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Elayne fissò Tallanvor e per un istante parve che non sapesse che pesci pigliare.

Rand rivolse con gli occhi una muta domanda a Gawyn e questi capì al volo. «Prigione» mormorò. Rand sbiancò in viso e il ragazzo aggiunse in fretta: «Solo per qualche giorno. Non ti faranno niente. Sarai interrogato da Gareth Bryne, il Capitano Generale in persona, ma ti lasceranno libero appena sarà chiaro che non intendevi fare niente di male.» Esitò, con lo sguardo velato da pensieri nascosti. «Mi auguro che tu abbia detto la verità, Rand al’Thor dei Fiumi Gemelli.»

«Ci condurrai tutt’e tre da mia madre» annunciò a un tratto Elayne. Sul viso di Gawyn sbocciò un sorriso.

Dietro la celata, Tallanvor parve sconvolto. «Milady, io...»

«Oppure tutt’e tre in cella. Rimarremo insieme. O intendi ordinare che mi si mettano le mani addosso?» Mostrò un sorriso di vittoria. Da come Tallanvor si guardò intorno, quasi aspettasse aiuto dagli alberi, fu chiaro che anche lui si riteneva sconfitto.

«Nostra madre in questo momento giudica Logain» disse sottovoce Gawyn a Rand, come se gli avesse letto nel pensiero. «Anche se non fosse occupata, Tallanvor non oserebbe presentarsi a lei portando Elayne e me come se fossimo prigionieri. Nostra madre ha un brutto carattere, a volte.»

Dal vialetto giunse di corsa un altro soldato in uniforme rossa e si fermò a eseguire il saluto, braccio contro il petto. Parlò sottovoce a Tallanvor, che parve ringalluzzirsi.

«La regina vostra madre ordina di portare subito da lei l’intruso. Ordina anche che milady Elayne e milord Gawyn si presentino subito da lei.»

Gawyn fece una smorfia e Elayne deglutì con forza. Riacquistò padronanza e cominciò a ripulirsi la veste per togliere le macchie, ma riuscì solo a scuotere via qualche frammento di corteccia.

«Se milady vuole seguirmi» disse Tallanvor, con aria compiaciuta. «Milord?»

I soldati formarono quadrato intorno a loro e si avviarono dietro Tallanvor. Gawyn e Elayne procedevano ai lati di Rand e parevano assorti in pensieri poco piacevoli. I soldati avevano rinfoderato la spada, ma tenevano d’occhio Rand come se si aspettassero che da un momento all’altro cercasse di aprirsi la strada verso la libertà.

Guardando i soldati che lo controllavano, Rand solo allora notò anche il giardino. Ormai si era rimesso dalle conseguenze della caduta. Ma gli avvenimenti si erano susseguiti in fretta e lui in pratica non si era accorto dell’ambiente, a parte il muro e il desiderio di trovarsi dall’altra parte. Ora vide davvero l’erba, gli alberi e gli arbusti, ricchi di foglie e di frutti. Rampicanti rigogliosi coprivano i pergolati lungo il vialetto. C’erano fiori dappertutto, tantissimi fiori, che punteggiavano di colore il giardino. Rand ne riconobbe alcuni... bruciasole d’un giallo vivido e minuscoli codagrassa rosa, stellardenti rosso cremisi e porporine Glorie di Emond, rose di ogni sfumatura dal bianco candidissimo al rosso cupo... ma altri non li aveva mai visti, fiori così fantastici per forma e colore da sembrare finti.

«È pieno di verde» mormorò. «Verde.» I soldati borbottarono sottovoce; girando solo la testa, Tallanvor rivolse loro un’occhiata penetrante e quelli tacquero subito.

«Opera di Elaida» disse Gawyn, con noncuranza.

«Però non è giusto che noi abbiamo fiori, mentre tutt’intorno le messi ancora non spuntano e la gente non ha da mangiare a sufficienza» disse Elayne. Trasse un profondo sospiro e riacquistò la padronanza di sé. Si rivolse vivacemente a Rand. «Cerca di comportarti bene. Se ti fanno domande, rispondi con chiarezza, altrimenti resta in silenzio. E segui la mia guida. Andrà tutto bene.»

Rand avrebbe voluto condividere la sua fiducia. E si sarebbe rincuorato se anche Gawyn ne avesse mostrata altrettanta. Mentre Tallanvor li conduceva nel Palazzo, Rand lanciò ancora un’occhiata al giardino, a tutto quel verde chiazzato di fiori, creato da un’Aes Sedai per la Regina. Era in acque profonde, si disse; e non c’era riva in vista.

Nel Palazzo, i corridoi erano pieni di servitori in livrea rossa con colletto e polsini bianchi, il Leone Bianco ricamato sul petto della veste, impegnati in compiti che non saltavano subito all’occhio. Al passaggio del drappello di soldati con Elayne e Gawyn e Rand in mezzo, tutti rimasero a guardare a bocca aperta.

In mezzo a tanta costernazione, un gatto grigio tigrato si mosse con indifferenza nel corridoio, scansando i servitori stupefatti. A Rand parve una stranezza. A Baerlon aveva imparato che anche la bottega più misera aveva gatti in ogni angolo. Ma nel Palazzo aveva visto soltanto quell’unico gatto.

«Non ci sono topi?» disse, assai stupito. I topi erano dovunque.

«A Elaida i topi non piacciono» mormorò vagamente Gawyn. Fissava, accigliato, il corridoio, come se già vedesse l’incontro con la Regina. «Qui non ce ne sono mai.»

«Zitti, tutt’e due» disse Elayne, in tono aspro, ma assente come quello del fratello. «Devo riflettere.»

Da sopra la spalla Rand tenne d’occhio il gatto, finché non girarono un angolo e l’animale scomparve. Se avesse visto molti gatti, si sarebbe sentito meglio: almeno, nel Palazzo ci sarebbe stata una cosa normale, fosse pure la presenza di topi.

Il percorso seguito da Tallanvor fece tante di quelle svolte che Rand perdette l’orientamento. Alla fine l’ufficiale si fermò davanti a, un’alta porta a due battenti di lucido legno scuro, meno grandiosa di altri usci già oltrepassati, ma intagliata con file di leoni riprodotti nei minimi particolari. Due servitori in livrea erano fermi ai lati della porta.

«Almeno non è la Sala del Trono» disse Gawyn, con una risatina incerta. «Qui non ho mai udito nostra madre ordinare che mozzassero la testa a qualcuno.» Ma il suo tono parve insinuare che era sempre possibile stabilire un precedente.

Tallanvor allungò la mano verso la spada di Rand, ma Elayne si frappose. «È mio ospite» disse. «Per consuetudine e per legge, gli ospiti della famiglia reale possono presentarsi anche armati davanti a nostra madre. O metti in dubbio la mia parola?»

Tallanvor esitò, guardandola negli occhi; poi annuì. «Benissimo, milady» rispose. Elayne sorrise a Rand, mentre Tallanvor faceva un passo indietro; ma il sorriso durò solo un momento. «La prima fila mi accompagni» ordinò Tallanvor. Poi, rivolto ai due servitori alla porta: «Annunciate a sua maestà l’arrivo di lady Elayne e di lord Gawyn; inoltre, del tenente della Guardia Tallanvor, con l’intruso sotto scorta.»

Elayne gli lanciò un’occhiataccia, ma i battenti già si aprivano. Una voce sonora annunciò chi stava per entrare.

Con imponenza Elayne varcò la porta, ma guastò un poco l’entrata regale indicando a Rand di tenersi dietro di lei. Gawyn drizzò le spalle e seguì la sorella, un passo esatto più indietro. Rand lo imitò, incerto, tenendosi alla stessa altezza, dall’altra parte di Elayne. Tallanvor rimase vicino a Rand, accompagnato da dieci soldati. I battenti si chiusero senza rumore alle spalle del gruppetto.

All’improvviso Elayne eseguì una profonda riverenza accompagnata da un inchino, e rimase in quella posizione. Rand trasalì, poi si affrettò a imitare Gawyn e gli altri, ponendosi goffamente nella posizione corretta: ginocchio destro a terra, testa china, corpo piegato a premere con le nocche della destra le piastrelle di marmo, la sinistra sull’elsa. Gawyn, che non aveva spada, tenne la mano sull’elsa del pugnale.

Ognuno mantenne la posizione, come statua di ghiaccio in attesa del disgelo di primavera. Rand non sapeva che cosa aspettassero, ma colse l’occasione per esaminare la sala. Mosse la testa solo quanto bastava a guardarsi intorno.

La stanza, quadrata, aveva all’incirca le dimensioni della sala comune della locanda; le pareti mostravano scene di caccia scolpite a bassorilievo su pietra candidissima. Gli arazzi riproducevano fiori dai colori vividi e colibrì dal piumaggio variopinto, a parte i due in fondo alla stanza, che rappresentavano su fondo rosso il Leone Bianco di Andor, più alto di una persona. Questi due arazzi fiancheggiavano una pedana col trono scolpito e dorato sul quale sedeva la Regina.