«Se hai finito di guardare come uno scemo, Rand al’Thor» disse Nynaeve «forse mi spiegherai perché parlavate di un argomento che perfino tre teste di rapa come voi dovrebbero avere il buon senso di non toccare.»
Rand trasalì e staccò gli occhi da Egwene; alle parole della Sapiente, la ragazza aveva messo in mostra un sorriso sconcertante. Nynaeve aveva usato un tono aspro, ma anche aveva sulle labbra un sorrisino saputo... finché Mat non sbottò a ridere. La Sapiente tornò subito seria e lanciò a Mat uno sguardo che gli mutò la risata in un gracidio soffocato.
«Allora, Rand?» disse Nynaeve.
Con la coda dell’occhio Rand vide Egwene sorridere ancora. Che cosa ci trovava, di tanto divertente? «Era naturale parlarne» rispose in fretta. «L’ambulante, Padan Fain... ah... mastro Fain... ha portato notizie di un falso Drago nel Ghealdan, e di una guerra, e di Aes Sedai. Il Consiglio ha pensato che fosse abbastanza importante da discuterne con lui. Logico che ne parlassimo anche noi.»
Nynaeve scosse la testa. «Ecco perché il carro dell’ambulante è rimasto abbandonato. Ho udito la gente corrergli incontro, ma non potevo lasciare comare Ayellin prima che la febbre le calasse. Il Consiglio interroga l’ambulante su quel che accade nel Ghealdan, eh? Se li conosco bene, quelli faranno tutte le domande sbagliate e nessuna giusta. Occorre la Cerchia delle Donne, per scoprire qualcosa di utile.» Si raddrizzò il mantello e sparì dentro la locanda.
Mentre la porta si chiudeva alle spalle di Nynaeve, Egwene si fermò di fronte a Rand. Non era più accigliata, ma lo guardò con un’intensità che metteva a disagio. Rand lanciò un’occhiata ai due amici, che però si allontanarono sorridendo apertamente.
«Non dovresti farti coinvolgere da Mat in queste stupidaggini» disse Egwene, con la stessa solennità della Sapiente; poi ridacchiò. «Non hai più fatto questa faccia da quando Cenn Buie ti sorprese con Mat tra i suoi meli... e a quel tempo avevi dieci anni.»
Rand strusciò i piedi e guardò i due amici. Non si erano allontanati di molto; Mat parlava e gesticolava con entusiasmo.
«Ballerai con me, domani?» le domandò. Non era quello che intendeva dire. Voleva davvero ballare con lei, ma nello stesso tempo temeva la sensazione di disagio che di sicuro avrebbe provato a stare con lei. La stessa di quel momento.
Egwene piegò le labbra in un lieve sorriso. «Nel pomeriggio» disse. «Avrò da fare, la mattina.»
Udirono l’esclamazione d’entusiasmo di Perrin: «Un menestrello!»
Egwene si girò verso i due poco distante, ma Rand le mise la mano sul braccio. «Da fare? Che cosa?»
Nonostante il freddo, Egwene gettò indietro il cappuccio e con finta noncuranza si tirò sul petto i capelli. L’ultima volta, le scendevano sulle spalle in onde scure, trattenuti da un nastro rosso; adesso erano acconciati in una lunga treccia.
Rand fissò la treccia come se vedesse una vipera, poi lanciò di soppiatto un’occhiata all’Albero della Primavera, tutto solo nel Parco, pronto per l’indomani. Al mattino le donne nubili in età da marito avrebbero ballato intorno all’Albero. Rand deglutì con forza: non gli era mai venuto in mente che anche lei sarebbe cresciuta.
«Solo perché si ha l’età per sposarsi» brontolò «non significa che ci si debba sposare. Immediatamente.»
«No, certo. Né subito, né mai, se è per questo.»
«Mai?» ripeté Rand, sorpreso.
«Le Sapienti si sposano assai di rado. Nelle ultime settimane Nynaeve mi ha dato lezioni, sai? Dice che ho talento, che posso imparare ad ascoltare il vento. Secondo lei, non tutte le Sapienti ne sono in grado, anche se dicono di riuscirci.»
«Sapiente!» protestò Rand, senza notare il lampo minaccioso negli occhi di lei. «Nynaeve sarà la Sapiente del villaggio per altri cinquant’anni. Forse di più. Vuoi passare la vita come apprendista?»
«Ci sono altri villaggi» rispose Egwene, con calore. «Nynaeve dice che i villaggi a settentrione del Taren prendono sempre una Sapiente da fuori. Secondo loro, così si evitano favoritismi nel villaggio.»
Il sorriso di divertimento di Rand svanì con la rapidità con cui era spuntato. «Fuori dei Fiumi Gemelli? Non ti vedrò mai più.»
«Non sei contento? Ultimamente non m’è parso che t’importasse molto della mia presenza.»
«Nessuno lascia i Fiumi Gemelli» continuò Rand. «Forse qualcuno di Taren Ferry, ma tanto quelli sono strani comunque.»
Egwene sospirò d’esasperazione. «Be’, forse anch’io sono strana. Forse voglio vedere i luoghi di cui parlano le storie. Ci hai mai pensato?»
«Certo. A volte sogno a occhi aperti, ma conosco la differenza fra sogno e realtà.»
«Mentre io non la conosco?» replicò lei, furibonda. Gli girò le spalle.
«Parlavo di me stesso. Egwene?»
Con gesto brusco lei si strinse nel mantello, una muraglia per tenerlo lontano, e si scostò di qualche passo. Rand si grattò la testa, esasperato. Come spiegarglielo? Non era la prima volta che lei traeva dalle sue parole significati che lui non aveva inteso dare. Visto l’umore attuale, un passo falso avrebbe solo peggiorato le cose; e lui era sicuro che qualsiasi commento sarebbe stato un passo falso.
Proprio allora Mat e Perrin si avvicinarono di nuovo. Egwene non badò a loro. I due esitarono, poi si strinsero intorno a Rand.
«Moiraine ha dato una moneta anche a Perrin» disse Mat. «Uguale alla nostra.» Esitò, prima di aggiungere: «Pure lui ha visto il cavaliere.»
«Dove?» domandò Rand. «Quando? L’hanno visto anche altri? Ne hai parlato a qualcuno?»
Perrin alzò le mani. «Una domanda alla volta. L’ho visto al limitare del villaggio, ieri al crepuscolo. Osservava la fucina. Ha fatto venire i brividi anche a me. L’ho detto a mastro Luhhan, ma quando lui si è girato, non c’era nessuno. Ha detto che vedevo le ombre. Però ha sempre tenuto a portata di mano il martello più grosso, mentre coprivamo col terriccio il fuoco della forgia e mettevamo a posto gli utensili. Non l’aveva mai fatto.»
«Allora ti ha creduto.»
Perrin si strinse nelle spalle. «Non so. Gli ho chiesto perché portava il martello, se avevo visto sole ombre; lui ha brontolato che i lupi sono diventati arditi ed entrano anche nel villaggio. Forse ha pensato che avessi visto un lupo, ma so distinguere un lupo da un uomo a cavallo, anche nel crepuscolo, e nessuno mi farà cambiare idea.»
«Io ti credo» disse Rand. «E poi, l’ho visto anch’io.» Perrin emise un brontolio di soddisfazione, come se non fosse stato sicuro di quest’ultimo particolare.
«Di cosa parlate?» domandò a un tratto Egwene.
Rand rimpianse di non avere tenuto più bassa la voce, ma non pensava che lei ascoltasse. Mat e Perrin, ridacchiando come due scemi, fecero a gara per raccontare il loro incontro col cavaliere nero, ma Rand rimase in silenzio. Era sicuro di sapere che cosa avrebbe detto Egwene alla fine.
«Nynaeve aveva ragione» annunciò Egwene al cielo, quando gli altri due tacquero. «Dovreste ancora camminare col girello. La gente va a cavallo, sapete. Questo non vuol dire che ogni cavaliere sia un mostro uscito dalle storie dei menestrelli.» Rand si complimentò con se stesso: non si era sbagliato. Egwene si girò dalla sua parte. «E tu diffondi queste storie! A volte non hai proprio sale in zucca, Rand al’Thor. L’inverno è stato già abbastanza spaventoso, senza che tu vada in giro a spaventare i bambini.»
Rand le rivolse una smorfia acida. «Non ho diffuso un bel niente. Ma l’ho visto. E non era un contadino in cerca di una mucca dispersa.»
Egwene inspirò a fondo e aprì la bocca, ma qualsiasi cosa volesse dire andò persa, perché la porta si spalancò e un uomo dai capelli bianchi e arruffati uscì di corsa dalla locanda, come se qualcuno gli corresse dietro.