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Tutto il personale del museo era incuriosito per la presenza di Hollus, ma Donald Chen aveva un interesse particolare nell’alieno. Anzi, era chiaramente stizzito per il fatto che l’alieno fosse venuto a cercare un paleontologo anziché un astronomo. Il vecchio ufficio di Chen si trovava sopra il planetario, mentre il nuovo, lì nel centro amministrativo, era poco più di una bara in verticale… ma lui s’inventava di frequente un pretesto per venire a trovare me e Hollus: mi ero abituato a sentirlo bussare alla porta.

Stavolta Hollus andò ad aprire. Ormai era abbastanza abile con le porte e riusciva ad azionare la maniglia usando uno dei sei piedi per non girarsi e usare la mano. Su una sedia, appena fuori la porta, c’era Bruiser, il Colosso… nomignolo di Al Brewster, un marcantonio della sicurezza del rom, ora assegnato a tempo pieno al dipartimento di paleontologia a causa della visita di Hollus. In piedi vicino a Bruiser c’era Donald Chen.

Ni hao ma? — disse Hollus a Chen. (Avevo avuto la fortuna di partecipare al Progetto Dinosauro, un’operazione congiunta cino-canadese, vent’anni fa, e avevo imparato abbastanza bene il cinese mandarino, quindi non badai alla lingua che usavano.)

— Hao — disse Chen. Con un cenno di saluto a Bruiser, entrò nel mio ufficio e chiuse la porta. Passò all’inglese e salato: — Ciao, A.V.

— A.V.? — disse Hollus, guardando prima Chen e poi me.

Tossii. — È, ah, un soprannome.

Chen si rivolse a Hollus. — Tom guida la guerra contro l’attuale amministrazione del museo. Il “Toronto Star” l’ha battezzato l’Ammazza-vampiri.

—Il potenziale Ammazza-vampiri — lo corressi. — La Dorati continua a fare quasi sempre a modo suo. — Chen aveva in mano un libro antico, scritto in cinese, a giudicare dagli ideogrammi sulla copertina dorata; parlavo la lingua, ma sapevo leggere solo gli ideogrammi più facili. — Cos’è? — domandai.

— Storia cinese — rispose Chen. — Ho scocciato Kung per averlo. — Kung aveva la cattedra Louise Hawley Stone nel dipartimento civiltà mediorientali e asiatiche, un altro amalgama del dopo-Harris e dei suoi tagli.

— Ecco perché volevo vedere Hollus.

Il Forhilnor batté i globi oculari, pronto a rendersi utile.

Chen posò sulla mia scrivania il pesante libro. — Nel 1998, un gruppo di astronomi dell’Istituto di fisica extraterrestre Max Planck, in Germania, ha annunciato la scoperta dei residui di una supernova… ciò che resta dopo l’esplosione di una stella gigante.

— Conosco le supernovae — disse Hollus. — Ne parlavo di recente col dottor Jericho.

— Bene — disse Chen. — Il residuo scoperto da quei tizi è molto vicino, forse 650 anni luce, nella costellazione Vela. Lo chiamano RX J0852.0-4622.

— Notevole — commentò Hollus.

Chen aveva scarso senso dell’umorismo. Proseguì:

— La supernova che originò il residuo avrebbe dovuto comparire nel nostro cielo all’incirca nell’anno 1320. In teoria doveva essere più luminosa della luna e quindi visibile anche di giorno. — Esitò, per vedere se uno di noi metteva in dubbio l’affermazione. Restammo in silenzio e lui continuò: — Eppure non esiste nessun documento storico, di nessun genere, che la riguardi Non è mai stata trovata menzione dell’evento.

Hollus mosse i peduncoli oculari. — Ha detto che si trova in Vela? È una costellazione dell’emisfero meridionale, sia nel vostro cielo sia nel mio. Il vostro pianeta è scarsamente popolato, nell’emisfero meridionale.

— Vero — riconobbe Chen. — In realtà l’unica prova di questa supernova da noi trovata sulla Terra è un picco di nitrato nella neve dell’Antartide, che potrebbe esservi associato; picchi similari sono correlati ad altre supernovae. Vela però è visibile nel paese dei miei antenati! La si vede chiaramente dalla Cina meridionale. Ho pensato che, se esistevano documenti, erano documenti cinesi. — Mostrò il libro. — Qui però non c’è niente. Certo, il 1320 A.D. era nel periodo centrale della dinastia Yuan.

— Ah — dissi solennemente. — La Yuan.

Chen mi fissò come se fossi un filisteo, — La Yuan fu fondata da Kublai Khan a Pechino. I governi cinesi erano di norma generosi nel sostegno alle ricerche astronomiche, ma durante quel periodo le sovvenzioni erano state ridotte, sotto il dominio dei Mongoli. Più o meno come accade oggi nell’Ontario.

— Senza amarezza, vero? — dissi.

Chen scrollò le spalle. — Non ho trovato altro, per spiegare come il mio popolo non abbia lasciato documenti riguardanti la supernova. — Si rivolse a Hollus. — La supernova doveva essere visibile da Beta Hydri come da qui. Il suo popolo ha lasciato documenti sull’evento?

— Controllerò — rispose Hollus. Il simulacro smise di muoversi, perfino il tronco smise di espandersi e di contrarsi. Aspettammo circa un minuto, poi il ragno gigante tornò in vita: Hollus aveva ripreso possesso del suo avatar. — No — disse.

— Nessun documento riguardante una supernova di 650 anni fa?

— Non in Vela.

— Parlavo di anni terrestri, naturalmente.

Hollus parve offeso dell’insinuazione che potesse essersi sbagliato. — Naturalmente — replicò. — La più recente supernova osservata a occhio nudo dai Forhilnor o dai Wreed si trovava nella Grande Nube di Magellano, circa quindici anni fa. Prima di quella, tutt’e due le razze ne videro una nella costellazione che chiamate Serpente, nei primi anni del vostro XVII secolo.

Chen annuì. — La supernova di Keplero. — Guardò me. — Qui era visibile dal 1604. Era di sicuro più luminosa di Giove, ma non certo visibile durante il giorno. — Sporse le labbra, riflettendo. — È affascinante. La supernova di Keplero non si trovava certo nelle vicinanze della Terra o di Beta Hydri o di Delta Pavonis, eppure su tutti e tre i pianeti è stata vista e documentata. La supernova 1987 A, naturalmente, non era nemmeno in questa galassia, eppure tutt’e tre l’abbiamo documentata. Ma l’evento nella costellazione Vela intorno al 1320 era abbastanza vicino. Pensavo che qualcuno l’avesse visto.

— Forse si è frapposta una nube di polvere — disse Hollus.

— Non ci sono nubi di polvere da quelle parti, ora — replicò Chen — e ci sarebbe voluta una nube molto vicina alla stella esplosa oppure molto estesa, per oscurare l’evento alla Terra e a Beta Hydri e a Delta Pavonis. Qualcuno dovrebbe averla vista.

— Un bel rompicapo — disse Hollus. Chen annuì. — Vero, eh?

— Sarò lieto di fornirle tutta la documentazione raccolta dalla mia razza sulle supernovae — disse Hollus. — Forse getterà un po’ di luce su questa faccenda.

Mi domandai se Hollus avesse fatto volutamente la battuta.

— Sarebbe magnifico — disse Chen.

— Farò mandare giù dalla nave madre del materiale — disse Hollus, agitando i peduncoli oculari.

Quando avevo quattordici anni, il museo aveva lanciato una gara per bambini interessati ai dinosauri. Il vincitore avrebbe avuto un mucchio di premi connessi con la paleontologia.

Se fosse stata una gara di banalità sui dinosauri o una prova di normali conoscenze sui dinosauri o se i partecipanti avessero dovuto riconoscere dei fossili, avrei vinto io di sicuro.

Invece era una gara per il migliore pupazzo di dinosauro.

Sapevo di quale dinosauro si trattava: il Parasaurohphus, l’emblema del rom.

Tentai di costruirne uno, usando plastilina e polistirolo e perni di legno.

Fu un disastro. Il cranio, con la sua lunga cresta, continuava a cadere. Non lo terminai mai. Un ciccione vinse la gara; ero presente alla cerimonia della consegna dei premi, uno dei quali era un modellino di Sauropode. Lui disse: “Bello! Un brontosauro!”. Rimasi disgustato: anche nel 1960 nessuno che sapesse qualcosa di dinosauri avrebbe chiamato brontosauro un Apatosaurus.