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C4H5N3O

Le esaminai: non toccavo biochimica da qualche anno. — Uhm, sì. Sì, sono queste.

— Allora, sì — disse Hollus. — Il dna usa queste quattro basi, in tutti i posti dove l’abbiamo trovato.

— Ma in laboratorio abbiamo dimostrato che è possibile usare altre basi; abbiamo perfino realizzato un dna artificiale che usa sei basi anziché quattro.

— Per riuscirci è occorso senza dubbio un intervento fuori del comune — disse Hollus.

— Non lo so. Immagino di sì, comunque. — Riflettei sulla faccenda. — Sei altri pianeti — dissi, cercando di raffigurarmeli a mente.

Pianeti alieni. Pianeti morti.

— Sei altri pianeti — ripetei. — Tutti abbandonati.

— Esatto.

Cercai la parola giusta. — È… spaventoso.

Hollus non obiettò. — In orbita intorno a Sigma Draconis II abbiamo trovato quella che pareva una flotta di astronavi.

— Pensate che degli invasori abbiano spazzato la vita indigena?

— No. Le astronavi erano state costruite senza dubbio dalla stessa razza che aveva edificato sul pianeta le città abbandonate.

— Costruirono astronavi?

— Sì.

— E lasciarono il pianeta?

— Così pare.

— Senza usare le astronavi, che furono abbandonate lì?

— Esattamente.

— Pare… misterioso.

— Lo è di sicuro.

— E i fossili? Su quei pianeti sono avvenute estinzioni di massa coincidenti con le nostre?

Hollus mosse i peduncoli oculari. — Difficile dirlo — rispose. — Se fosse possibile studiare i fossili senza dover fare prima decenni o secoli di ricerche, non avremmo rivelato la nostra presenza. Per quanto ne sappiamo, però, nessuno dei pianeti abbandonati ha avuto estinzioni di massa in epoche coincidenti con 440, 365, 225, 210 e 65 milioni di anni fa.

— Alcune di quelle civiltà erano contemporanee.

Hollus aveva buona conoscenza dell’inglese, ma di tanto in tanto trovava un impaccio. — Prego?

— Alcune di quelle razze sono vissute nello stesso periodo delle altre?

— No. La più vecchia si è estinta tre miliardi di anni fa, pare; la più recente, quella del terzo pianeta di Groombridge 1618, circa cinquemila anni fa, però…

— Sì?

— Però, come ho detto, tutte le razze parevano ugualmente progredite. Gli stili architettonici variavano ampiamente, è ovvio. Per farti un esempio, i nostri ingegneri hanno smantellato una delle navi in orbita intorno a Sigma Draconis II: varie soluzioni erano diverse dalle nostre, ma non molto migliori… forse arretrate di qualche decennio rispetto alle nostre. La stessa cosa vale per tutte le razze che abbandonarono il proprio pianeta: erano appena un po’ più progredite dei Wreed o dei Forhilnor… o dell’Homo sapiens, se è per questo.

— E pensate che accada a tutte le razze? Che ciascuna raggiunga un punto in cui si limita ad abbandonare il pianeta d’origine?

— Esatto — disse Hollus. — Altrimenti qualcosa… forse Dio stesso… viene a portarsele via.

5

Il dipartimento dei soci del ROM pubblicizzava la presenza di Hollus (“Sostenete il museo che richiama visitatori da tutto il pianeta… e oltre!”) e nella prima settimana dall’arrivo del Forhilnor il numero di visitatori crebbe notevolmente. Quando però fu chiaro che era improbabile che la sua navetta atterrasse di nuovo e che non ci sarebbe stato nessun alieno a percorrere il marciapiede, salire i gradini e girare nell’atrio, la folla si ridusse a livelli normali.

Non rividi gli agenti del csis. Il primo ministro Chretien venne davvero al rom per incontrare Hollus: Christine Dorati, ovviamente, trasformò la visita in una vera e propria operazione fotografica. E parecchi giornalisti chiesero a Chrétien, per l’esattezza, di dare assicurazione che all’alieno sarebbe stato concesso di continuare il suo lavoro senza intralci… ossia ciò che, secondo il sondaggio di “Maclean”, il popolo canadese voleva. Il ministro diede la sua assicurazione, ma sospetto che gli operativi del csis fossero sempre lì in giro, in agguato giusto dietro l’angolo.

Nel suo quarto giorno a Toronto, Hollus tornò con me nella sala di raccolta. Avevo aperto un cassetto metallico e gli mostravo una lastra di argillite con un euripteride magnificamente conservato. Spostammo l’esemplare su un banco di lavoro e Hollus adoperò il peduncolo oculare destro per guardare da una delle quattro grandi lenti d’ingrandimento su braccio metallico snodabile, circondate da un tubo al neon. Riflettei brevemente sull’aspetto fisico di quella situazione: un occhio simulato guardava l’immagine ingrandita e i dati erano in qualche modo trasferiti al vero Hollus in orbita sopra l’Ecuador.

Lo so, lo so, probabilmente avrei dovuto lasciarlo in pace. Però, maledizione, quell’idea mi aveva tenuto sveglio la notte fin dalla prima volta in cui Hollus vi aveva accennato. — Come fate a sapere — gli domandai infine — che l’universo ha un creatore?

Hollus curvò i peduncoli oculari per fissarmi. — L’universo è chiaramente progettato; se c’è un progetto, deve esserci per forza un progettista.

Mossi i muscoli della fronte nel modo in cui solevo inarcare le sopracciglia. — A me pare casuale — replicai. — Voglio dire, se le stelle fossero disposte secondo schemi geometrici, sarebbe diverso.

— C’è grande bellezza, nella casualità — disse Hollus.

— Ma parlavo di un progetto più basilare. I parametri fondamentali dell’universo sono stati regolati con infinitesima precisione per favorire la vita.

Immaginavo dove sarebbe andato a parare, ma replicai comunque: — In che modo? — Forse lui sapeva qualcosa che ignoravo, pensai… ed era proprio così.

— La vostra scienza contempla quattro forze fondamentali; in realtà, sono cinque, ma non avete ancora scoperto la quinta. Le quattro forze a voi note sono la gravità, l’elettromagnetismo, il legame nucleare debole e il legame nucleare forte; la quinta è una forza di repulsione che opera su distanze estremamente grandi. I valori di queste forze variano enormemente, ma se fossero solo un poco diversi da quelli attuati, l’universo come lo conosciamo non esisterebbe e la vita non si sarebbe mai potuta formare. Prendiamo la forza di gravità: se fosse un po’ più grande, l’universo sarebbe collassato da tempo. Se fosse un po’ più debole, stelle e pianeti non si sarebbero mai agglomerati.

— Un po’… — ripetei.

— In questi due casi, sì. Vuoi un esempio migliore? Le stelle, è chiaro, devono mantenere un equilibrio tra la forza gravitazionale della propria massa, che cerca di farle collassare, e la forza elettromagnetica della propria emissione di luce e di calore. C’è solo uno stretto intervallo di valori nel quale queste forze si trovano in equilibrio sufficiente a permettere l’esistenza di una stella, A un’estremità ci sono le giganti azzurre e all’altra le nane rosse… né le une né le altre possono portare alla vita. Per fortuna quasi tutte le stelle rientrano nell’intervallo fra questi due tipi… e in particolare per una apparente coincidenza numerica nei valori delle costanti fondamentali nella natura. Se per esempio il valore della forza di gravità fosse diverso di una parte su… un attimo, faccio la conversione nel vostro sistema decimale… di una parte su 1040, la coincidenza numerica salterebbe e ogni stella dell’universo sarebbe o una gigante azzurra o una nana rossa; non esisterebbero soli gialli che brillino su pianeti simili alla Terra.

— Sul serio? Solo una parte su dieci alla quarantesima?

— Sì. Allo stesso modo, se il valore del legame nucleare forte, che tiene insieme i nuclei atomici anche se i protoni per la loro carica positiva cercano di respingersi a vicenda, fosse lievemente inferiore a quello corrente, gli atomi non si formerebbero mai, ostacolati dalla repulsione dei protoni. E se fosse lievemente superiore, esisterebbe solo l’atomo di idrogeno. In entrambi i casi avremmo un universo privo di stelle e di pianeti e di vita.