— Ciao — disse Hollus.
Il bambino sorrise, evidentemente felice di sentir parlare l’alieno. — Ciao — rispose, lento e deciso.
Una donna senza fiato girò l’angolo ed entrò nella sala dell’adrosauro. Lanciò un gridolino nel vedere Hollus, si precipitò dal bambino e lo prese per mano. — Eddie! — disse. — Ti ho cercato da tutte le parti. — Si rivolse a noi: — Mi spiace che vi abbia disturbato.
— Non ci ha disturbato — disse Hollus.
Dall’altoparlante provenne un annuncio: “Signore e signori, il museo è chiuso. Si pregano tutti i visitatori di raggiungere subito l’uscita principale…”.
La donna tirò via Eddie, che continuò a girare la testa e a guardarci per tutta la Galleria Dinosauri.
Hollus si rivolse a me: — Quel bambino era diverso da tutti quelli che ho visto.
— Sindrome di Down — spiegai. — Ritarda lo sviluppo mentale e fisico.
— Cosa la provoca?
— La presenza di un cromosoma ventuno in più; tutti i cromosomi dovrebbero essere in coppia, ma a volte un terzo si unisce agli altri due.
Hollus mosse i peduncoli oculari. — Abbiamo una sindrome analoga, ma quasi sempre è rilevata già nell’utero. Nel nostro caso, si forma una coppia di cromosomi senza telomero a un’estremità; i due capi si uniscono, rendendo il cromosoma due volte più lungo del normale. Il risultato è la perdita completa della capacità linguistica, molte difficoltà di percezione spaziale e morte precoce. — Esitò. — Eppure l’elasticità della vita mi stupisce sempre. È notevole che una cosa così importante come un cromosoma in più o due cromosomi uniti a formarne uno solo non impedisca all’organismo di funzionare. — Guardò ancora nella direzione in cui si era allontanato il bambino. — Quel bambino… Anche per lui la vita sarà più breve?
— Probabilmente. La sindrome di Down ha quell’effetto.
— È triste.
Rimasi in silenzio per un poco. C’era una piccola nicchia su un lato della sala, nella quale un antiquato proiettore di diapositive mostrava come si formano e vengono portati alla luce i fossili di dinosauro. Avevo ovviamente ascoltato un milione di volte la colonna sonora. La proiezione dopo un poco terminò e poiché nessuno premette il grasso pulsante rosso per riavviarla, Hollus e io ci trovammo da soli nella galleria silenziosa, con l’unica compagnia di scheletri.
— Hollus — mi decisi a dire.
Il Forhilnor riportò su di me l’attenzione. — Sì?
— Quanto… quanto pensi di trattenerti qui? Voglio dire, ancora per quanto tempo hai bisogno della mia collaborazione?
— Chiedo scusa. Ho mancato di riguardo. Se ti porto via troppo tempo, dimmelo e andrò via.
— No, no, non si tratta di questo. Sono molto contento della tua presenza, credimi. Però… — Sospirai.
— Sì?
— Devo dirti una cosa.
— Sì?
Trassi di nuovo un respiro profondo ed espirai lentamente. — Te ne parlo perché hai il diritto di sapere — dissi ed esitai di nuovo, chiedendomi come continuare. — Quando sei venuto nel museo, lo so, hai chiesto di parlare a un paleontologo, uno qualsiasi. Non hai scelto me in particolare. Anzi, saresti potuto andare in un altro museo: Phil Curie del Tyrrell o Mike Brett-Surman dello Smithsonian sarebbero stati felici che tu avessi bussato alla loro porta.
Tacqui. Hollus continuò a guardarmi, paziente.
— Scusami — ripresi. — Avrei dovuto dirtelo prima. — Inspirai di nuovo e trattenni il fiato il più possibile. — Hollus, sto per morire.
L’alieno ripeté l’ultima parola come se non l’avesse mai sentita. — Morire?
— Ho un tumore incurabile. Mi resta solo qualche mese di vita.
Hollus rimase in silenzio per vari secondi. Poi dalla bocca sinistra emise: — Io… — e per un poco non aggiunse altro dalla destra. Alla fine disse: — È consentito esprimere rincrescimento in simili circostanze?
Annuii.
— Mi / spiace — dissero le due bocche. Di nuovo l’alieno rimase in silenzio per qualche secondo. Poi riprese: — Mia madre morì di cancro. Una malattia terribile.
Non avevo certo niente da obiettare, su questo, — So che devi fare ancora un mucchio di ricerche. Se preferisci lavorare con un altro paleontologo, capisco benissimo.
— No — disse Hollus. — No. Siamo una squadra.
Sentii una stretta al cuore. — Grazie.
Hollus mi guardò ancora un momento, poi indicò l’adrosauro, la ragione per cui eravamo lì. — Per favore, Tom — era la prima volta che mi chiamava per nome — continuiamo il nostro lavoro.
13
Ogni volta che incontravo una nuova forma di vita, cercavo di immaginarne gli antenati… deformazione professionale, immagino. La stessa cosa accadde quando Hollus finalmente mi presentò un Wreed; i Wreed sono schivi, ma chiesi di conoscerne uno, a parziale compenso dell’esame delle nostre collezioni.
Ci sistemammo nella sala per conferenze al quinto piano del centro amministrativo; anche stavolta una serie di telecamere registrava l’evento. Misi sul lungo tavolo di mogano il proiettore d’ologramma, accanto al microfono dello speaker. Hollus parlò nel linguaggio musicale della sua razza e all’improvviso nella sala ci fu un secondo alieno.
Gli esseri umani si sono evoluti dai pesci; le nostre braccia erano in origine le pinne pettorali (e le dita, le ossa di sostegno che davano a quelle pinne la rigidità) e le nostre gambe, le pinne pelviche.
Anche i Wreed si erano evoluti quasi sicuramente da una forma di vita acquatica. Il Wreed davanti a me aveva due gambe, ma quattro braccia ugualmente intervallate intorno alla parte superiore di un tronco a forma di pera capovolta. Le quattro braccia risalivano forse non solo alle pinne pettorali, ma anche alle asimmetriche pinne dorsali e ventrali. Quelle antiche pinne pettorali forse avevano avuto quattro puntoni d’irrigidimento, perché la sinistra e la destra avevano quattro dita ciascuna (due centrali e due pollici mutuamente opponibili). La mano frontale, presumibilmente derivata dalla pinna ventrale, aveva nove dita. E la mano posteriore, che pensai derivasse dalla pinna dorsale, aveva sei grosse dita.
Il Wreed non aveva testa e, per quanto potevo vedere, nemmeno occhi né naso. Presentava una lucente striscia nera intorno alla parte superiore del tronco; non riuscivo a immaginare a che cosa servisse. E aveva zone con complicate pieghe della pelle sui due lati delle braccia, anteriore e posteriore; forse erano orecchie.
La pelle del Wreed era coperta dello stesso materiale che si è evoluto sulla Terra in varie specie di ragni e d’insetti, in tutti i mammiferi, in alcuni uccelli e perfino in alcuni rettili antichi: pelo. Circa un centimetro di folta pelliccia rosso-marrone copriva gran parte del tronco superiore e le braccia fino al gomito; il tronco inferiore, gli avambracci e le gambe, glabri, rivelavano una coriacea pelle azzurro-grigio.
L’unico indumento del Wreed era un’ampia cintura che cingeva la stretta parte inferiore del tronco e che era sostenuta dai fianchi bitorzoluti. La cintura mi ricordò quella di Batman… era perfino dello stesso color giallo vivo, rivestita di quelle che presumevo fossero tasche. Al posto dell’emblema di pipistrello, la fibbia recava una girandola rosso vivo.
— Thomas Jericho — disse Hollus — ti presento T’kna.
— Salve — dissi. — Benvenuto sulla Terra.
I Wreed, come gli esseri umani, usano un singolo orifizio per parlare e per mangiare: la bocca era posta in una depressione, sulla parte superiore del tronco. Per alcuni secondi T’kna emise suoni che parevano l’acciottolio di sassi in una lavatrice. Appena la bocca smise di muoversi, vi fu un breve silenzio; poi dalla cintura del Wreed provenne una profonda voce sintetica. Disse: — Un animato parla per un inanimato?