— Vado in cerca di Illuminazione — disse Zhu. Parlava lentamente, quasi in un soffio. — Cerco prajna, pura e assoluta conoscenza. — Mi guardò con occhi velati. — Dandart — (era il Forhilnor che si era legato a lui) — dice che l’universo ha subito una serie di nascite e di morti. Come ovviamente fa l’individuo, finché non raggiunge l’illuminazione.
— Allora vieni con noi per motivi religiosi? — domandai.
— Motivi che riguardano tutto — rispose semplicemente Zhu.
Sorrisi. — Auguriamoci che il viaggio valga la pena.
— Sono sicuro che varrà la pena — disse Zhu, con un’espressione di pace sul viso.
— Sei certo che non ci siano pericoli? — dissi a Hollus, mentre scendevamo nella sala dove mi avrebbero messo in animazione sospesa.
L’aliena increspò i peduncoli oculari. — Voli nello spazio a quella che definiresti velocità rompicollo, diretto verso una entità di potenza quasi inconcepibile, e ti preoccupi se il procedimento di ibernazione è sicuro?
Risi. — Be’, se la metti in questo modo…
— È sicuro, stai tranquillo.
— Ricordati di svegliarmi, quando arriviamo a Betelgeuse.
Hollus riusciva a essere perfettamente impassibile, a volte. — Prenderò un appunto — rispose.
Susan Jericho, sessantaquattro anni ormai, sedeva nello studio della casa in Ellerslie Street. Erano trascorsi quasi dieci anni dalla partenza di Tom. Naturalmente, se Tom fosse rimasto sulla Terra, non sarebbe stato più in vita da quasi altrettanto tempo. Invece era presumibile che fosse vivo, in animazione sospesa, a bordo di un’astronave di alieni, pronto per essere riportato in vita fra 430 anni.
Susan capiva. La portata di quel concetto però le faceva venire l’emicrania e quel giorno era un giorno di festa, non di sofferenza: il sedicesimo compleanno di Richard Blaine Jericho.
Susan gli aveva regalato ciò che suo figlio più desiderava: la promessa di pagargli le lezioni di guida e, ottenuta la patente, di comprargli un’automobile. Aveva ricevuto un mucchio di soldi dall’assicurazione e la spesa non era un problema. La Great Canadian Life aveva fatto per breve tempo il tentativo di non pagare: Tom Jericho non era realmente morto, sosteneva. Ma quando i media erano venuti a conoscenza della storia, la gol aveva subito un tale assalto che il presidente della società aveva chiesto pubblicamente scusa e aveva consegnato di persona a Susan e a suo figlio l’assegno di cinquecentomila dollari.
Un compleanno è sempre speciale, ma Susan e Dick (crescendo, Ricky aveva scelto di farsi chiamare Dick) lo avrebbero festeggiato anche una seconda volta, fra un mese. Il compleanno di Dick non aveva mai avuto la giusta risonanza per Susan, dal momento che lei non era presente, quando il bambino era nato. Fra un mese però, in luglio, cadeva il sedicesimo anniversario dell’adozione e quello era un ricordo che Susan aveva assai caro.
Quando Dick tornò a casa da scuola (completava le superiori alla Northview Heights) Susan aveva per lui altri due regali. Primo, una copia del diario paterno, relativo al periodo trascorso con Hollus; secondo, una copia della cassetta registrata da Tom nello studio, che lei aveva convertito da VHS a dvd.
— Magnifico! — disse Dick. Era alto e robusto, l’orgoglio di Susan. — Non sapevo che papà avesse fatto un video.
— Mi ha chiesto di aspettare dieci anni, prima di dartelo — disse Susan. Scrollò le spalle. — Forse voleva che tu fossi abbastanza grande per capire.
Dick soppesò la scatola, come se potesse così indovinarne i segreti. Era chiaramente ansioso. — Possiamo guardarlo subito? — domandò.
Susan sorrise. — Certo!
Andarono nel soggiorno e Dick inserì il disco nel lettore.
E si sedettero insieme sul divano e guardarono Tom, smagrito e devastato dalla malattia, tornare in vita.
Dick aveva visto alcune foto di Tom di quel periodo, in un album dove Susan aveva raccolto i ritagli stampa della visita di Hollus sulla Terra e della seguente partenza di Tom. Ma non aveva mai visto con tale precisione che cosa il cancro avesse fatto a suo padre. Susan lo vide indietreggiare un poco, quando le immagini presero a scorrere.
Ben presto però il viso di Dick rivelò solo attenzione, rapita attenzione, mentre il ragazzo pendeva da ogni parola.
Alla fine tutt’e due si asciugarono le lacrime, lacrime per l’uomo che avrebbero sempre amato.
34
Buio assoluto.
E calore, che mi lambiva da tutti i lati.
L’inferno? Era…
No, naturalmente. Avevo un mal di testa spaventoso, ma cominciavo a ragionare.
Un forte scatto metallico e poi…
E poi il coperchio dell’unità d’ibernazione scivolò da parte. La bara oblunga, fatta per i Wreed, era a filo del pavimento; Hollus, a gambe divaricate, agganciata con i sei piedi a delle staffe per non andare alla deriva, piegò le gambe frontali e abbassò i peduncoli oculari per guardarmi.
— È ora di alzarsi, amico mio — disse.
Sapevo che cosa si pensa che uno debba dire in una situazione come quella: avevo visto Khan Noonien Singh. — Quanto tempo? — domandai.
— Più di quattro secoli — rispose Hollus. — Siamo nell’anno 2432 della Terra.
“Così, semplicemente” pensai. “Quattrocento anni volati via senza che me ne sia reso conto. Così, semplicemente.”
Erano stati saggi a installare le camere d’ibernazione fuori delle centrifughe; non credo che sarei riuscito a reggermi da solo. Hollus mi tese la destra e io allungai la sinistra ad afferrarla e il semplice cerchietto d’oro nell’anulare mi parve immutato, malgrado il freddo e il tempo. Hollus mi aiutò a uscire dalla bara di ceramica nera; poi si staccò dalle staffe e restammo librati.
— La nave ha smesso di decelerare — disse la Forhilnor. — Abbiamo quasi raggiunto ciò che resta di Betelgeuse.
Ero nudo; per qualche ragione provai imbarazzo a farmi vedere da Hollus in quello stato. Ma i vestiti mi aspettavano; mi vestii in fretta… una camicia blu e un paio di morbidi calzoni color cachi, veterani di molti scavi.
Avevo difficoltà a mettere a fuoco la vista e sentivo la bocca secca. Di sicuro Hollus l’aveva previsto: teneva pronto per me un contenitore trasparente pieno di acqua a temperatura ambiente. I Forhilnor non raffreddavano mai l’acqua, ma in quel momento quella mi andava benissimo… l’ultima cosa di cui avevo bisogno era una bevanda fredda.
— Non dovrei fare un controllo? — domandai, quando terminai di spremermi in bocca l’acqua.
— No — disse Hollus. — È tutto automatico. Sei stato tenuto sotto osservazione continua. Stai… — Si interruppe e sono sicuro che stesse per dire che stavo bene, ma sapevamo tutt’e due che non era vero. — Stai come stavi prima dell’animazione sospesa.
— Mi fa male la testa.
Hollus mosse le membra in un modo bizzarro; dopo un istante capii che le fletteva come avrebbe fatto per ballonzolare, se non ci fossimo trovati in assenza di gravità. — Per un paio di giorni avrai vari dolori. È naturale.
— Chissà com’è la Terra — dissi.
Hollus rivolse una frase melodiosa al più vicino monitor a parete. Dopo alcuni istanti comparve un’immagine ingrandita: un disco giallo, della grandezza di un quarto di dollaro tenuto a braccio teso. — Il tuo sole — disse Hollus, Poi indicò un oggetto più opaco, circa un sesto del diametro del sole. — E quello è Giove, che da qui mostra una faccia gibbosa. A questa distanza, è difficile risolvere la Terra in luce visibile, ma se guardi un’immagine radio, la Terra risplende più del sole, con le sue numerose frequenze.