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Volevo che si mantenesse nell’astratto, nel teorico. Solo qualche commento generale, semplice contesto.

Ma no. No. Lei continuò; segnò il suo punto. Era tutto pertinente per me, per il mio futuro.

Sì, il cancro polmonare spesso si diffonde estensivamente.

Il mio aveva fatto proprio così.

Le rivolsi la domanda che morivo dalla voglia di rivolgerle, la domanda la cui risposta mi atterriva, la domanda più importante che da quel momento definiva ogni cosa, nel mio universo. Quanto ancora? Quanto ancora?

La dottoressa Kohl, finalmente un essere umano e non un robot, evitò per un momento d’incrociare il mio sguardo. U tempo medio di sopravvivenza dopo la diagnosi, disse, era di nove mesi senza cure. La chemioterapia poteva farmi guadagnare un po’ di tempo, ma il mio cancro polmonare era un adenocarcinoma… una parola nuova, una manciata di sillabe che avrei finito per conoscere bene come il mio nome, sillabe, davvero, che definivano ciò che ero e ciò che sarei divenuto meglio di quanto non avessero mai fatto “Thomas David Jericho”. Anche con le cure, solo uno su otto individui affetti di adenocarcinoma era ancora vivo cinque anni dopo la diagnosi; la maggior parte se ne andava… è questa, la frase che usò, “se ne andava”, come se uno si fosse recato al negozio d’angolo a comprare una pagnotta… la maggior parte se ne andava ancora più presto.

Fu come un’esplosione che facesse crollare tutto ciò che Susan e io avevamo conosciuto.

Quel giorno d’autunno l’orologio si era messo in moto.

Il conteggio alla rovescia era iniziato.

Avevo solo circa un anno di vita.

11

Ogni sera, dopo la chiusura al pubblico, Hollus e io scendevamo nella Rotonda Inferiore. Come ricompensa per ciò che gli avrei lasciato guardare, Hollus mi mostrava ricostruzioni di vari periodi del passato geologico di Beta Hydri III e io registravo tutto su videocassetta.

Forse perché la mia vita si approssimava alla fine, dopo un poco ebbi una gran voglia di vedere altro. Hollus aveva parlato di sei pianeti all’apparenza abbandonati dai loro abitanti. Volevo vederli, vedere i più recenti manufatti di quei mondi alieni… le ultime cose che gli abitanti avevano costruito prima di scomparire.

Ciò che Hollus mi mostrò era sorprendente.

Per primo, Epsilon Indi I. Nel continente meridionale c’è una gigantesca piazza racchiusa da mura. Le mura sono di enormi blocchi di granito rozzamente squadrati, ciascuno di più di otto metri di lato. L’area racchiusa, quasi 500 metri di diametro, è piena di detriti: enormi blocchi irregolari di cemento frantumato. Anche se si potessero scalare le mura, il vasto campo di detriti sarebbe una imponente distesa desolata. Nessun animale, nessun veicolo potrebbe attraversarla se non con grande difficoltà; e niente potrebbe mai crescervi.

Poi Tau Ceti II. Al centro di un arido panorama, gli abitanti da tempo scomparsi hanno costruito un disco di pietra nera fusa, con diametro superiore a 2000 metri, spesso più di cinque, a giudicare dal bordo. La superficie nera assorbe il calore del sole, diventa incredibilmente calda: ci si riempirebbe di vesciche, a percorrerla a piedi, e le suole delle scarpe si scioglierebbero.

La superficie di Mu Cassiopeae AI non rivela segno di abitanti scomparsi: 2,4 milioni di anni d’erosione hanno sepolto ogni cosa. Hollus però mi mostrò un modello, ricavato mediante computer, di ciò che i sensori dell’astronave Merelcas avevano rinvenuto sotto gli strati sedimentari: una vasta pianura coperta di torreggianti guglie ritorte, di cuspidi e di altre forme frastagliate; e sotto di essa, una cripta o camera, per sempre celata alla vista. Un tempo quel pianeta aveva un grande satellite, molto più grosso di quanto non sia la Luna rispetto alla Terra, ora ridotto però a un magnifico sistema di anelli. Secondo Hollus, anche gli anelli contavano 2,4 milioni di anni: in altre parole, erano comparsi nello stesso periodo in cui gli abitanti erano scomparsi.

Gli dissi di mostrarmi il resto del pianeta. C’erano arcipelaghi e isole disposte come perle in un filo; la costiera orientale del continente più vasto era assai simile a quella occidentale del secondo per grandezza: chiaro segno di movimenti tettonici.

— Hanno fatto esplodere la loro luna — dissi, sorpreso d’avere avuto quell’intuizione. — Volevano porre fine alle forze di marea che facevano ribollire il nucleo del pianeta; volevano eliminare i movimenti tettonici.

— Perché? — disse Hollus, incuriosito.

— Per impedire che la loro cripta fosse inghiottita — risposi. La deriva continentale provoca il riciclaggio delle rocce della crosta, quelle vecchie sono spinte giù nel mantello e dal magma spinto fuori nelle fosse sottomarine si formano quelle nuove.

— Noi abbiamo ipotizzato che la cripta fosse un deposito di scorie nucleari — disse Hollus. — Lo sprofondamento sarebbe stato il modo migliore per liberarsene.

Annuii. Gli scenari di quel pianeta e di Tau Ceti II e di Epsilon Indi I ricordavano davvero proposte per discariche nucleari sulla Terra: paesaggi artificiali tali da suscitare presentimenti così brutti che nessuno vi avrebbe mai fatto scavi.

— Avete trovato iscrizioni o messaggi riferiti a scorie nucleari? — domandai. I progetti per le discariche terrestri comportavano tutti descrizioni simboliche della natura dei pericolosi materiali immagazzinati, in modo che futuri abitanti della zona capissero che cosa si trovava sepolto nel terreno. L’iconografia proposta andava da facce umane che esprimessero nausea o disgusto per indicare la velenosità della zona, a diagrammi con numeri atomici per indicare con precisione gli elementi chimici sotterrati.

— No — rispose Hollus. — Niente del genere. Nei siti più recenti, almeno… quelli che ti ho mostrato, relativi al periodo di poco precedente la scomparsa di quelle razze.

— Be’, volevano che quei siti rimanessero indisturbati per milioni di anni, immagino… per tanto di quel tempo che eventuali intelligenze che in seguito li scoprissero, non fossero nemmeno della stessa specie di coloro che avevano seppellito le scorie sotto segnalazioni d’avvertimento. Una cosa è il tentativo di trasmettere l’idea di velenosità e di pericolo a membri della propria specie… noi all’avvelenamento associamo occhi chiusi, bocca storta e lingua sporgente… ma ben altra cosa è lo stesso tentativo, se si devono superare le frontiere della specie, soprattutto quando niente si sa della specie a venire.

— Trascuri un particolare — disse Hollus. — Quasi tutte le scorie radioattive hanno una mezza vita inferiore ai centomila anni. Alla comparsa di una nuova specie intelligente, non esisterebbero in pratica pericoli d’avvelenamento.

Corrugai la fronte. — Eppure hanno proprio l’aspetto di siti per il deposito di scorie nucleari, E poi, se i nativi del pianeta sono andati da un’altra parte, forse hanno ritenuto giusto seppellire i propri rifiuti prima della partenza.

Hollus parve dubbioso. — Perché allora su Mu Cassiopeae avrebbero interrotto lo sprofondamento? Come ho detto, è il modo migliore di liberarsi delle scorie nucleari, perfino meglio del lancio nello spazio. Se l’astronave esplode, si può verificare la contaminazione nucleare di mezzo pianeta; ma se le scorie sono fatte sprofondare nel mantello, ci si libera di esse una volta per tutte. Questo è appunto il sistema adottato dalla mia specie.

— Be’, forse hanno seppellito altro, sotto quelle segnalazioni d’avvertimento — dissi. — Qualcosa di così pericoloso che volevano assicurarsi che nessuno lo scoprisse mai, in modo da non attribuire a loro la colpa. Forse gli abitanti di Mu Cassiopeae temevano che se la cripta fosse sprofondata, le pareti si sarebbero fuse e ciò che vi avevano imprigionato… una bestia, forse… sarebbe fuggito, E poi, tutte quelle razze, anche dopo avere seppellito ciò di cui avevano paura, hanno lasciato il pianeta d’origine per mettere la maggiore distanza possibile tra se stessi e ciò che si lasciavano alle spalle.