Выбрать главу

Non l’avevo mai pensata in quel modo. Forse il dio di Hollus era la detronizzazione finale stile copernicano: sì, un creatore esiste, ma le sue creature non hanno anima. — Eppure — dissi — anche se credessi nella vita dopo la morte descritta dalla religione di mia moglie, non sono sicuro d’essere abbastanza buono da andare in paradiso. L’asticella potrebbe essere posta troppo in alto per me.

— L’asticella?

— Una metafora, un riferimento al salto in alto, un nostro sport. Più in alto è posta l’asticella da superare col salto, più difficile è l’impresa.

— Ah. Una nostra metafora paragonabile a questa riguarda passaggi sempre più stretti. Tuttavia non puoi non sapere che la paura di morire è irrazionale: la morte giunge per tutti.

Per lui era un fatto clinico: non era quello a cui rimaneva solo qualche mese di vita. — Lo so — replicai, forse un po’ troppo bruscamente. Inspirai a fondo per ritrovare la calma: Hollus era davvero mio amico, non c’era motivo di trattarlo male. — Non ho una vera e propria paura della morte — mentii. — Non voglio che giunga così presto, ecco. — Esitai. — Sono sorpreso che voi non l’abbiate sconfitta. — Non gettavo l’esca, davvero.

— Altro modo di pensare umano — disse Hollus. — La morte come avversario da sconfiggere.

Avrei dovuto fargli vedere Il settimo sigillo… oppure Bill and Tad’s Bogus Journey. — A parte tutto — dissi — mi sarei aspettato che foste riusciti a prolungare la vita.

— L’abbiamo prolungata. La durata media, prima della scoperta degli antibiotici, era la metà di quella attuale; prima della scoperta dei medicinali per disintasare le arterie, era solo tre quarti di quella attuale.

— Sì, però… — Cercai il modo migliore per esprimere il mio punto. — Poco tempo fa ho visto alla ctv l’intervista a un medico. Sosteneva che il primo essere umano in grado di vivere per sempre probabilmente era già nato. Presumiamo di poter sconfiggere… scusa, evitare… la morte e riteniamo che in teoria non sia impossibile vivere per sempre.

— Non sono sicuro che mi piacerebbe vivere in un mondo in cui l’unica certezza sono le tasse — disse Hollus, increspando i peduncoli oculari. — E poi i miei figli sono la mia immortalità.

Rimasi sorpreso. — Hai dei figli? — domandai. Perché non mi era mai venuto in mente di chiederglielo?

— Sì. Un maschio e una femmina. — Poi, con un comportamento sorprendentemente umano, soggiunse: — Vuoi vedere le foto?

Annuii. Il proiettore ronzò piano e a un tratto nella sala ci furono altri due Forhilnor, in formato naturale, ma immobili. — Lui è Kassold — disse Hollus, indicando quello a sinistra. — E lei è Pealdon.

— Sono già adulti? — domandai. Pealdon e Kassold parevano della stessa grandezza di Hollus.

— Sì. Pealdon è una… come dite, voi? Una che lavora nel teatro e dice agli attori quale interpretazione è permessa.

— Regista — suggerii.

— Una regista, sì. Volevo vedere i vostri film anche per migliorare il mio giudizio sul cinema umano a paragone delle opere forhilnor. E Kassold è… uno psichiatra, immagino. Cura i disordini mentali forhilnor.

— Sarai sicuramente orgoglioso di loro.

Hollus ballonzolò. — Quanto, non ne hai idea — disse.

A metà pomeriggio Hollus era scomparso; lui… no, lei! Per l’amor del cielo, era una madre!… aveva detto di dover fare un’altra ricerca. Ne approfittai per frugare nella pila di carte sulla mia scrivania e per riflettere un poco su quel che avevo fatto il giorno precedente. Alan Dershowitz, uno dei miei columnist preferiti, una volta disse: “Proprio mentre prego, dubito maggiormente di Dio; e mentre guardo le stelle, ritrovo tutta la fede”. Chissà sell proiettore emise il segnale bitonale. Ne fui sorpreso: non m’aspettavo di rivedere Hollus per quel giorno, invece eccola lì a manifestarsi col solito tremolio… e pareva più eccitata di quanto non l’avessi mai vista: peduncoli in rapido ondeggiamento e tronco sussultante come se una mano invisibile lo sbatacchiasse.

— L’ultima stella da noi visitata prima di venire qui — disse Hollus, non appena l’immagine si stabilizzò — era Groombridge 1618, distante circa sedici anni luce dalla Terra. Il suo secondo pianeta aveva un tempo una civiltà, come gli altri pianeti da noi visitati. Gli abitanti però erano scomparsi.

Sorrisi. — Bentornata.

— Cosa? Sì, sì. Grazie. Ora li abbiamo trovati. Abbiamo trovato gli abitanti scomparsi.

— Proprio ora? E come?

— Ogni volta che scoprivamo un pianeta in apparenza abbandonato, facevamo una scansione dell’intera volta celeste. L’assunto è semplice: se gli abitanti hanno abbandonato il loro pianeta, forse hanno usato astronavi. E le astronavi avrebbero preso il percorso più breve fra il pianeta e la destinazione, perciò lo scarico di fusione… assumendo che la nave abbia motore a fusione… potrebbe essere puntato verso il pianeta patrio. Abbiamo controllato nella direzione di ogni stella classe F, G e K nel raggio di settanta anni luce di Groombridge, cercando una firma di fusione artificiale parzialmente sovrapposta sullo spettro di quelle stesse stelle.

— E avete trovato qualcosa?

— Non abbiamo mai trovato niente. Fino a ieri. Avevamo conservato la scansione nei nostri computer, naturalmente. Ho ricuperato la scansione e ho scritto un programma per una ricerca più ampia, un controllo di ogni stella di ogni tipo, nel raggio di cinquecento anni luce… cioè, anni luce forhilnor, pari a circa 720 terrestri. E il programma l’ha trovato: uno scarico di fusione in linea diretta fra Groombridge e la stella Alpha Orionis.

Ossia la stella più luminosa nella costellazione di Orione, che è… — Betelgeuse? — dissi. —- Ti riferisci a Betelgeuse? Ma è una supergigante rossa, no? — L’avevo vista moltissime volte, nel cielo invernale: era la spalla sinistra di Orione, la mia costellazione preferita… mi pare che il nome sia arabo e significhi appunto “la spalla del cacciatore”.

— Betelgeuse, sì — confermò Hollus.

— Nessuno si stabilirebbe intorno a una stella così. Non può avere pianeti abitabili.

— Proprio ciò che pensavamo noi. Betelgeuse è la maggiore stella visibile nel cielo notturno di ciascuno dei nostri tre pianeti; se fosse al posto del sole, col bordo esterno arriverebbe ben oltre l’orbita di Marte. È anche molto più fredda del sole e di Delta Pavonís e di Beta Hydri. Per questo emette luce rossa, ovviamente.

— Quanto dista Betelgeuse? — domandai.

— Dal sole, 429 anni luce terrestri… e più o meno lo stesso da Groombridge 1618.

— Un bel viaggio!

— Solo la metà dell’uno per cento del diametro della nostra galassia.

— Tuttavia non riesco a immaginare perché vi abbiano mandato un’astronave.

— Nemmeno noi. Betelgeuse ha ottime probabilità di diventare supernova; non è affatto adatta per una colonia.

— Allora perché andarci?

— Non lo sappiamo. Naturalmente è possibile che l’astronave abbia un’altra destinazione al di là di Betelgeuse o che progetti di usare quella stella per rifornirsi di carburante: sarebbe più facile raccogliere idrogeno dalla rarefatta atmosfera esterna di una supergigante rossa a bassa densità. Oppure l’astronave potrebbe usare Betelgeuse come una fionda gravitazionale, per ricevere spinta e deviare verso un’altra destinazione.

— Avete trovato prove che la popolazione di Groombridge abbia lanciato altre astronavi?

— No. Ma se hanno cambiato rotta anche di poco, in modo che lo scarico non punti al pianeta di partenza, forse non riusciremmo a scoprirle.