Alla fine, dopo quattro mesi, il feto parve decidersi per un piano corporeo, una fondamentale architettura diversa da quella dell’Uomo e dei Forhilnor e dei Wreed. Il corpo del feto consisteva in un tubo a ferro di cavallo, circondato da un anello dal quale derivavano sei arti. C’era uno scheletro interno in formazione, visibile nella sostanza trasparente del corpo, ma non era di osso liscio, bensì di fasci di materiale intrecciato.
Pensammo di dare un nome all’embrione. Lo chiamammo Wibadal, parola forhilnor che significava “pace”.
Un’altra figlia che non sarei vissuto tanto da veder crescere.
Come per il mio Ricky, però, sono sicuro che sarebbe stata una figlia adottiva, curata e nutrita se non dall’equipaggio della Merelcas, dall’enorme tenebra palmata che si estendeva nel cielo.
Dio era il programmatore.
Le leggi della fisica e le costanti fondamentali erano il codice sorgente.
L’universo era l’applicazione. E contava 13,9 miliardi di anni, fino a quel momento.
Il fatto che la capacità di trascendere, di scartare la biologia, giungesse troppo presto nella vita di una razza, era un baco, una falla nel progetto, una complicazione non voluta. Alla fine però, mediante accurata manipolazione, il programmatore aveva eliminato quel baco.
E Wibadal?
Wibadal era il risultato. Il punto di tutto.
Le augurai buona fortuna.
Era l’antico modo di procedere, il motore che aveva sempre spinto l’evoluzione. Una vita termina; un’altra inizia.
Fui di nuovo posto in animazione sospesa e trascorsi i successivi undici mesi senza subire altre degenerazioni provocate dal cancro. Quando la gestazione di Wibadal si concluse, Hollus mi risvegliò per quella che, lo sapevamo tutt’e due, sarebbe stata l’ultima volta.
I Wreed avevano annunciato che quello sarebbe stato il giorno; la bambina era ormai completa e sarebbe stata tolta dall’utero artificiale. — Possa esprimere il meglio di tutti noi — disse T’kna, il Wreed che avevo conosciuto all’inizio, per telepresenza, tanti mesi… e tanti secoli… fa.
Hollus ballonzolò. — Amen — disse.
Ero ancora intontito per il risveglio, ma guardai affascinato Wibadal che veniva estratta dall’utero. Venne al mondo piangendo, proprio come avevo fatto io e tutti i miliardi di creature nati prima di me.
Hollus e io passammo delle ore solo a guardarla, una creatura strana, bizzarra, già grande la metà di me.
— Chissà quale sarà la sua durata di vita — dissi alla mia amica forhilnor; forse era una domanda insolita, ma la durata di vita era una cosa che avevo sempre in mente.
— Chi può saperlo? — rispose Hollus. — La mancanza di telomeri non sembra essere per lei un ostacolo. Le sue cellule potrebbero continuare a riprodursi per sempre e…
Si interruppe.
— E si riprodurranno per sempre — concluse, dopo qualche istante di riflessione. — Quella entità — e indicò la tenebra inquadrata al centro di uno schermo a parete — è sopravvissuta all’ultimo Big Crunch e Big Bang. Wibadal, sospetto, sopravvivrà al prossimo, diventerà il Dio dell’universo che succederà a questo.
Era un’idea sconcertante, ma forse Hollus aveva ragione. Io però non sarei vissuto tanto da saperlo con certezza.
Wibadal era dietro la parete di vetro di una sala maternità costruita apposta, contenente una culla circolare. Picchiettai sul vetro, come i genitori del mio mondo hanno fatto milioni di volte prima di me. Picchiettai e agitai il braccio.
E Wibadal si mosse e agitò verso di me una tozza appendice. Forse il Dio attuale non aveva mai riconosciuto la mia presenza… anche quando ero venuto proprio da lui, era stato sempre indifferente nei miei riguardi… ma quel Dio in fieri mi aveva notato, almeno una volta, almeno per un momento.
E per quel momento non sentii dolore.
Presto però il dolore tornò; era peggiorato a poco a poco e io ero diventato sempre più debole.
Il tempo stava per scadere.
Scrissi un’ultima, lunga lettera a Ricky, nel caso che, per miracolo, fosse ancora vivo. Hollus la trasmise per me alla Terra; sarebbe giunta fra circa mezzo millennio. Dissi a mio figlio ciò che avevo visto qui e quanto gli volevo bene.
E poi chiesi a Hollus un ultimo favore, un’ultima cortesia. Le chiesi una di quelle cose che solo un buon amico può chiedere a un altro. Le chiesi di aiutarmi ad andarmene, a morire. Avevo portato con me dalla Terra solo pochi effetti personali, oltre alle medicine e agli analgesici. Avevo portato però un testo di biochimica con i dati sufficienti perché il medico di bordo della Merelcas potesse sintetizzare qualcosa che ponesse alla mia vita una fine rapida e indolore.
Hollus stessa mi iniettò la sostanza e si sedette accanto al mio letto, tenendomi la mano: la sua pelle a bolle fu l’ultima cosa che sentii.
Dissi a Hollus di scrivere le mie ultime parole e di trasmetterle alla Terra, anche queste, in modo che Ricky o chiunque ci fosse ancora, sapesse ciò che avevo detto. Forse lui o uno dei miei pronipoti dell’ennesima generazione avrebbe potuto scrivere un libro sul primo contatto fra un extraterrestre e un essere che, suppongo, era fin troppo umano.
Fui sorpreso dei miei ultimi pensieri. — Sai — dissi a Hollus, i cui peduncoli oculari si muovevano avanti e indietro — ricordo il primo momento in cui rimasi affascinato dai fossili.
Hollus attese che continuassi.
— Fu sulla spiaggia — dissi. — Giocavo con i sassi e fui stupito di trovare una conchiglia incastonata in uno di essi. Avevo trovato una cosa che non avevo mai saputo di cercare. — Il dolore diminuiva; tutto scivolava via. Strinsi la mano della Forhilnor. — Credo d’essere un uomo fortunato — dissi, sentendo la pace scendere su di me. — L’esperienza si è ripetuta.
Ringraziamenti
Sinceri ringraziamenti alla mia incantevole moglie, Carolyn Clink; al mio editor, David G. Hartwell, e al suo vice, James Minz; al mio agente, Ralph Vicinanza, e ai suoi collaboratori, Christoper Lotts e Vince Gerardis; al dottor Stanley Schmidt, direttore della rivista “Analog”; a Tom Doherty, Jynne Dílling e Linda Quinton, della casa editrice Tor Books; a Harold e Sylvia Fenn, Robert Howard, Suzanne Hallsworth e Heidi Winter, della H.B. Fenn and Company; al dottor Marshall L. McCall, del Dipartimento di Fisica e di Astronomia della York University di Toronto; a John-Allen Price; a Jean-Louis Trudeclass="underline" a Roberta van Belkom. Verificatori di questo romanzo sono stati il reverendo Paul Fayter, storico di scienza e teologia; Michael A. Burstein; David Livingstone Clink; James Alan Gardner; Richard M, Gotlib; Terence M. Green; il dottor Howard Miller; il dottor Ariel Reich; Alan B. Sawyer; Edo van Belkom; Andrew Weiner. Particolari ringraziamenti alle gentili persone che mi hanno permesso di discutere con loro nella sezione “Robert J. Sawyer” del sf Author Forum su CompuServe (vi si accede col comando CompuServe “Go Sawyer”). Ringrazio inoltre per il sostegno economico la sezione Writing and Publishing del Council for the Arts canadese, che mi concesse una sovvenzione per partecipare alla World Science Fiction Convention di Melbourne, dove ho terminato questo romanzo. Ringrazio infine mio padre, John A, Sawyer, per avere permesso a Carolyn e a me di usare ripetutamente la sua casa estiva sul lago Canandaigua, dove gran parte di questo romanzo è stata scritta.
L’autore
Robert J. Sawyer
Robert J. Sawyer, canadese nato nel 1960, ha vinto il premio Nebula con il romanzo The Terminal Experiment del 1995 ed è considerato uno degli autori di punta della sf tecnologica. Golden Fleece (pubblicato con il titolo Apocalisse su Argo su “Urania”), Il suo primo libro, è stato proclamato da Orson Scott Card “miglior romanzo del 1990” (su “Fantasy and Science Fiction”), Sawyer è l’unico scrittore canadese di sf a tempo pieno e vive a Tornhill, nell’Ontario, con la moglie Caroline. Starplex (1996), pure pubblicato da “Urania”, è giunto in finale al Premio Nebula. Anche Frameshift (1997) ha vinto un premio, questa volta in Spagna, ed è uscito su “Urania” col titolo Mutazione pericolosa. Tra i suoi romanzi più recenti segnaliamo Illegal Alien (1997) e Factoring Humanity (1998, I Transumani, “Urania”). Ha scritto anche: Far seer (1992), Fossil Hunter (1993), Foreigner (1994), End of an Era (1994). sono in opzione i diritti cinematografici di Illegal Alien e The Terminal Experiment, che, come Golden Fleece, sono una mescolanza di giallo e fantascienza. Far Seer, Fossil Hunter e Foreigner compongono la cosiddetta “Quintaglio Ascension Trilogy” e raccontano le storie degli equivalenti extraterrestri di Galileo, Darwin e Freud rispettivamente. Calculating God è uscito in edizione originale nel 2000.