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Il menestrello
La porta della locanda si chiuse rumorosamente; l’uomo dai capelli bianchi si girò a fissarla con astio. Magro, e anche alto se non avesse tenuto le spalle curve, si muoveva con un’energia che smentiva l’età apparente. Il suo mantello sembrava un’accozzaglia di toppe, di forma bizzarra e di cento colori, agitate da ogni soffio d’aria. Ma in realtà, vide Rand, nonostante le parole di mastro al’Vere, il mantello era pesante e le toppe erano semplici decorazioni cucite sulla stoffa.
«Il menestrello!» mormorò Egwene, piena d’entusiasmo.
L’uomo dai capelli bianchi si girò, facendo ruotare il mantello. Indossava una lunga giubba con maniche a sbuffo e ampie tasche. Aveva un paio di baffoni, anch’essi bianchi, il viso pieno di rughe come il tronco d’un albero che avesse visto tempi brutti. Rivolse un gesto imperioso a Rand e agli altri, muovendo la pipa dal lungo cannello, riccamente intagliata, che lasciava uscire un ricciolo di fumo. Aveva folte sopracciglia bianche e penetranti occhi azzurri.
Rand fu colpito dagli occhi dell’uomo quasi quanto dal resto. Tutti, nei Fiumi Gemelli, avevano occhi scuri, e anche gran parte dei mercanti e dei forestieri. I Congar e i Coplin l’avevano preso in giro perché lui aveva occhi grigi, fino al giorno in cui si era deciso a dare un pugno sul naso a Ewal Coplin. Rand si domandò se ci fosse un luogo dove nessuno aveva occhi neri. Forse anche Lan proveniva da lì.
«Che razza di posto!» disse il menestrello, con voce che pareva più forte di quella d’un uomo normale: anche all’aperto, sembrava riempire un’ampia stanza e rimbalzare contro le pareti. «I bifolchi di quel villaggio sulla collina mi dicono che posso arrivare qui prima che faccia buio, ma non precisano che devo partire molto prima di mezzogiorno. Quando infine arrivo, gelato fino al midollo e pronto per un letto caldo, il locandiere brontola per l’ora tarda, come se fossi un porcaro e il vostro Consiglio del Villaggio non m’avesse chiesto di esibire la mia arte a questa vostra festa. E non mi ha nemmeno detto d’essere il sindaco.» S’interruppe per riprendere fiato, guardandoli con un’unica occhiata astiosa, ma subito continuò: «Scendo al pianterreno per fumare la pipa davanti al camino e bere un boccale di birra, e tutti mi fissano come se fossi il cognato più antipatico venuto a chiedere un prestito. Un nonnetto comincia a inveire contro di me per il tipo di storie che dovrei o non dovrei raccontare, poi una bambina mi grida d’uscire e minaccia di prendermi a bastonate se non mi sbrigo. Da quando in qua si trattano così i menestrelli?»
Il viso di Egwene era un bozzetto: occhi sgranati nel vedere un menestrello, voglia di prendere le difese di Nynaeve.
«Scusa, mastro Menestrello» disse Rand, ridacchiando come uno sciocco. «Quella era la nostra Sapiente e...»
«Quel soldo di cacio?» esclamò il menestrello. «Sapiente del villaggio? Alla sua età, farebbe meglio ad amoreggiare con i ragazzi, invece di prevedere il tempo e curare gli ammalati.»
Rand si mosse a disagio. Si augurò che Nynaeve non ascoltasse accidentalmente l’opinione del menestrello, almeno non prima dello spettacolo. Perrin trasalì e Mat emise un fischio sottotono, come se tutt’e due avessero avuto lo stesso pensiero di Rand.
«Quegli uomini formano il Consiglio del Villaggio» riprese Rand. «Sono sicuro che non intendevano mostrarsi scortesi. Vedi, abbiamo appena saputo che nel Ghealdan c’è la guerra e un uomo che sostiene d’essere il Drago Rinato. Un falso Drago. Le Aes Sedai accorrono da Tar Valon. Il Consiglio cerca di stabilire se anche noi siamo in pericolo.»
«Notizie vecchie perfino a Baerlon» tagliò corto il menestrello. «E questo è l’ultimo luogo al mondo dove arrivano.» Esitò, diede un’occhiata al villaggio e aggiunse, asciutto: «Quasi l’ultimo.» Poi notò il carro fermo di fronte alla locanda, con le stanghe per terra, senza nessuno intorno. «Ah, m’era sembrato di riconoscere Padan Fain, dentro.» La voce era ancora profonda, ma ora mancava di risonanza, sostituita dal disprezzo. «Fain è sempre stato uno che divulga in fretta le cattive notizie, e quelle peggiori ancora più in fretta. Ha l’animo più da corvo che da uomo.»
«Mastro Fain è venuto spesso a Emond’s Field, mastro Menestrello» disse Egwene, con una traccia di disapprovazione. «Porta sempre allegria e assai di rado brutte notizie.»
Il menestrello la fissò per un momento, poi fece un largo sorriso. «Sei un’amabile ragazza. Dovresti avere boccioli di rosa nei capelli. Purtroppo, non posso far spuntare rose dall’aria, non quest’anno; ma ti piacerebbe stare al mio fianco, domani, per aiutarmi nello spettacolo? Passarmi il flauto al momento giusto, e certe altre cose. Scelgo sempre come assistente la ragazza più graziosa.»
Perrin represse una risatina e Mat scoppiò a ridere. Sorpreso, Rand batté le palpebre; Egwene lo guardò di brutto, anche se lui non aveva nemmeno sorriso, e si erse in tutta la sua statura.
«Grazie, mastro Menestrello» disse, con voce fin troppo calma. «Ne sarò felice.»
«Thom Merrilin» replicò il menestrello. Gli altri lo fissarono. «Mi chiamo Thom Merrilin» spiegò lui. Si tirò sulle spalle il mantello multicolore e all’improvviso la sua voce parve di nuovo echeggiare in una grande sala. «Un tempo bardo di corte, ora sono davvero salito all’eminente rango di mastro Menestrello; ma mi chiamo semplicemente Thom Merrilin, e menestrello è il semplice titolo di cui mi vanto.» Eseguì un inchino complicato e pieno di svolazzi, tanto che Mat gli batté le mani e Egwene mormorò d’ammirazione.
«Mastro... ah... mastro Merrilin» disse Mat, incerto su come chiamarlo, dopo quel discorsetto «cosa avviene davvero nel Ghealdan? Sai qualcosa di questo falso Drago? O delle Aes Sedai?»
«Ti sembro un ambulante, ragazzo?» brontolò il menestrello, battendo la pipa sul palmo. Con un rapido gesto la fece scomparire, nel mantello o nella giubba. «Sono un menestrello, non un gazzettino. E mi faccio un punto di non sapere mai niente delle Aes Sedai. È più sicuro così.»
«Ma la guerra...» cominciò Mat, in tono ansioso.
«Nelle guerre, ragazzo» lo interruppe mastro Merrilin «alcuni stupidi uccidono altri stupidi per motivi stupidi. Non c’è altro da sapere, per chiunque. Io sono qui per la mia arte.» A un tratto puntò il dito contro Rand. «Tu, ragazzo. Tu sei alto. Non ancora al pieno dello sviluppo, ma dubito che nel distretto ci sia un altro alto come te. Né con occhi di quel colore, scommetto. Voglio dire che per fisico e statura sembri un Aiel. Come ti chiami?»
Rand gli rispose con esitazione: non era sicuro che l’uomo non lo prendesse in giro. Ma il menestrello aveva già rivolto l’attenzione a Perrin. «E tu sei grande e grosso quasi quanto un Ogier. Come ti chiami?»
«Solo con un altro come me sulle spalle» rise Perrin. «Rand e io siamo soltanto persone comuni, mastro Merrilin, non creature inventate delle tue storie. Mi chiamo Perrin Aybara.»
Tom Merrilin si tirò un baffo. «Ma senti. Creature inventate delle mie storie. Allora voi ragazzi avete viaggiato in lungo e in largo, a quanto pare.»
Rand tenne la bocca chiusa, sicuro adesso che fossero il bersaglio d’uno scherzo, ma Perrin rispose: «Tutti e tre siamo andati fino a Watch Hill e a Deven Ride. Pochi, qui intorno, sono andati così lontano.» Non lo disse per vantarsi, non era il tipo. Si trattava della semplice verità.
«Abbiamo anche visto l’Acquitrino» aggiunse Mat, e questa parve davvero vanteria. «Ossia la palude sul lato più lontano del Waterwood. Lì non ci va proprio nessuno... è pieno di sabbie mobili. E neppure alle Montagne di Nebbia, ma noi ci siamo andati, una volta. Be’, fino ai piedi delle montagne.»
«Lontano così?» mormorò il menestrello, lisciandosi adesso i baffi di continuo. Rand pensò che nascondesse un sorriso e vide che Perrin si accigliava.
«Porta sfortuna, salire le montagne» disse Mat, quasi a scusarsi per non averle scalate. «Lo sanno tutti.»
«Sciocchezze, Matrim Cauthon» intervenne Egwene, irritata.«Nynaeve dice...» Arrossì e diede a Thom Merrilin un’occhiata un po’ meno amichevole di prima. «Non è giusto fare... Non è...» Divenne ancora più rossa e tacque. Mat batté le palpebre, come se gli fosse venuto il sospetto d’essere preso in giro.