose particolare enfasi sul nome. Non gli piaceva pensare all’amico in quell’altro modo. Preferiva ricordare il ragazzo con cui era cresciuto a Emond’s Field.
«Però non cercava di ucciderci. Non lui.»
Faile gli rivolse un sorriso sarcastico, più simile a una smorfia. «Se non ci stava provando, spero non lo faccia mai.»
«Non so cosa stesse facendo. Ma intendo dirgli di fermarsi, e subito.»
«Non so perché mi interessa un uomo che si preoccupa così poco della propria salvezza» mormorò Faile.
Perrin aggrottò le sopracciglia perplesso, chiedendosi cosa intendesse, ma la ragazza si limitò a prenderlo sottobraccio. Perrin stava ancora meditando quando incominciarono ad attraversare la Pietra. L’ascia era rimasta dov’era; incastrata nella porta, dove non avrebbe fatto del male a nessuno.
Con i denti stretti sul cannello lungo di una pipa, Mat aprì un po’ di più la giubba e provò a concentrarsi sulle carte rivolte a faccia in giù davanti a lui e sulle monete sparpagliate in mezzo al tavolo. Si era fatto fare la giacca rossa su modello andorano, della lana migliore, con ricami dorati attorno ai polsini e lungo il colletto, ma giorno dopo giorno il clima gli rammentava quanto Tear fosse molto più a sud di Andor. Il sudore gli grondava dal viso e gli incollava la camicia alla schiena.
Nessuno dei compagni attorno al tavolo sembrava notare il calore, malgrado giubbe che sembravano anche più pesanti della sua, con grosse maniche rigonfie, tutte di seta imbottita, broccato e bande di raso. Due uomini con la livrea rossa e oro mantenevano piene di vino le coppe d’argento dei giocatori e porgevano luccicanti vassoi d’argento con olive, formaggio e noci. Il caldo non sembrava disturbare nemmeno i servitori, anche se di tanto in tanto uno di loro sbadigliava, quando pensava che nessuno stesse guardando. La notte non era giovane.
Mat si trattenne dal sollevare le carte per guardarle nuovamente. Non sarebbero state diverse. Tre governatori, le carte più alte, tre carte su cinque dello stesso seme, erano già abbastanza per vincere molte mani. Sarebbe stato maggiormente a suo agio giocando a dadi; di rado riusciva a trovare un mazzo di carte nei posti dove di solito scommetteva, luoghi dove l’argento cambiava di mano in cinquanta diverse partite di dadi, ma questi giovani lord tarenesi avrebbero preferito indossare stracci piuttosto che giocare a dadi. I paesani giocavano a dadi, anche se lo dicevano a bassa voce. Questi lord non temevano il suo carattere ma chi pensavano fossero suoi amici. Il ‘taglio’ era ciò che giocavano, ora dopo ora, notte dopo notte, usando carte dipinte a mano e laccate da un uomo nella città che si era arricchito grazie a tipi come questi e altri simili. Solo donne o cavalli potevano trascinarli via, ma nessuno dei due per molto.
Mat però aveva imparato velocemente questo gioco e se la fortuna non era buona come con i dadi, sarebbe comunque andata bene. Un sacchetto rigonfio era appoggiato vicino alle sue carte e un altro, anche più gonfio, lo aveva in tasca. Una fortuna, avrebbe pensato una volta a Emond’s Field, sufficiente per vivere il resto dei suoi giorni nel lusso. Le idee riguardo al lusso le aveva cambiate da quando aveva lasciato i Fiumi Gemelli. I giovani signori tenevano le monete in luccicanti pile imprecise, ma Mat non aveva intenzione di cambiare alcune vecchie abitudini. Nelle taverne e nelle locande a volte era necessario andare via velocemente. In particolar modo se la fortuna era con lui.
Quando avrebbe guadagnato abbastanza da permettersi la vita che voleva, avrebbe lasciato la Pietra con la stessa velocità. Prima che Moiraine scoprisse a cosa stava pensando. Sarebbe andato via da giorni, se le cose fossero andate come voleva. C’era oro da arraffare, qui. Una notte a questo tavolo poteva fargli guadagnare più di una settimana di gioco a dadi nelle taverne. Se solo la fortuna avesse attecchito.
Assunse un’espressione leggermente accigliata e, preoccupato, diede una boccata alla pipa per sembrare incerto se le carte fossero abbastanza buone per proseguire. Anche due giovani lord avevano le pipe fra i denti, ma lavorate in argento, con pezzi d’ambra. Nella calda aria ferma i loro tabacchi profumati odoravano come il fuoco nello spogliatoio di una lady. Non che Mat ci fosse stato. Una malattia che lo aveva quasi ucciso gli aveva lasciato una memoria piena di lacune nel migliore dei casi, ma era certo che si sarebbe ricordato di una cosa simile. Nemmeno il Tenebroso potrebbe essere così malvagio da farmela dimenticare, pensò.
«Sono attraccate alcune navi del Popolo del Mare, oggi» borbottò Reimon con la pipa fra i denti. La barba del giovane signore dalle ampie spalle era oleata e tagliata a formare una punta netta. Quella era l’ultima moda fra i giovani signori, e Reimon andava appresso alla moda con la stessa assiduità con cui inseguiva le donne. Ovvero, con appena minor diligenza di come scommetteva. Gettò una corona d’argento sul mucchio in mezzo al tavolo per chiamare un’altra carta. «Un perlustratore. Le imbarcazioni più veloci che ci siano, così dicono. Corrono più veloci del vento, si racconta. Mi piacerebbe vederlo. Che la mia anima bruci, come lo vorrei.» Non si prese il disturbo di guardare le carte che gli erano state servite; non lo faceva mai fino a quando non le aveva tutte e cinque.
L’uomo grassoccio fra Reimon e Mat rise divertito. «Vuoi vedere la nave, Reimon? Intendi dire le ragazze, vero? Le donne. Esotiche bellezze del Popolo del Mare, con gli anelli, i gioielli e quella camminata ondeggiante, eh?» Aggiunse una corona e prese la carta, facendo una smorfia quando la guardò. Non significava nulla; quelle espressioni erano tipiche di Edorion, e le sue carte erano sempre basse e male assortite. Comunque vinceva più di quanto perdeva. «Be’, forse avrò maggiore fortuna con le ragazze del Popolo del Mare.» Il mazziere, alto e slanciato, dall’altro lato di Mat, con una barba appuntita anche più scura e rigogliosa di quella di Reimon, si mise un dito accanto al naso. «Pensi di essere fortunato con quelle, Edorion? Dal modo in cui se ne stanno per conto loro, sarai fortunato se riuscirai a cogliere una folata del loro profumo.» Fece un ampio gesto, inalando profondamente con un sospiro e gli altri signori risero, incluso Edorion.
Un giovane dal volto semplice di nome Estean rise più forte degli altri, passandosi una mano fra i capelli lisci che continuavano a ricadergli davanti alla fronte. Sostituendo la fine giubba di lana gialla con una rozza, sarebbe passato per un contadino, invece che per il figlio di un Sommo signore con la più ricca tenuta a Tear, il più ricco al tavolo. Aveva anche bevuto molto più vino degli altri. Inclinandosi davanti all’uomo al suo fianco, un tipo frivolo di nome Baran che sembrava sempre guardare tutti dall’alto, Estean colpì il mazziere con un dito non troppo fermo. Baran si sporse indietro, distorcendo le labbra attorno al cannello della pipa come se temesse che Estean potesse vomitare.
«Bene, Carlomin» gorgogliò Estean. «La pensi allo stesso modo, vero Baran? Edorion non riuscirebbe nemmeno a coglierne l’odore. Se vuole tentare la fortuna... scommetta... dovrebbe seguire le donnacce Aiel, come il nostro Mat qui. Tutte quelle lance e pugnali. Che la mia anima sia bruciata. Come chiedere a un leone di ballare.» Un silenzio mortale discese attorno al tavolo. Estean proseguì a ridere da solo, poi batté gli occhi e si passò nuovamente la mano fra i capelli. «Che succede? Ho detto qualcosa? Oh! Oh, sì. Loro.»