— Vieni con me.
— Se vuoi che ti segua, devi portare con te il proiettore.
Annuii, non ancora a mio agio all’idea di quella telepresenza, e presi il piccolo congegno.
— Funziona bene anche se lo tieni in tasca — disse Hollus.
Misi in tasca il congegno e guidai Hollus nell’enorme sala di raccolta del dipartimento di paleobiologia» nel seminterrato del Centro Amministrativo; non fu necessario uscire in una delle aree aperte al pubblico.
La sala di raccolta era piena di armadietti metallici e di scaffalature a giorno con fossili già trattati e innumerevoli contenitori di calchi in gesso, alcuni ancora chiusi mezzo secolo dopo il loro arrivo al museo. Iniziai con l’aprire un cassetto contenente crani di pesci privi di mascella del periodo ordoviciano. Hollus li esaminò, maneggiandoli con delicatezza. I campi di forza emessi dal proiettore d’ologramma parevano definire una solidità che uguagliava esattamente le sembianze fisiche dell’alieno. Ci urtammo un paio di volte, mentre ci facevamo strada negli stretti passaggi della sala di raccolta, e con le mani toccai varie volte quelle di Hollus, mentre gli passavo reperti fossili. Quando la proiezione veniva a contatto con la mia pelle, sentivo una sorta di solletico, l’unica indicazione che in realtà Hollus non era lì.
Mentre lui esaminava i crani, mi venne da dire che avevano un aspetto piuttosto alieno. Hollus parve sorpreso dal mio commento. — Sono curioso — disse — dei vostri concetti di vita aliena.
— Credevo che sapessi tutto sull’argomento — replicai con un sorriso. — Sonde anali eccetera.
— Ormai seguiamo le vostre trasmissioni televisive da quasi un anno. Sospetto però che abbiate materiale molto più interessante di quello che ho visto.
— Cosa hai visto?
— Uno spettacolo riguardante un accademico e la sua famiglia, che sono di origine extraterrestre.
Impiegai un momento a capire. — Ah, quello è 3rd Rock from the Sun. Una commedia.
— Questione di opinioni — disse Hollus. — Ho anche visto il programma sui due agenti federali che danno la caccia agli alieni.
— Gli X-Files.
Sbatté i globi oculari, in segno di assenso. — Mi è sembrato frustrante. Continuano a parlare di alieni, ma in pratica non se ne vede uno. Più istruttiva era una produzione d’arte grafica sugli umani giovani.
— Non ci arrivo.
— Uno di loro si chiama Cartman — disse Hollus.
Risi. — Ah, South Park! Sono sorpreso che, dopo avere visto quei cartoni animati, non abbiate fatto i bagagli e non ve ne siate andati! Posso però mostrarti alcuni esempi migliori. — Mi guardai intorno. In fondo alla sala di raccolta, uno studente del corso di specializzazione passava fra i banchi di microfossili del pliocene. — Abdus! — chiamai.
Lo studente alzò gli occhi, sorpreso, e si avvicinò.
— Sì, Tom? — disse; ma fissava Hollus, non me.
— Abdus, puoi fare un salto al Blockbuster a prendermi alcuni video? — Gli studenti erano utili in tanti modi.
— Porta la ricevuta e Dana ti rimborserà.
Gli dissi che cosa volevo e lui si allontanò rapidamente.
Restai con Hollus a guardare gli esemplari dell’ordoviciano fino a mezzogiorno, poi tornammo in ufficio. Probabilmente, mi dissi, in qualsiasi punto dell’universo l’intelligenza richiedeva un alto metabolismo. Tuttavia pensavo che il Forhilnor potesse irritarsi perché dovevo fare l’intervallo del pranzo (e irritarsi ancora di più perché, interrotto il lavoro, non avrei mangiato quasi niente). Invece pranzò pure lui… ovviamente, a bordo della nave madre in orbita sopra l’Ecuador. Una scena bizzarra: il suo simulacro, che pareva replicare qualsiasi movimento del corpo reale, eseguì i movimenti per trasferire cibo nell’apposita fessura: una scanalatura orizzontale in cima al tronco, lasciata libera dalla stoffa che lo fasciava. Il cibo stesso però era invisibile e avevo l’impressione che Hollus fosse un Marcel Marceau extraterrestre impegnato a mimare il procedimento di nutrirsi.
D’altro lato io avevo bisogno di cibo vero. Susan mi aveva preparato un frappé di fragole e banane e due cosce di pollo avanzate dalla cena del giorno prima. Trangugiai il denso liquido e mangiai mezza coscia. Rimpiansi di non avere un cibo diverso: mi pareva un po’ troppo primitivo, davanti a un alieno, usare i denti per strappare dall’osso la carne, anche se, per quel che ne sapevo, Hollus in quel momento poteva anche ingurgitare dei criceti vivi.
Mentre facevamo colazione, Hollus e io guardammo i video portati da Abdus, sul vcr-tv che avevo chiesto al dipartimento didattico.
Il primo era “Arena”, un episodio della serie Star Trek originale; bloccai subito l’immagine su una inquadratura di Spock. — Vedi quello? — dissi. — È un alieno… un vulcaniano.
— Pare un essere umano — disse Hollus. Poteva mangiare e parlare nello stesso tempo.
— Nota le orecchie.
Hollus smise di ondeggiare avanti e indietro i peduncoli. — E quelle lo rendono un alieno?
— Be’, ovviamente è un attore che recita la parte… un certo Leonard Nimoy. E, sì, le orecchie in teoria suggeriscono la natura aliena del personaggio; quella serie fu fatta senza spendere molto. A dire il vero, Spock è solo per metà vulcaniano; l’altra metà è umana.
— Com’è possibile?
— Sua madre era umana; suo padre, vulcaniano.
— Non ha senso, dal punto di vista biologico — replicò Hollus. — Sembrerebbe più probabile l’incrocio tra una fragola e un essere umano. Almeno si sono evoluti sullo stesso pianeta.
Sorrisi. — Lo so, credimi. Aspetta, però: in questo episodio c’è un altro alieno. — Azionai per un poco l’avanzamento veloce, poi premetti di nuovo il pulsante.
— Quello è un gorn — dissi, indicando il rettile verde, privo di coda, con occhi compositi e una veste color oro. — È il capitano di un’altra astronave. Bello, eh? Mi è sempre piaciuto… mi ricordava un dinosauro.
— Davvero — disse Hollus. — Ciò significa, ancora una volta, che ha un aspetto troppo terrestre.
— Be’, è un attore in un involucro di gomma.
Hollus mi guardò di nuovo come se fossi monsieur de La Palice.
Guardammo per un poco il gorn barcollare sullo schermo, poi tolsi la cassetta e inserii Viaggio a Babel. Non usai l’avanzamento veloce, però; lasciai che il nastro si svolgesse. — Vedi? — dissi. — Quelli sono i genitori di Spock. Sarek è un vero vulcaniano e Amanda, la donna, è una vera donna umana.
— Sorprendente — disse Hollus. — E gli esseri umani credono che simili incroci siano possibili?
Scrollai le spalle. — Be’, è fantascienza. Divertimento. — Andai avanti rapidamente, fino al ricevimento diplomatico. Un robusto alieno dal muso animalesco si avvicinò a Sarek. “No, tu!” disse. “Tu come voti, Sarek di Vulcan?”
— Quello è un tellarita — dissi. Poi ricordando, soggiunsi: — Si chiama Gav.
— Assomiglia ai vostri maiali — notò Hollus. — Anche stavolta, è troppo terrestre.
Andai velocemente avanti ancora un poco. — Questo è un andoriano — dissi. Lo schermo mostrava un umanoide maschio dalla pelle azzurra e dai capelli bianchi, con due grosse antenne segmentate, sporgenti dalla testa.
— Come si chiama? — domandò Hollus, Si chiamava Shras, ma chissà perché mi imbarazzò il fatto di saperlo. — Non ricordo — risposi. Misi un’altra cassetta, l’edizione speciale di Guerre stellari. Andai rapidamente alla sequenza nella cantina. A Hollus piacquero Greedo, il tirapiedi insettiforme di Jabba che affronta Han Solo, e Hammerhead e alcuni altri; ma il Forhilnor rimase dell’idea che gli esseri umani avessero perso l’occasione d’inventare ritratti realistici di vita extraterrestre. Non gli diedi torto.