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Avevo pensato a lei con simpatia, nel corso degli anni, ma non immaginavo che l’avrei rivista. Finii per tornare a Toronto e, con la mente sempre rivolta al passato e mai a sufficienza al futuro, alla fine decisi, ormai negli “anta”, d’avere bisogno di consigli finanziari per la futura pensione e scoprii che il commercialista da me scelto non era altri che Susan. Ora di cognome faceva De Santis, per un breve matrimonio fallito quindici anni prima. Ravvivammo la vecchia relazione e ci sposammo l’anno seguente. Anche se lei aveva quarantun anni e c’erano dei rischi, decidemmo di avere un figlio. Provammo per cinque anni. Susan rimase incinta una volta, in tutto quel tempo, ma ebbe un aborto.

Alla fine decidemmo di adottare un figlio. Le pratiche richiesero un paio d’anni. Adesso però il nostro Richard Blaine Jericho aveva sei anni.

Sarebbe stato ancora in famiglia, alla morte del padre. Avrebbe frequentato ancora le elementari.

Susan lo mise a sedere sul divano e io mi inginocchiai accanto a lui.

— Ehi, giovanotto! — dissi. Gli presi la mano.

— Sì, papà. — Si dimenò un poco, non mi guardò negli occhi. Forse pensava d’averne combinata una.

Rimasi in silenzio per qualche attimo. Avevo riflettuto molto su che cosa avrei detto, ma ora le parole che avevo preparato parevano del tutto inadeguate.

— Come va, giovanotto? — dissi.

— Bene.

Lanciai un’occhiata a Susan. — Be’, a papà non va tanto bene.

Ricky mi guardò.

— A dire il vero — continuai — papà sta molto male. — Lasciai che comprendesse quelle parole.

Non avevamo mai detto bugie a Ricky, su nessun argomento. Sapeva d’essere figlio adottivo. Gli avevamo sempre detto che Babbo Natale era solo una finzione. E quando aveva domandato da dove vengono bambini, gli avevamo detto anche quello. Adesso, però, rimpiansi che non avessimo seguito una via diversa… che fossimo stati sempre sinceri con lui.

Ovviamente aveva capito abbastanza presto. Aveva visto che ero cambiato, che perdevo i capelli, che dimagrivo, forse aveva sentito che mi alzavo di notte per vomitare…

Forse m’aveva anche sentito piangere, quando pensavo che lui non ci fosse.

— Male, quanto? — domandò Ricky.

— Molto.

Mi guardò ancora. Mossi la testa in un cenno d’assenso per fargli capire che non scherzavo.

— Perché? — chiese Ricky.

Susan e io ci scambiammo un’occhiata. Era la stessa domanda che continuavo a farmi io. — Non so — risposi.

— Qualcosa che hai mangiato? Scossi la testa.

— Sei stato cattivo?

Una domanda inattesa. Riflettei un momento. — No, non credo.

Restammo tutti in silenzio per un poco. Alla fine Ricky disse piano: — Non stai per morire, vero, papà?

Avevo avuto intenzione di dirgli la verità, senza abbellimenti. Di mettere le cose in chiaro. Ma, giunto il momento, fui obbligato a dargli più speranza di quanto non avesse dato a me la dottoressa Kohl.

— Forse — dissi. Solo forse.

— Ma… — protestò con una vocina. — Non voglio che muori.

Gli strinsi la mano. — Neanche io voglio morire, però… però è come quando mamma e io ti facciamo pulire la tua stanza. A volte ci tocca fare cose che non vorremmo.

— Farò il bravo — disse. — Farò sempre il bravo, se non muori.

Mi piangeva il cuore. Ricky contrattava. Uno degli stadi.

— Non ho davvero scelta, in questa faccenda — dissi. — Magari l’avessi!

Batteva di continuo le palpebre, stava per piangere.

— Ti voglio bene, papà.

— Anch’io ti voglio bene.

— Cosa… cosa faremo, mamma e io?

— Non preoccuparti, giovanotto. Continuerete a stare qui. Non dovrete pensare ai soldi. L’assicurazione basta e avanza.

Ricky mi guardò: non capiva, era chiaro.

— Non morire, papà. Per favore, non morire.

Lo strinsi a me e Susan ci abbracciò.

12

Per quanto, come vittima, il cancro mi atterrisse, come biologo mi affascinava.

I proto-oncogeni, i normali geni con il potenziale di scatenare il cancro, esistono in tutti i mammiferi e uccelli. Anzi, ogni proto-oncogene finora identificato è presente negli uni e negli altri. Ora, gli Uccelli derivano dai Dinosauri, che derivano dai Tecodonti, che derivano dai primitivi Diapsidi, che derivano dai Captorinomorfi, i primi veri rettili. Intanto i Mammiferi si sono evoluti dai Terapsidi, che derivano dai Pelicosauri, che derivano dai primitivi Sinapsidi, che derivano anch’essi dai Captorinomorfi. Poiché i Captorinomorfi, l’antenato comune, risalgono al carbonifero superiore, quasi 300 milioni di anni fa, i geni in comune esistono da almeno altrettanto tempo (e infetti abbiamo trovato ossa fossili cancerose, che confermano come il grande C sia esistito almeno fin dal giurassico).

Per un verso, non è sorprendente che quei geni siano in comune: i proto-oncogeni sono adibiti al controllo della suddivisione delle cellule e allo sviluppo degli organi; prima o poi scopriremo, credo, che la loro serie completa è comune a tutti i vertebrati e forse a tutti gli animali.

Il potenziale del cancro, a quanto pare, è inserito nel tessuto stesso della vita.

Hollus era incuriosito dalla cladistica, lo studio di come tratti distintivi condivisi implichino antenati comuni; sul suo pianeta, era quello il principale strumento per gli studi dell’evoluzione. Pareva appropriato, quindi, mostrargli il nostro adrosauro, un dado per antonomasia.

Era martedì, il giorno più tranquillo del ROM, e mancava poco all’ora di chiusura. Hollus scomparve e mi diressi alla Galleria Dinosauri, tenendo in tasca il proiettore d’ologramma. La galleria consiste in due lunghe sale collegate a una estremità; l’ingresso e l’uscita si trovano fianco a fianco. Varcai l’uscita e mi diressi in fondo. Non c’era nessuno; vari annunci per altoparlante riguardanti l’imminente chiusura avevano fatto uscire i visitatori. In fondo a questo corridoio c’è la sala del nostro adrosauro, dipinta a strisce orizzontali rossicce e dorate, che rappresentano l’arenaria dei calanchi dell’Alberta. La sala contiene tre magnifiche montature a parete. Mi fermai davanti a quella di centro, un tracodonte a becco d’anitra che la targa definiva Kritosaurus, anche se da più di dieci anni sapevamo che probabilmente si trattava di un Gtyposaurus, forse il mio successore avrebbe trovato il tempo e i soldi per aggiornare le targhe della galleria. L’esemplare, raccolto da Parks durante la prima stagione sul campo, nel 1918, è grazioso, con le costole ancora nella matrice e i tendini lungo la coda ben ossificati.

Hollus ricomparve e cominciai a parlare di come i corpi di adrosauro fossero virtualmente indistinguibili l’uno dall’altro e che solo la presenza o l’assenza della cresta e la forma della cresta rendessero possibile la distinzione fra i diversi generi. Proprio mentre sollevavo un polverone su questo argomento, un bambino entrò nella sala, dalla parte opposta a quella usata da me, sbucando dal diorama poco illuminato dei mari del cretaceo. Era di razza bianca, ma aveva pliche epicantiche, mascella cascante e sporgeva un poco la lingua; si limitò a fissare il Forhilnor.