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«Ah, non so. Strane figure. Trolloc, probabilmente. L’Uomo Ombra. Lews Therin Kinslayer in persona, tornato in vita e alto cinquanta piedi. Che genere di figure credi che la gente immaginerà, ora che si è messa in testa l’idea? La cosa non ci deve preoccupare.» Mastro Gill lo osservò per un momento. «Vai fuori, eh? Be’, piacerebbe anche a me, perfino oggi, ma qui in pratica sono da solo. E il tuo amico?»

«Mat non si sente bene. Forse uscirà più tardi.»

«Be’, non importa. Ma stai attento. Perfino oggi i buoni sudditi della Regina saranno in minoranza, fuori. Non avrei mai pensato di vedere una cosa del genere. Esci dal vicolo, è meglio. Ci sono due di quei maledetti traditori, seduti dall’altra parte della via a tenere d’occhio la mia porta d’ingresso. Sanno da che parte sto, per la Luce!»

Sulla porta, Rand sporse la testa e guardò da tutte le parti, prima di uscire nel vicolo. Un tipo robusto, assunto da mastro Gill, era fermo all’imbocco della viuzza: appoggiato alla lancia, guardava senza interesse la gente passare di fretta. La mancanza d’interesse era solo apparenza, Rand lo sapeva. Il tizio, un certo Lamgwin, notava tutto, pur tenendo gli occhi socchiusi; e, per quanto massiccio, sapeva muoversi con la rapidità d’un gatto. Inoltre, riteneva che la regina Morgase fosse la Luce incarnata, o quasi. C’era una decina di tipi come lui, intorno alla locanda.

Lamgwin tese l’orecchio, quando Rand arrivò all’uscita del vicolo, ma continuò a “disinteressarsi” della via. Rand capì che l’aveva udito arrivare.

«Attento alle spalle, oggi, amico» disse Lamgwin, con voce aspra come ghiaia in padella. «Quando cominceranno i disordini, faresti comodo qui, non chissà dove, con un coltello piantato nella schiena.»

Rand non fu molto sorpreso. Cercava sempre di tenere fuori vista la spada, ma non era la prima volta che uno degli uomini di mastro Gill pensava che lui sapesse cavarsela, in uno scontro. Lamgwin non lo guardò: aveva il compito di montare la guardia alla locanda e lo eseguiva.

Rand spinse ancora un poco la spada sotto il mantello e si unì alla fiumana di gente. Dall’altra parte della via, i due a cui il locandiere aveva accennato erano saliti in piedi su due barili capovolti, in modo da vedere al di sopra della folla. Rand pensò che non l’avessero visto uscire dal vicolo. I due non tenevano segreta la propria fazione: non solo avevano la spada avvolta in stoffa bianca legata in rosso, ma anche bracciale bianco e coccarda bianca al berretto.

Rand aveva scoperto presto che la spada avvolta in stoffa rossa, o un bracciale o una coccarda rossi, significavano sostegno alla regina Morgase; il bianco indicava invece che la Regina e il suo rapporto con le Aes Sedai e Tar Valon erano da biasimare per tutto ciò che andava storto. Per la mancata primavera e per i raccolti inesistenti. Forse perfino per il falso Drago.

Rand non voleva farsi coinvolgere nella politica di Caemlyn, ma ormai era troppo tardi. Non solo perché aveva già fatto una scelta, seppure per caso. La situazione della città era arrivata al punto che era impossibile mantenersi neutrali. Anche i forestieri portavano coccarde e bracciali, e il bianco superava il rosso. Forse alcuni di loro non erano convinti, ma si trovavano lontano da casa e quella era la situazione a Caemlyn. I sostenitori della Regina giravano in gruppo, per proteggersi, se pure andavano in giro.

Quel giorno, però, la situazione era differente. In superficie, almeno. Quel giorno Caemlyn celebrava una vittoria della Luce sull’Ombra: quel giorno il falso Drago veniva portato in città, per essere mostrato alla Regina, prima di essere condotto a Tar Valon.

Di questo, nessuno parlava. Ovviamente, solo le Aes Sedai potevano affrontare chiunque possedesse davvero l’Unico Potere; ma nessuno voleva ricordarlo. La Luce aveva sconfitto l’Ombra e i soldati dell’Andor erano stati in prima fila, nella battaglia. In quel giorno, solo questo contava e si poteva dimenticare tutto il resto.

La gente andava di fretta, cantava e agitava bandiere, rideva; ma chi portava il rosso si raccoglieva in gruppi di dieci, venti persone, che non comprendevano né donne né bambini, Rand calcolò che ci fossero almeno dieci bianchi per ogni rosso. Ancora una volta rimpianse che fosse stata la stoffa rossa, a costare meno. Ma mastro Gill l’avrebbe aiutato, se lui avesse scelto il bianco?

La folla era così fitta che gli urti erano inevitabili. Quel giorno neppure i Manti Bianchi godevano di spazio. Mentre si lasciava trasportare verso la Città Interna, Rand si rese conto che non tutta l’animosità era tenuta a freno. Un Figlio della Luce, in un gruppo di tre, fu urtato con tanta violenza da finire quasi per terra. Il Manto Bianco mantenne a stento l’equilibrio e imprecò con rabbia contro l’uomo che l’aveva urtato, ma un altro lo costrinse a barcollare, con una spallata decisa e voluta. Prima che la situazione trascendesse, gli altri due Manti Bianchi trascinarono il proprio compagno al riparo di un androne. I tre parevano increduli. La folla continuò a muoversi come se nessuno avesse visto niente e forse era vero.

Solo due giorni prima, nessuno avrebbe osato comportarsi in questo modo. Inoltre, notò Rand, i due che avevano urtato di proposito il Manto Bianco portavano sul berretto una coccarda bianca. Eppure si sapeva che i Figli della Luce sostenevano gli oppositori della Regina e dell’Aes Sedai che fungeva da consigliere. Ma questa considerazione non cambiava niente: la gente faceva cose che non si sarebbe mai sognata di fare. Oggi, spintonare un Manto Bianco; domani, forse, rovesciare una regina? All’improvviso Rand desiderò di avere intorno più gente con il rosso; tra gli spintoni dei bianchi, si sentì di colpo davvero solo.

I tre Manti Bianchi si accorsero che Rand li fissava e lo guardarono di traverso, come per rispondere a una sfida. Rand si lasciò portare fuori vista da un gruppo di gente che cantava e si unì al canto.

Avanti il Leone, avanti il Leone, il Leone Bianco scende in campo. Ruggisce all’Ombra la sua sfida. Avanti il Leone, avanti, per il trionfo dell’Andor.

Tutti conoscevano il percorso che il falso Drago avrebbe seguito dentro Caemlyn. Le vie erano tenute sgombre da file compatte di Guardie della Regina e di picchieri dal manto rosso, ma la gente si affollava spalla a spalla contro lo sbarramento, era anche alle finestre e in cima ai tetti. Rand si fece strada nella Città Interna e cercò di avvicinarsi al Palazzo. Aveva una mezza idea di vedere Logain mentre lo mostravano alla Regina. Vedere il falso Drago e una regina! Una cosa che non si era neppure sognato, a casa.

La Città Interna era stata costruita sui colli e conservava ancora lo stile degli Ogier. Nella Città Nuova le vie andavano in tutte le direzioni, ma nella Città Interna seguivano le curve dei colli come se fossero parte naturale del terreno. I pendii presentavano a ogni curva panorami nuovi e sorprendenti: parchi visti da angolature differenti, anche dall’alto, con vialetti e monumenti che formavano disegni piacevoli all’occhio, anche se quasi privi di verde; torri rivelate all’improvviso, pareti coperte di piastrelle che scintillavano al sole con centinaia di colori cangianti; salite improvvise da cui si vedeva l’intera città, fino alle piane ondulate e ai boschi lontani. Tutto sommato, sarebbe stato uno spettacolo magnifico, se la marea di folla avesse consentito a Rand d’ammirarlo. E le vie curve non permettevano di vedere avanti.

A un tratto, oltrepassata una curva, Rand si trovò davanti al Palazzo. Le vie, pur seguendo il contorno naturale del terreno, in quella zona erano disposte a spirale. Il Palazzo pareva uscito dai racconti dei menestrelli: pallide guglie e cupole dorate, complesse filigrane di pietra, bandiere dell’Andor che sventolavano da ogni sporgenza. Il punto centrale per il quale tutti gli altri panorami erano stati progettati. Pareva scolpito da uno scultore, non semplicemente costruito, come gli edifici normali.