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Stabilità ambientale a lungo termine? In febbraio Toronto ha spesso temperature di -6° e la neve arriva a mezza gamba. L’aria è così secca da far squamare la pelle e screpolare le labbra. Senza un ingombrante maglione e un parka imbottito, una sciarpa e un berretto di lana, si rischia di morire assiderati.

Sei mesi dopo, in agosto, temperature intorno ai 32° sono comuni e non è eccezionale superare i 38°. L’aria è così umida che si suda anche a stare fermi; il sole è così luminoso che perfino qualche minuto senza occhiali scuri e cappello mi procura un micidiale mal di testa e la radio spesso incita gli anziani e i sofferenti di cuore a stare in casa.

La teoria degli equilibri puntiformi dice che l’ambiente rimane stabile per estesi periodi di tempo. In gran parte del mondo, l’ambiente non è stabile nemmeno per qualche mese!

Tenni duro, però; tratti tenemmo duro… tutti noi che insegnavamo evoluzione. Inserivamo i punti-E nel nostro piano di lezioni e scuotevamo la testa, con condiscendenza, quando ingenui studenti facevamo domande sugli anelli mancanti.

Non era la prima volta che ci congratulavamo con noi stessi. Gli evoluzionisti incrociarono con arroganza le braccia sul petto già nel 1953, quando Harold Urey e Stanley Miller crearono aminoacidi mediante una scarica elettrica nel brodo primordiale, ossia quella che allora credevano potesse essere la prima atmosfera della Terra. Eravamo a metà strada dal creare la vita in provetta, pensavamo: il trionfo finale della teoria evoluzionistica, la prova che tutto era iniziato da semplici processi naturali. Fulminando il brodo nel modo corretto, potevano comparire organismi complessi in grado di autoreplicarsi.

A parte il fatto che non si erano mai replicati. Ancora non sappiamo come passare da aminoacidi ad autoreplicazione. E guardiamo la cellula al microscopio elettronico e vediamo cose che Darwin non si sarebbe mai sognato, meccanismi come i cilia che risultano così incredibilmente complessi di per sé che è quasi impossibile capire come potrebbero essersi evoluti nel sistema “un passo alla volta” concesso dall’evoluzione, meccanismi che sembrano creati già completi, con tutte le loro complicate parti mobili.

Be’, però ignorammo anche la discussione biochimica, e con pari compiacimento. Una volta, ricordo, il vecchio Jonesy mi passò un articolo tratto da Skeptical Inquirer, nel quale Martin Gardner cercava di fare a pezzi Michael Behe, il professore della Lehig University che scrisse Darwin’s Black Box: The Biochemical Challenge to Evolution, un forte caso a sostegno del progetto intelligente. Il nome Behe, sprecò tempo Gardner a spiegare, rima con “tee-hee”, un risolino sciocco, uno scherzo, niente da prendere sul serio. Solo perché in quel momento non riuscivamo a scorgere la sequenza di passi che avevano portato alla formazione dei cilia… o la sequenza in cascata che fa coagulare il sangue, o la complessità dell’occhio umano, o il sistema ad atp del metabolismo cellulare… non voleva dire che simili sequenze non si fossero verificate.

E ovviamente continuammo a sostenere che l’universo doveva brulicare di vita… che non c’era niente di notevole nella Terra, (che anzi in realtà era mediocre) che pianeti come questo erano comuni come il terriccio che gli aveva dato il nome.

Poi, però, nel 1988, fu scoperto il primo pianeta extrasolare, intorno alla stella HD 114762. naturalmente a quel tempo non pensammo che fosse un pianeta, pensammo piuttosto a una stella nana bruna. In fin dei conti era nove volte più pesante di Giove e si manteneva in un’orbita più vicina di quella di Mercurio intorno al nostro sole. Ma nel 1995 fu scoperto un altro pianeta extrasolare, grande la metà di Giove, anch’esso in orbita intorno al suo sole, la stella 51 Pegasi, a minore distanza di Mercurio. E poi ne furono scoperti altri, tutti in sistemi solari tutt’altro che simili al nostro.

Nel nostro sistema solare, i giganti gassosi… Giove, Saturno, Urano e Nettuno… orbitano molto lontano dalla stella centrale e i pianeti più interni sono piccoli e rocciosi. Più che un normale sistema planetario, il nostro cominciava a sembrare uno scherzo di natura. Eppure la disposizione di corpi celesti nel nostro sistema pareva cruciale per sviluppare e mantenere la vita. Senza gli effetti gravitazionali della nostra grande Luna… quasi un pianeta gemello, formatosi in precedenza, quando un asteroide cozzò contro il nostro pianeta ancora allo stato fuso…, la Terra sfarfallerebbe in maniera instabile e la nostra atmosfera sarebbe tanto densa da schiacciarci, come quella di Venere. E senza Giove, a pattugliare il confine fra il sistema solare interno e quello esterno, spazzando con la propria immensa gravità comete e asteroidi, il nostro pianeta sarebbe stato colpito con frequenza molto maggiore da simili corpi celesti. Un impatto pare abbia cancellato la vita dalla Terra, 65 milioni di anni fa; non avremmo potuto sopportare un bombardamento più frequente.

Certo, il sistema solare di Hollus somigliava al nostro, al pari di quello dei Wreed. Nondimeno sistemi solari come il nostro erano l’eccezione, non la regola. E le cellule non sono semplici, sono enormemente complesse. E i fossili, per quanto affascinanti e frustranti, mostrano che l’evoluzione procede a salti, non per accumulo di mutazioni graduali.

Per tutta la vita ero stato un evoluzionista neo-darwiniano, senza scendere a compromessi. Certamente non voglio ritrattare sul letto di morte.

Eppure… eppure, forse, come crede Hollus, c’è qualcosa di più, nell’enigma della vita.

So che l’evoluzione si verifica; è un fatto. Ho visto í fossili, ho visto gli studi del dna secondo i quali noi e gli scimpanzé abbiamo in comune il 98,6% del materiale genetico e quindi abbiamo avuto di sicuro un antenato comune recente.

Un procedere a salti…

Forse… a salti quantici.

Le leggi fisiche di Newton sono in gran parte giuste; possono essere usate per predire attendibilmente ogni sorta di cose. Non le abbiamo scartate; anzi nel ventesimo secolo, le abbiamo incluse in una nuova fisica, più comprensiva, la fisica della relatività e della meccanica quantistica.

L’evoluzione è un concetto del diciannovesimo secolo, descritta nel 1859 da Darwin, in un libro intitolato L’origine delle specie. Più apprendiamo, però, più la selezione naturale ci pare inadeguata di per sé come meccanismo per la creazione di nuove specie; perfino i nostri migliori tentativi di selezione artificiale guidata dall’intelligenza non sono all’altezza del compito, a quanto pare: tutti i cani appartengono sempre alla specie Canis familiarìs.

E ora siamo all’inizio del ventunesimo secolo. Di sicuro non è irragionevole pensare che le idee di Darwin, come in precedenza quelle di Newton, saranno incluse in un insieme più vasto, in una visione più ampia.

Maledizione!

Dio lo maledica.

Odio il dolore, quando giunge così all’improvviso… come una pugnalata che mi trafigge.

Allungai la mano sul comodino. Dove sono le pillole? Dove sono?

27

Rhonda Weir, bassa, tozza, brizzolata, era un’agente della polizia di Toronto. Fu chiamata al telefono, alle 13.11 di domenica. — Agente Weir — rispose. — Salve — disse una rauca voce maschile, con tono abbastanza scocciato, — Mi auguro di parlare alla persona giusta, finalmente. Mi hanno passato parecchie volte da uno all’altro.

— Cosa posso fare per lei? — disse Rhonda.

— Mi chiamo Constantin Kalipedes — disse la voce. —Nei fine settimana sono il direttore del Lakeshore Inn a Etobicoke. Una mia inserviente ha trovato un’arma, in una stanza.