«L’Amyrlin non può vedere tutti» rispose Faolain con malcelata impazienza. «La prossima udienza pubblica non sarà prima di dieci giorni. Dimmi cosa vuoi, e farò in modo di organizzarti un incontro con la Sorella più in grado di aiutarti.»
Gli occhi di Min si posarono sul fagotto che stringeva fra le mani e lì rimasero, in parte perché così non avrebbe dovuto vedere nuovamente ciò che aveva appena visto. Tutte e tre! Luce! pensò. Cosa poteva provocare la morte di tre Aes Sedai nello stesso giorno? Ma lei sapeva. Sapeva. «Ho il diritto di parlare all’Amyrlin Seat. In persona.» Questa richiesta veniva posta, raramente — chi avrebbe osato? — ma veniva posta. «Ogni donna ha questo diritto e io lo chiedo.»
«Credi che l’Amyrlin Seat in persona riceva tutti quelli che vengono alla Torre Bianca? Di certo un’altra Aes Sedai può aiutarti.» Faolain diede grande enfasi ai titoli, come per sopraffare Min. «Adesso dimmi di cosa si tratta e come ti chiami, così la novizia saprà chi venire a chiamare.»
«Mi chiamo... Elmindreda.» Min sussultò suo malgrado. Aveva sempre odiato quel nome, ma l’Amyrlin era una dei pochi esseri viventi che lo avesse sentito. Se solo se ne fosse ricordata. «Ho il diritto di parlare con l’Amyrlin e la mia domanda è solo per le sue orecchie. Ne ho il diritto.»
L’Ammessa inarcò un sopracciglio. «Elmindreda?» Distorse la bocca in un sorriso divertito. «E proclami i tuoi diritti. Molto bene. Manderò il messaggio alla Custode degli Annali che desideri vedere l’Amyrlin Seat in persona, Elmindreda.»
Min aveva voglia di schiaffeggiare la donna per l’enfasi che aveva posto sul nome, ma si trattenne e mormorò: «Grazie.»
«Non ringraziarmi ancora. Senza dubbio trascorreranno ore prima che la Custode trovi il tempo di inviare una risposta, e di certo potrai porre la tua domanda alla Madre durante la prossima udienza pubblica. Aspetta pazientemente, Elmindreda.» Rivolse a Min un sorriso teso, quasi malizioso, mentre si voltava per andare via.
Digrignando i denti Min afferrò il fagotto e si appoggiò contro una parete fra due arcate, dove provò a fondersi con la pallida pietra lavorata. Non fidarti di nessuno ed evita di farti notare fino a quando non raggiungerai l’Amyrlin, le aveva ordinato Moiraine. Moiraine era un’Aes Sedai di cui si fidava. La maggior parte delle volte. In ogni caso era un buon consiglio. Tutto quello che doveva fare era raggiungere l’Amyrlin, e sarebbe finita. Avrebbe potuto indossare nuovamente i suoi abiti, vedere i suoi amici e andare via. Non ci sarebbe stato più bisogno di nascondersi.
Fu sollevata nel vedere che tutte le Aes Sedai erano sparite. Tre Aes Sedai che sarebbero morte lo stesso giorno. Era impossibile, la sola parola che le veniva in mente. Eppure sarebbe accaduto. Nulla che avrebbe potuto dire o fare avrebbe cambiato quel fato — quando sapeva il significato di un’immagine, il fatto sarebbe accaduto — doveva parlarne all’Amyrlin. Poteva essere importante come le notizie che portava da Moiraine, anche se era difficile crederlo.
Un’altra Ammessa giunse a rimpiazzare quella di prima, e agli occhi di Min le sbarre che fluttuarono davanti a quel volto dalle guance rosse ricordavano una gabbia. Sheriam, la Maestra delle novizie, guardò nella sala — dopo un’occhiata Min mantenne gli occhi bassi. Sheriam la conosceva fin troppo bene — e il volto dell’Aes Sedai dai capelli rossi apparve ferito e coperto di lividi. Era solo una visione, naturalmente, ma in ogni caso Min dovette mordersi il labbro per reprimere un’esclamazione. Sheriam, con la sua calma autorità e certezza, era indistruttibile come la Torre. Di certo nulla poteva farle del male. Eppure qualcosa lo avrebbe fatto.
Un’Aes Sedai sconosciuta a Min, con lo scialle dell’Ajah Marrone, accompagnava alla porta una donna robusta che indossava un abito di fine lana rossa. La donna camminava con la stessa leggiadria di una ragazza, il viso era splendente e rideva quasi di piacere. Anche la Sorella Marrone sorrideva, ma la sua aura svanì come una candela in fiamme. Morte. Ferite, prigionia e ancora morte. Per Min era come se fosse stampato su una pagina.
Abbassò lo sguardo. Non voleva vedere altro. Spero che si ricordi, pensò. Non si era mai sentita disperata durante il lungo viaggio attraverso le montagne della Nebbia, nemmeno nelle due occasioni in cui qualcuno aveva provato a rubarle il cavallo, ma adesso lo era. Luce, fa’ che si ricordi quel maledetto nome, si disse.
«Signora Elmindreda?»
Min sobbalzò. La novizia dai capelli neri in piedi davanti a lei era appena abbastanza grande da stare lontano da casa, forse aveva quindici o sedici anni, però si sforzava di mantenere un certo contegno. «Sì? Sono... Quello è il mio nome.»
«Mi chiamo Sahra. Se vuoi seguirmi...» la voce stridula di Sahra toccò una nota di meraviglia «... l’Amyrlin Seat ti riceverà adesso nel suo studio.»
Min mandò un sospiro di sollievo e la seguì colma di aspettativa.
Il profondo cappuccio del mantello ancora le nascondeva il viso, ma non le impediva di vedere, e più vedeva, più desiderava incontrare l’Amyrlin. Lungo gli ampi corridoi a spirale coperti di piastrelle dai colori vivaci, con i quadri appesi alle pareti e le lampade, camminavano poche persone — la Torre era stata costruita per ospitarne un numero ben maggiore — ma quasi tutte quelle che incontrava salendo erano circondate da immagini o aure che le parlavano di violenza e pericolo.
I Custodi passavano rapidi lanciando appena uno sguardo alle due donne, uomini che si muovevano come lupi a caccia, le spade erano solo un’aggiunta a quell’aspetto mortale, ma tutti sembravano avere volti insanguinati o ferite aperte. Attorno alle loro teste danzavano minacciosamente spade e lance. Le aure lampeggiano selvaggiamente, tremolavano sul ferale filo della morte. Vide cadaveri camminare, sapeva che sarebbero morti lo stesso giorno delle tre Aes Sedai nell’entrata, o al massimo il giorno successivo. Anche alcuni inservienti, uomini e donne con la Fiamma di Tar Valon ricamata sul petto che si affrettavano nelle loro faccende, portavano i segni della violenza. Un’Aes Sedai che aveva intravisto in fondo a un corridoio sembrava avere catene sospese nell’aria attorno a lei, e un’altra, che attraversava il corridoio davanti a Min e la sua guida, sembrò indossare per quasi tutto il tempo della sua apparizione un collare d’argento attorno al collo. Min trattenne il respiro a quella visione; voleva gridare.
«Può essere travolgente per qualcuno che non l’ha mai vista prima» spiegò Sahra, cercando — senza riuscirci — di far sembrare che per lei la Torre fosse un luogo ordinario come il proprio villaggio. «Ma qui sei al sicuro. L’Amyrlin Seat sistemerà tutto.» La voce della ragazza stridette quando menzionò il nome dell’Amyrlin.
«Luce, fa’ che sia proprio così» mormorò Min. La novizia le rivolse un sorriso con l’intenzione di tranquillizzarla.
Quando raggiunsero la sala fuori lo studio dell’Amyrlin, lo stomaco di Min era in totale agitazione mentre tallonava Sahra. Solo il bisogno di fingersi un’estranea l’aveva trattenuta dal correre avanti già da un po’.
Una delle porte dello studio dell’Amyrlin si aprì, e un giovane uomo dai capelli rosso oro ne uscì, quasi scontrandosi con Min e la sua guida. Alto, eretto e forte, con indosso una giacca azzurra fittamente decorata con ricami dorati sulle maniche e il colletto, Gawyn della casata Trakand, il più grande dei figli della regina Morgase di Andor, assomigliava in tutto a un giovane, fiero lord. Un giovane lord furioso. Lei non aveva avuto tempo di abbassare la testa; la stava fissando sotto il cappuccio, dritto in faccia.
Il ragazzo sgranò gli occhi per la sorpresa, quindi li chiuse come fessure di ghiaccio azzurro. «Così sei tornata. Sai dove sono andate mia sorella ed Egwene?»
«Non sono qui?» Min dimenticò tutto nel panico crescente. Prima di accorgersi di cosa stava facendo, lo aveva afferrato per le maniche, fissandolo con un’espressione agitata e costringendolo a fare un passo indietro. «Gawyn, sono partite per raggiungere la Torre mesi fa! Elayne, Egwene e anche Nynaeve. Assieme a Verin Sedai e... Gawyn... io... io...»