«Tanto varrebbe che fossi suo marito» sospirò mastro Gill. «Trova cose da aggiustare ancora prima che me ne accorga. Se non sono gli scarichi intasati o le grondaie che perdono, si tratta di topi. Tengo pulito il locale; ma, con tanta gente in città, i topi sono dovunque. Raduna gente in un posto e ti ritrovi pieno di topi; Caemlyn ne è infestata. Non credereste quanto costa un bravo gatto ammazzatopi, di questi tempi. La vostra stanza è in soffitta. Una delle ragazze ve la mostrerà. E non preoccupatevi degli Amici delle Tenebre. Non posso dire gran bene dei Manti Bianchi, ma fra loro e le Guardie, quella genia non osa mostrare qui a Caemlyn il suo lurido viso.» La sedia tornò a cigolare, mentre lui la scostava e si alzava. «Mi auguro che non siano di nuovo gli scarichi.»
Rand tornò a occuparsi del cibo, ma notò che Mat aveva smesso di mangiare. «Credevo che fossi affamato» commentò. Mat continuò a fissare il piatto, spingendo qua e là con la forchetta un pezzo di patata. «Devi mangiare, Mat. Dobbiamo conservare le forze, se vogliamo arrivare a Tar Valon.»
Mat emise una risata bassa e amara. «Tar Valon! Fino a oggi era Caemlyn. Moiraine ci aspetterà a Caemlyn. Tutto si risolverà, se solo arriviamo a Caemlyn. Bene, ci siamo arrivati. E niente si è risolto. Niente Moiraine, niente Perrin, niente di niente. Ora tutto si risolverà se solo arriviamo a Tar Valon.»
«Siamo vivi» disse Rand, in tono più brusco di quanto non volesse. Inspirò a fondo e cercò di moderarsi. «Siamo vivi. È già un bel risultato. E voglio restare vivo. Voglio scoprire perché siamo così importanti. Non cedo.»
«Tutta questa gente... e ognuno può essere un Amico delle Tenebre. Mastro Gill ci ha promesso aiuto fin troppo in fretta. Che genere di persona si limita a scrollare le spalle, quando si tratta di Aes Sedai e di Amici delle Tenebre? Non è normale. Una persona normale ci avrebbe detto di andare via, o... o... o qualcosa del genere.»
«Mangia» disse Rand, con gentilezza. E lo guardò finché Mat non si mise a masticare un boccone di carne.
Per un poco tenne le mani accanto al piatto, premute contro il piano del tavolo perché non tremassero. Era spaventato. Non a causa di mastro Gill, ovviamente, ma del resto: e ce n’era a sufficienza. Le alte mura della città non avrebbero fermato un Fade. Forse avrebbe dovuto parlarne al locandiere. Ma anche se mastro Gill gli avesse creduto, sarebbe stato disposto ad aiutarli, se pensava che un Fade potesse comparire nella sua locanda? E i topi. Forse i topi prosperavano dove si affollava molta gente, ma lui ricordava quel sogno che non era un sogno, a Baerlon, e lo schiocco di una piccola spina dorsale. A volte il Tenebroso adopera come occhi i divoratori di carogne, aveva detto Lan. Corvi, cornacchie, topi...
Continuò a mangiare, ma al termine non ricordava d’avere gustato un solo boccone.
Una cameriera, la stessa che quand’erano entrati lustrava i candelieri, li accompagnò alla loro stanza. Un abbaino interrompeva la parete obliqua; ai lati della finestrella c’erano due letti e accanto alla porta dei pioli per appendervi le loro cose. La cameriera, una ragazza dagli occhi scuri, aveva la tendenza ad agitare la sottana e a ridacchiare ogni volta che guardava Rand. Era graziosa, ma Rand capì che, se le avesse detto qualcosa, avrebbe fatto solo la figura dello sciocco. Rimpianse di non essere come Perrin, quando c’era da trattare con le ragazze; e fu contento quando la cameriera uscì.
Si aspettava qualche commento da Mat; invece, uscita la cameriera, Mat si gettò sul letto, senza togliersi né mantello né stivali, e girò il viso contro la parete.
Rand appese le sue cose. Gli parve che Mat tenesse la mano sotto la giubba e stringesse di nuovo il pugnale.
«Hai intenzione di startene lì disteso e nasconderti?» disse infine.
«Sono stanco» borbottò Mat.
«Mastro Gill potrebbe consigliarci come trovare Egwene e Perrin. Forse saranno già a Caemlyn, se non hanno perduto i cavalli.»
«Sono morti» disse Mat, senza girarsi.
Rand esitò, poi rinunciò. Si chiuse piano la porta alle spalle e si augurò che Mat riuscisse davvero a dormire.
Al pianterreno, però, mastro Gill era introvabile e l’occhiata della cuoca rivelò che anche lei lo cercava. Per un poco Rand rimase seduto nella sala comune, ma si scoprì a fissare ogni cliente che entrava, ogni estraneo che poteva essere qualsiasi cosa, soprattutto nel momento in cui si stagliava nel vano della porta, sagoma avvolta nel mantello. Un Fade nella stanza sarebbe stato come una volpe in un pollaio.
Entrò una Guardia in uniforme rossa. Si fermò quasi sulla soglia e scrutò con occhio gelido coloro che avevano l’evidente aspetto di forestieri. Rand si finse intento a esaminare il piano del tavolo, quando la Guardia girò gli occhi dalla sua parte. Rialzò lo sguardo, ma l’uomo era già uscito.
In quel momento passava la cameriera dagli occhi scuri, con una bracciata di asciugamani. «A volte fanno così» disse senza fermarsi, con tono fiducioso. «Solo per accertarsi che non ci siano guai. Si prendono cura dei sudditi della Regina. Non hai niente da preoccuparti.» Ridacchiò scioccamente.
Rand scosse la testa. Niente da preoccuparsi. Ci mancava solo che la Guardia si fosse avvicinata a domandargli se conosceva Thom Merrilin. Stava diventando come Mat. Scostò la sedia.
Un’altra cameriera controllava l’olio delle lampade lungo la parete.
«C’è un’altra stanza dove posso starmene seduto?» le domandò Rand. Non voleva tornare di sopra e rinchiudersi in camera con un Mat immusonito. «Una stanza da pranzo privata, al momento libera?»
«C’è la saletta di lettura.» Indicò una porta. «Da lì, a destra, in fondo al corridoio. Forse è vuota, a quest’ora.»
«Grazie. Se vedi mastro Gill, gli dici che Rand al’Thor ha bisogno di parlargli, appena ha un momento?»
«Senz’altro.» Sorrise. «Anche la cuoca vorrebbe parlargli.»
Forse proprio per questo il locandiere si teneva nascosto, pensò Rand, allontanandosi.
Entrò nella stanza che gli era stata indicata e sgranò gli occhi. Gli scaffali contenevano di sicuro tre o quattrocento volumi, più di quanti ne avesse mai visti in un posto solo. Rilegati in tela e in pelle, con dorature sul dorso. Solo alcuni avevano la copertina di legno. Guardò i titoli, notando i libri che gli erano piaciuti. I viaggi di Jain Farstrider. I cimenti di Willim di Maneches. Restò senza fiato, alla vista di una copia rilegata in pelle dei Viaggi fra il Popolo del Mare, Un libro che Tam aveva sempre desiderato leggere.
Si raffigurò Tam che rigirava tra le mani il libro e sorrideva apprezzando la sensazione, prima di sedersi davanti al camino a leggere; e strinse l’elsa, con un senso di vuoto che smorzò tutto il piacere d’avere trovato quei libri.
Dietro di lui, qualcuno si schiarì la gola; Rand si accorse a un tratto di non essere solo. Pronto a scusarsi per la scortesia, si girò. Anche se era di alta statura, fu costretto ad alzare gli occhi per guardare l’altro e rimase a bocca aperta: lo sconosciuto quasi toccava il soffitto alto dieci piedi; aveva un naso largo quasi quanto il viso, tanto da sembrare più un muso che un naso; sopracciglia pendenti come code incorniciavano due occhi chiari, larghi come tazze da tè. Le orecchie terminavano in ciuffi pelosi che sporgevano dalla chioma nera e arruffata. Trolloc! Con un grido soffocato, Rand cercò di arretrare e di sguainare la spada. Invece inciampò nei suoi stessi piedi e cadde duramente a sedere per terra.
«Vorrei che voi umani non vi comportaste in questo modo» rombò una voce profonda come rullo di tamburo. Le orecchie dalla punta pelosa si agitarono con violenza e la voce divenne triste. «Solo pochissimi si ricordano di noi. Colpa nostra, immagino. Non siamo andati molto fra gli umani, da quando l’Ombra cadde sulle Vie. Ormai sono passate... ah, sei generazioni. Fu subito dopo le Guerre Trolloc.» La creatura scosse la testa ed emise un sospiro che avrebbe reso onore a un toro. «Troppo, troppo tempo. E pochissimi a viaggiare e a vedere. Quasi nessuno.»