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— Dio — dissi.

La parola echeggiò debolmente nel focolare di mattoni.

Ripetei quella parola. — Dio? — Una domanda, stavolta, un invito a rispondere.

Non ci fu risposta, ovviamente. Perché a Dio doveva importare che morissi di cancro? In quello stesso momento, milioni di persone in tutto il mondo combattevano questa o quella forma dell’eterno nemico. Di sicuro i bambini nei padiglioni per leucemici avrebbero attirato prima la sua attenzione.

Tuttavia riprovai, pronunciai per la terza volta la parola che avevo adoperato solo come bestemmia. — Dio?

Non ci fu segno e in realtà mai ci sarebbe stato. Non è questa, la base della fede?

— Dio, se Hollus ha ragione… se i Wreed e i Forhilnor hanno ragione e tu hai progettato l’universo pezzo per pezzo, costante fondamentale per costante fondamentale… allora non potevi evitare il cancro? Quale bene può fare a chicchessia?

Le vie del Signore sono misteriose. La signora Lansbury lo diceva sempre. Tutto accade per uno scopo.

Stronzate. Stupidaggini insensate. Mi sentii annodare lo stomaco. Il cancro non si manifestava per uno scopo. Dilaniava le persone; se un dio aveva creato la vita, allora era un operaio scadente che sfornava prodotti difettosi, autodistruttivi.

— Dio, vorrei… vorrei che tu avessi deciso di fare le cose in maniera diversa.

Era il massimo cui potevo giungere. Susan aveva detto che la preghiera non è per chiedere… e non riuscivo a chiedere pietà, a chiedere di non morire, a chiedere di vedere mio figlio che si laureava, a chiedere di diventare vecchio insieme con mia moglie.

Proprio allora la porta si aprì. Mi ero perduto nei pensieri, evidentemente, altrimenti avrei sentito Susan far tintinnare le chiavi, mentre apriva.

Mi accorsi di diventare rosso. — Trovato! — esclamai, come se parlassi fra me e me, fingendo di raccogliere un oggetto smarrito. Mi alzai e sorrisi, imbarazzato, alla mia incantevole moglie e al mio bellissimo figliolo. Ma non avevo trovato un bel niente.

25

Nel 1997, Stephen Pinker venne al rom per promuovere il suo nuovo libro, How the Mind Works. Ascoltai la sua affascinante conferenza. Fra le altre cose, Pinker sottolineò che gli esseri umani, anche attraverso frontiere culturali, usano nel linguaggio consistenti metafore. Le discussioni sono sempre battaglie. Lui ha vinto; io ho perduto; lui mi ha sconfitto; lei ha attaccato punto su punto; lui mi ha costretto a difendere la posizione; ho dovuto battere in ritirata.

Le faccende di cuore si ispirano a pazienti o malattie. Hanno una relazione nauseante; lui l’ha fatta finita; lei si è guastata con lui; la cosa gli ha spezzato il cuore.

Le idee sono cibo. Cibo per la mente; qualcosa da masticare; il suo suggerimento mi lasciò in bocca un sapore cattivo; non potevo digerire l’idea; un’ironia squisita; l’idea mi ha tenuto in vita.

La virtù si ispira al “su”, presumibilmente in relazione alla nostra postura eretta. Lui è un cittadino da portare in palma di mano; non mi abbasso a farlo; non sprofonderei così in basso; cercai di salire al suo livello.

Eppure fu solo dopo avere incontrato Hollus che capii quanto fosse unico questo modo di pensare dell’uomo. Hollus aveva imparato bene l’inglese e spesso adoperava metafore umane. Ma di tanto in tanto nei suoi discorsi scorgevo per un attimo quello che presumevo fosse il vero modo di pensare forhilnor.

Per Hollus l’amore era astronomico… due individui giungevano a conoscersi così bene che i loro movimenti potevano essere previsti con assoluta precisione. “Amore nascente” significava che gli affetti sarebbero stati lì l’indomani, con la stessa certezza con cui il sole sarebbe sorto. “Una nuova costellazione” era un nuovo amore fra vecchi amici… il vedere un disegno fra le stelle che c’era sempre stato, ma che fino a quel momento nessuno aveva notato.

E la morale si basava sull’integrazione di pensiero: “quel pensiero si alterna bene” era riferito a un concetto che provoca un significativo passaggio da una bocca all’altra. Un pensiero immorale era quello che proveniva da un solo lato: “Era tutto a sinistra con quell’idea.” Un’idea “da mezzo cervello” non era per Hollus un’idea stupida, era un’idea malefica. E per quanto i Forhilnor parlassero come noi di “ripensamenti”, usavano la parola per significare che l’altra metà del cervello finalmente contribuiva, riportava l’individuo a una posizione morale.

Come Hollus aveva spiegato la sera in cui venne a cena da me, i Forhilnor alternavano sillabe o parole fra le due bocche perché il loro cervello, come il nostro, era diviso in due lobi e la coscienza proveniva, ancora più che nel nostro caso, dall’interazione fra quei due lobi. Gli esseri umani spesso parlano di un pazzo come di uno che ha perduto il cervello… assimilando il cervello alla presa sulla realtà. I Forhilnor non usavano quella metafora, ma usavano la nostra sullo sforzo per “tenerlo insieme”, anche se nel loro caso ci si riferiva direttamente all’integrazione delle due metà del cervello; i Forhilnor in buona salute come Hollus sovrapponevano in parte le sillabe del proprio nome… “lus” iniziava dalla bocca destra prima che “Hol” fosse uscito completamente dalla bocca sinistra… per comunicare agli astanti che le due metà del proprio cervello erano sicuramente integrate.

Inoltre Hollus mi aveva detto che la fotografia ad alta velocità mostrava che i loro peduncoli oculari in realtà non si muovevano come immagini speculari l’uno dell’altro. Anzi, uno assumeva sempre la guida e l’altro seguiva con una frazione di secondo di ritardo. Il peduncolo guida (e la metà del cervello che comandava) variavano da momento a momento; lo studio di quale lobo iniziava una certa azione era al centro della psicologia forhilnor.

Poiché Susan mi aveva messo in mente la domanda, avevo chiesto davvero a Hollus se credeva nelle anime. Molti Forhilnor moderni, Hollus compreso, non vi credevano, ma i miti forhilnor sulla vita dopo la morte derivavano dalla loro personalità cerebralmente suddivisa. In passato, molte religioni forhilnor sostenevano che ogni individuo possedesse non una, ma due anime, una per ogni metà del corpo. Il loro concetto di vita dopo la morte consisteva in due possibili destinazioni, un paradiso (anche se non era luogo di beatitudine come quello giudaico-cristiano… “anche in paradiso, la pioggia deve cadere” era un luogo comune forhilnor) e un inferno (anche se non era luogo di tortura e di patimento, perché il loro dio non era mai stato vendicativo). I Forhilnor non si basavano sugli estremi: avere così tanti arti forse li portava a vedere le cose come più equilibrate (non ho mai visto Hollus più stupito di quando, reggendomi su una gamba, controllai se avevo qualcosa appiccicato alla suola della scarpa: era sorpreso che non mi fossi ribaltato).

Comunque, le due anime forhilnor potevano andare una in paradiso e l’altra all’inferno; o una lontano e l’altra più lontano (i regni dopo la morte non erano “sopra” e “sotto”… anche questo un concetto umano di estremi contrapposti). Se tutt’e due le anime andavano nello stesso posto, anche all’inferno, la vita dopo la morte era migliore che non nella suddivisione, perché in questo caso sarebbe andata perduta la personalità della forma fisica dell’individuo. Un Forhilnor dall’anima divisa era realmente morto: non c’era più traccia di ciò che era stato.

Perciò Hollus era in parte confuso dalla mia paura di morire. — Voi umani credete di avere una singola anima integrata — disse il Forhilnor. Eravamo nella sala delle collezioni, a esaminare dei rettili del Sudafrica simili a mammiferi. — Allora che cosa temete? Secondo la vostra mitologia, anche da morti mantenete l’identità. Di sicuro non ti preoccupi di finire all’inferno, vero? Non sei un uomo malvagio.

— Non credo nell’anima e nella vita dopo la morte.

— Ah, bene. Sono sorpreso che in questo tardo stadio di sviluppo della tua specie, così tanti umani colleghino ancora il concetto di divinità all’idea di avere un’anima immortale: l’uno non richiede di sicuro l’altra.