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— Dammi quell’arma — disse Hollus. Adesso era a quattro metri da Cooter. — Buttala via e di qui usciremo tutti vivi.

— Indietro! — gridò Cooter.

Hollus continuò ad avvicinarsi. — Dammi quell’arma — ripeté.

Cooter scosse violentemente la testa. — Volevamo solo mostrare a voi alieni che questi scienziati vi raccontano bugie.

— Questo lo capisco — disse Hollus, movendo un altro passo. — E ti ascolterò volentieri. Dammi solo quell’arma.

— So che credete in Dio — disse Cooter. — Ma non siete stati ancora salvati.

— Ascolterò tutto ciò che vorrai dire — disse Hollus avvicinandosi lentamente — solo dopo che avrai lasciato quell’arma.

— Manda via i poliziotti.

— Non se ne andranno. — Ancora più vicino.

— Fermo o sparo — disse Cooter.

— Non vuoi sparare a nessuno — disse Hollus, senza fermarsi. — Men che meno a un credente come me.

— Giuro che ti uccido.

— Non mi ucciderai — disse Hollus, ancora più vicino.

— Indietro! Ti ho avvertito!

I sei piedi si mossero in avanti.

— Dio mi perdoni — disse Cooter e…

…e premette il grilletto.

Proiettili eruttarono dalla mitraglietta…

Penetrarono nel simulacro di Hollus…

E i campi di forza che costituivano il corpo simulato li rallentarono, ritardandone sempre più il movimento, finché i proiettili non emersero dall’altra parte. Continuarono la corsa per un altro paio di metri, in traiettorie paraboliche che li mandarono a tintinnare sul pavimento di marmo.

Il simulacro avanzò e afferrò per la canna la mitraglietta, di sicuro ormai così rovente che una creatura in carne e ossa non avrebbe potuto toccarla.

La vera Hollus, presumibilmente al terzo piano, ritrasse di scatto le braccia e anche il suo simulacro, giù nella Rotonda, le ritrasse di scatto. E Cooter, sorpreso che quella creatura appena riempita di proiettili non fosse morta, lasciò la presa. L’avatar girò su se stesso e si ritrasse rapidamente.

La polizia si precipitò nel vestibolo e…

Ormai non era necessario. Del tutto superfluo.

Un poliziotto sparò una raffica.

Cooter barcollò all’indietro, con aria sorpresa. Urtò un segmento di parete e si accasciò nel buio: una scia di sangue, simile al segno di un artiglio, lo seguì fino a terra.

La sua testa ciondolò di lato.

E lui andò a incontrare il suo creatore.

29

La polizia interrogò per ore Christine e me, ma lasciò che i quattro alieni tornassero subito alla loro nave madre, in modo che Barbulkan fosse curato. Alla fine tornai a casa in taxi (trenta dollari mancia compresa) e restai sveglio per altre due ore a raccontare a Susan ciò che era accaduto.

— Oddio — continuò a ripetere Susan. — Oddio, potevano ucciderti.

— Hollus mi ha salvato. Ci ha salvati tutti.

— Se rivedo quel grosso ragno, lo abbraccio fino a soffocarlo — disse Susan, con un sorriso.

Sorrisi anch’io e le diedi un bacio. Ma a quel punto ero sfinito, completamente distrutto. Avevo la vista confusa e mi sentivo girare la testa. — Mi spiace, tesoro, ma devo dormire un poco — dissi.

Susan annuì, mi baciò di nuovo e andammo a letto.

Dormii fino alle dieci di lunedì mattina. La sparatoria era avvenuta troppo tardi per comparire nei giornali del mattino, ma Susan mi disse che “Breakfast Television” e “Canada A.M,” avevano aperto con quella notizia. Non era andata in ufficio per essermi vicino quando mi sarei svegliato. Quando mi alzai, Ricky era già andato a scuola.

Finalmente a mezzogiorno riuscii ad andare al rom. Per fortuna, poiché era proprio lunedì, il museo era chiuso al pubblico ed era stato possibile ripulire tutto; quando vi entrai, pulivano ancora la Rotonda. Nel frattempo Jonesy e tutti i suoi aiutanti erano nella sala Garfield Weston a ricuperare il possibile degli scisti in frantumi. Alcuni paleontologi dello Smithsonian avevano preso l’aereo per venire a dare una mano; sarebbero giunti prima di sera.

Andai in ufficio, mi lasciai cadere sulla poltrona, mi massaggiai le tempie nel tentativo di farmi passare l’emicrania con cui mi ero svegliato. Mi ero appena seduto, quando il proiettore d’ologramma trillò e comparve il simulacro di Hollus.

Mi alzai, con la testa che pulsava. — Stai bene? — domandai, preoccupato.

La Forhilnor ballonzolò. — Sono spossata. Non ho dormito bene, malgrado la medicina che mi ha prescritto il medico della nave.

Annuii, comprensivo. — Anch’io ho dormito male. Ho continuato a sentire l’eco di spari. — Corrugai la fronte e mi sedetti. — Dicono che ci sarà un’inchiesta. La polizia poteva risparmiarsi di uccidere Cooter.

Hollus mosse i peduncoli oculari in un modo che non avevo mai visto prima. — Provo per lui simpatia limitata — disse, — Ha ferito Barbulkan e ha cercato di uccidermi. — Esitò. — Quanto sono seri i danni ai fossili del Burgess Shale?

Scossi lentamente la testa. — Tutto il contenuto delle prime cinque bacheche è andato distrutto — dissi. — Compresa quella che passavate allo scanner. — Sentivo la nausea, a pensare a quella perdita: non solo erano alcuni dei più importanti fossili del mondo, ma riguardavano alcune delle più affascinanti creature, fra le meglio conservate, quasi extraterrestri all’aspetto. Danneggiarle era stata una barbarie, un sacrilegio.

— Naturalmente i fossili erano assicurati — ripresi.

— Perciò giungerà un mucchio di denaro, al rom e allo Smithsonian; ma quegli esemplari sono insostituibili.

— In un certo senso è una fortuna — disse Hollus.

— Probabilmente hanno iniziato a sparare contro la bacheca in scansione proprio perché il coperchio era aperto. La scansione era in parte eseguita, così almeno alcuni esemplari possono essere ricuperati. Ve ne farò fare una ricostruzione.

— Grazie — dissi. Le ricostruzioni però, per quanto realistiche e accurate, non sarebbero mai state gli originali.

— È una perdita terribile — riprese Hollus. — Non ho mai visto fossili di quella qualità in nessun altro pianeta. Erano davvero…

Si interruppe a metà della frase e il simulacro rimase immobile, come se la vera Hollus, a bordo della nave in orbita geosincrona, fosse stata distratta da qualcosa accaduto lassù.

— Hollus? — dissi. Forse un collega le aveva rivolto una domanda, pensai.

— Solo un momento — disse il simulacro, di nuovo attivo. Udii alcune frasi musicali nella lingua forhilnor, rivolte da Hollus a un’altra persona e poi vidi che il simulacro si disattivava di nuovo.

Sospirai, impaziente. Era peggio di “Attendere, prego”: avevi in più il simulacro a occupare quasi tutto l’ufficio. Presi dalla scrivania una rivista (l’ultimo numero di “New Scientist”: la copia del dipartimento aveva iniziato il giro e da me sarebbe passata giù per tutta la scala gerarchica). Avevo appena girato la prima pagina, quando il simulacro di Hollus tornò attivo. — Notizia terribile — disse, una parola per bocca, tono stranamente attenuato. — Non… Mio Dio, è terribile.

Lasciai perdere la rivista. — Cosa?

Hollus agitò avanti e indietro i peduncoli oculari. — La nostra nave madre non è impacciata dalla diffusione di luce dell’atmosfera del tuo pianeta; anche durante il giorno, i sensori della Merelcas vedono con chiarezza le stelle. E una di quelle stelle…

Mi sporsi. — Sì?

— Una di quelle stelle ha iniziato la conversione in… qual è la parola? Per indicare l’esplosione di una stella?

— Supernova?

— Sì.

— Fantastico! — Ricordai l’entusiasmo nel planetario, nel 1987, quando Ian Shelton dell’università di Toronto aveva scoperto la supernova nella Grande Nube di Magellano. — Meraviglioso.