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«Un buon boccale di vino caldo e speziato non sarebbe fuori luogo, al momento» ridacchiò l’ambulante. Con un salto scese dal carro, si pulì le mani sulla giubba e si sistemò il mantello. «Vi dispiace badare ai miei cavalli?»

«Voglio sentire cosa dice!» protestò più d’una voce.

«Non potete portarlo via! Mia moglie mi ha mandato a comprare degli spilli!» Quest’ultimo era Wit Congar; sotto lo sguardo astioso di alcuni, ingobbì le spalle ma non cedette.

«Anche noi abbiamo il diritto di fargli domande» gridò uno in fondo alla folla. «Io...»

«Piantatela!» ruggì il sindaco, provocando un silenzio pieno di stupore. «Quando il Consiglio avrà terminato di fargli domande, mastro Fain tornerà a raccontarvi tutte le notizie. E a vendervi spilli e pignatte. Hu! Tad! Portate nella stalla i cavalli di mastro Fain.»

Tam e Bran si posero ai fianchi dell’ambulante e gli altri membri del Consiglio si raccolsero dietro di loro; il gruppetto entrò nella locanda e chiuse la porta in faccia a quelli che cercarono di seguirli. Qualche pugno alla porta ottenne solo un grido del sindaco.

«Andate a casa!»

I paesani continuarono a girare davanti alla locanda, brontolando e chiedendosi cosa significassero le parole dell’ambulante e perché anche loro non potessero ascoltare e far domande. Alcuni scrutarono dalle finestre del pianterreno, altri interrogarono Hu e Tad, anche se non era affatto chiaro che cosa ne sapessero i due stallieri. Infatti i due risposero con un brontolio e continuarono metodicamente a togliere ai cavalli i finimenti; portarono nella stalla i cavalli di Fain e, dopo l’ultimo, non tornarono.

Rand non badò alla folla. Si sedette sul bordo delle vecchie fondamenta di pietra, si strinse nel mantello e fissò la porta della locanda. Ghealdan. Tar Valon. I nomi stessi erano curiosi ed eccitanti. Indicavano luoghi che conosceva solo dai racconti degli ambulanti e delle guardie dei mercanti. Aes Sedai, guerre, falsi Draghi: erano l’argomento di storie narrate a tarda sera intorno al focolare, mentre una candela proiettava sulle pareti sagome bizzarre e il vento ululava contro gli scuri. Tutto sommato, preferiva affrontare tempeste di neve e lupi. Però tutto era certamente diverso, fuori dei Fiumi Gemelli: una vita d’avventure, come nelle storie dei menestrelli.

A poco a poco i paesani si dispersero, continuando a borbottare e a scuotere la testa. Wit Congar si soffermò a fissare il carro, come se potesse trovare un altro ambulante nascosto all’interno. Alla fine rimasero alcuni fra i più giovani. Mat e Perrin si avvicinarono a Rand.

«Meglio del menestrello» disse Mat, sulle ali dell’entusiasmo. «Chissà se riusciremo a vedere questo falso Drago.»

Perrin scosse la testa irsuta. «Non voglio vederlo. Da un’altra parte, forse, ma non nei Fiumi Gemelli. No, se significa guerra.»

«Nemmeno se significa avere qui le Aes Sedai» aggiunse Rand. «Hai dimenticato chi provocò la Frattura? Forse il Drago la iniziò, ma in realtà furono le Aes Sedai, a distruggere il mondo.»

«Una volta» disse Mat «ho udito una storia, da una guardia di un compratore di lana. Diceva che il Drago sarebbe rinato nell’ora dell’estremo bisogno e avrebbe salvato l’umanità.»

«Era uno sciocco, se ci credeva» replicò Perrin, deciso. «E sei stato sciocco ad ascoltarlo.» Non parve arrabbiato: era lento, ad arrabbiarsi. Ma a volte si esasperava per le mutevoli fantasticherie di Mat e nella sua voce c’era un tocco d’esasperazione. «Sosteneva, immagino, che dopo saremmo vissuti in una nuova Epoca Leggendaria.»

«Non ho detto d’avergli creduto» protestò Mat. «L’ho solo ascoltato. Anche Nynaeve l’ha ascoltato: ho creduto che volesse spellarci vivi, me e la guardia. Disse, la guardia, che molti ci credono, ma non lo ammettono per paura delle Aes Sedai e dei Figli della Luce. Non volle aggiungere altro, dopo che Nynaeve ci sorprese. Lei lo riferì al mercante e costui disse che non avrebbe più preso con sé quella guardia.»

«Così» disse Perrin «il Drago ci salverebbe? Mi sembrano discorsi da Coplin.»

«Cosa potrebbe richiedere l’intervento del Drago per salvarci?» disse Rand, pensieroso. «La minaccia del Tenebroso?»

«Non l’ha detto» rispose Mat, a disagio. «E non ha parlato di una nuova Epoca Leggendaria. Ha detto che l’avvento del Drago avrebbe distrutto il mondo.»

«Questo sì che ci salverebbe» commentò Perrin, asciutto. «Un’altra Frattura.»

«La Luce m’incenerisca!» brontolò Mat. «Ho solo riferito le parole di quella guardia.»

Perrin scosse la testa. «Mi auguro solo che le Aes Sedai e questo Drago, falso o vero che sia, rimangano dove sono. Forse così i Fiumi Gemelli saranno risparmiati.»

«Pensi che siano davvero Amici delle Tenebre?» disse Mat, preoccupato.

«Chi?» domandò Rand.

«Le Aes Sedai.»

Rand lanciò un’occhiata a Perrin, che si strinse nelle spalle. «Le storie...» cominciò lentamente; Mat lo interruppe.

«Non tutte le storie dicono che sono al servizio del Tenebroso, Rand.»

«Santa Luce, Mat! Hanno causato la Frattura. Cosa vuoi di più?»

«Già» sospirò Mat. Ma ritrovò subito il sorriso. «Il vecchio Bili Congar dice che non esistono Aes Sedai amiche delle Tenebre. Che sono solo storie. E che lui non crede neppure al Tenebroso.»

Perrin sbuffò. «Discorsi da Coplin sulla bocca di un Congar. Cos’altro t’aspettavi?»

«Il vecchio Bili ha pronunciato il nome del Tenebroso. Scommetto che tu non lo sai.»

«Luce santa!» mormorò Rand.

Il sorriso di Mat si allargò. «L’ho udito io, la primavera scorsa, prima che la nottua delle messi invadesse i suoi campi e non quelli degli altri. Proprio prima che tutti in casa sua prendessero l’itterizia. Lui dice ancora di non crederci, ma ora, se gli chiedo di fare il nome del Tenebroso, mi tira tutto quello che ha sottomano.»

«E tu sei tanto stupido da chiederglielo, vero, Matrim Cauthon?» Nynaeve al’Meara avanzò tra loro, con la treccia scura gettata sulla spalla, sbuffando di collera. Rand scattò in piedi. La Sapiente, snella e una spanna più bassa di Mat, in quel momento sembrava dominarli dall’alto; e non importava che fosse giovane e graziosa. «Quella volta ho sospettato che Bili Congar avesse nominato il Tenebroso, ma ti ritenevo tanto assennato da non provocarlo ancora. Forse avrai già l’età per prendere moglie, Matrim Cauthon, ma meriteresti di stare attaccato alle sottane di tua madre. Ancora un poco sarai tu stesso a nominare il Tenebroso.»

«No, Sapiente» protestò Mat, con l’aria di chi vorrebbe trovarsi da tutt’altra parte. «È stato il vecchio... voglio dire, mastro Congar! Sangue e ceneri, io non...»

«Modera l’espressione, Matrim!»

Rand raddrizzò la schiena, anche se l’occhiataccia non era diretta a lui. Perrin era altrettanto imbarazzato. Più tardi, l’uno o l’altro si sarebbe certo lamentato perché a sgridarli era stata una donna poco più anziana di loro... quando Nynaeve non era a portata d’orecchio, è ovvio; a faccia a faccia con lei, la differenza d’età sembrava sufficiente. Soprattutto se Nynaeve era arrabbiata. Portava un bastone nodoso in cima e sottile come una verga in fondo; e non si faceva scrupolo a usarlo... testa, mani, gambe... su chiunque secondo lei si comportava da stupido, senza badare a età o a posizione.

Impegnato a tenerla d’occhio, Rand non si rese subito conto che la Sapiente non era da sola. Accortosi dell’errore, pensò di svignarsela senza badare alle conseguenze.

Egwene, ferma qualche passo dietro la Sapiente, fissava proprio lui. Della stessa statura di Nynaeve e come lei di carnagione scura, in quel momento, con le braccia conserte e le labbra strette in una smorfia di disapprovazione, sembrava il riflesso dell’umore di Nynaeve. Il cappuccio del morbido mantello grigio le metteva in ombra il viso; nei suoi grandi occhi castani non c’era traccia di divertimento.

Se al mondo c’era giustizia, pensò Rand, il fatto d’avere due anni più di lei avrebbe dovuto dargli un certo vantaggio, ma non era questo il caso. Lui non aveva la parlantina sciolta, con le ragazze; e quando Egwene lo guardava con quello sguardo assorto, con gli occhi sgranati, lui proprio non riusciva a trovare le parole giuste.