Alla destra della Regina c’era un uomo a capo scoperto, basso e tozzo, con l’uniforme rossa della Guardie, quattro nodi d’oro sulla spallina del mantello e larghe strisce dorate che interrompevano il bianco dei polsini. Era assai brizzolato, ma pareva forte e inamovibile come una roccia. Senz’altro si trattava del Capitano Generale Gareth Bryne. Dietro il trono, dall’altro lato, una donna vestita di seta verde scuro sedeva su di un basso panchetto e sferruzzava usando un gomitolo di lana scura, quasi nera. Questo particolare indusse Rand a pensare che fosse anziana, ma a una seconda occhiata non riuscì a darle un’età precisa. Giovane o vecchia, pareva dedicare tutta l’attenzione ai ferri e alla lana, come se a un braccio da lei non ci fosse una regina. Era una donna bella, dall’aria serena; eppure c’era qualcosa di terribile, nella sua concentrazione. Nella stanza si udiva solo il ticchettio dei ferri.
Rand cercò di guardare ogni cosa, ma finiva sempre per tornare con lo sguardo alla donna dal lucente serto di rose finemente lavorate, la Corona di Rose di Andor. Una lunga stola rossa, istoriata con il Leone di Andor, le scendeva sulla veste di seta a pieghine rosse e bianche; quando mosse la sinistra a toccare il braccio del Capitano Generale, fece brillare un anello a forma del Gran Serpente che si morde la coda. Eppure, ad attirare in continuazione lo sguardo di Rand non era la magnificenza delle vesti e dei gioielli e della corona, ma la donna stessa.
Morgase aveva la bellezza della figlia, sbocciata e maturata. Il suo viso, la sua figura, il suo portamento riempivano la stanza come una luce che soffocasse le altre. A Emond’s Field, una vedova come lei avrebbe avuto alla porta una fila di pretendenti, anche se fosse stata la peggiore cuoca e la più sciatta padrona di casa dei Fiumi Gemelli. Rand si accorse che lei lo esaminava e chinò la testa, timoroso che potesse leggergli in viso i pensieri.
«Alzatevi» disse Morgase, con voce piena e calda che mostrava la certezza dell’ubbidienza, cento volte più della voce di Elayne.
Rand si alzò con gli altri.
«Madre...» cominciò Elayne.
Morgase l’interruppe. «Si direbbe che tu ti sia arrampicata sugli alberi, figlia.» Elayne si tolse dal vestito un ultimo frammento di corteccia e, non sapendo dove metterlo, lo tenne stretto in pugno. «Da quanto ho capito» continuò con calma Morgase «pare che, nonostante i miei ordini, hai fatto in modo di dare un’occhiata a questo Logain. Gawyn, da te m’aspettavo di più. Devi imparare non solo a ubbidire a tua sorella, ma nello stesso tempo a farle da contrappeso per evitare disastri.» Lanciò una rapida occhiata all’uomo tozzo alla sua destra. Bryne rimase impassibile, come se non se ne fosse accorto, ma Rand pensò che a quegli occhi non sfuggisse nulla. «Il Primo Principe, Gawyn» continuò Morgase «ha anche questo compito, oltre quello di guidare l’esercito di Andor. Forse, intensificando l’addestramento, avresti meno tempo per lasciare che tua sorella ti trascini nei guai. Chiederò al Capitano Generale di provvedere affinché non ti manchi da fare, durante il viaggio a settentrione.»
Gawyn parve sul punto di protestare; invece chinò la testa. «Ai tuoi ordini, madre» disse.
Elayne fece una smorfia. «Madre, Gawyn non può tenermi fuori dei guai, se non sta con me. Solo per questo motivo ha lasciato le sue stanze. E poi, non può esserci niente di male a dare solo un’occhiata a Logain. Tutti, in città, erano più vicino di noi.»
«Tutti, in città, non significa anche l’Erede.» C’era una nota d’asprezza, nella voce della Regina. «Ho visto da vicino questo Logain. È un individuo pericoloso, figlia mia. Anche in gabbia, sotto la sorveglianza continua delle Aes Sedai, è pericoloso come un lupo. Vorrei che non l’avessero mai portato a Caemlyn.»
«Penseranno a lui, a Tar Valon» intervenne la donna seduta sul panchetto, senza distogliere lo sguardo dal lavoro a maglia. «Ma è importante che la gente veda che la Luce ha sconfitto ancora una volta le Tenebre. E che tu hai partecipato alla vittoria, Morgase.»
«Continuo a rimpiangere che sia venuto a Caemlyn» replicò la Regina. «Elayne, ti conosco bene.»
«Madre» protestò Elayne «ma io voglio ubbidirti. Davvero.»
«Davvero?» ripeté Morgase, con finta sorpresa. Poi ridacchiò. «Sì, ti sforzi di essere una figlia ubbidiente. Ma cerchi sempre di stabilire fin dove puoi spingerti. Be’, lo facevo anch’io, con mia madre. Questo spirito ti farà comodo, quando salirai al trono... ma non sei ancora la regina, figlia mia. Hai disubbidito e hai dato un’occhiata a Logain. Ti basti questo. Durante il viaggio, non ti sarà permesso d’avvicinarti a meno di cento passi da lui. Né a te, né a Gawyn. Se non sapessi quanto saranno dure le lezioni a Tar Valon, manderei con te Lini a badare che tu ubbidisca. Lei almeno, sembra in grado di farti rigare dritto.»
Elayne chinò la testa, imbronciata.
La donna dietro il trono pareva impegnata a contare le maglie. «Dopo una sola settimana» disse a un tratto «avrai voglia di tornare a casa da tua madre. Dopo un mese, avrai voglia di fuggire con i Girovaghi. Ma le mie sorelle ti terranno lontano dai miscredenti. Cose del genere non sono per te, non ancora.» Di colpo si girò a fissare Elayne: tutta la sua serenità era scomparsa, come se non fosse mai esistita. «Hai in te le qualità per essere la più grande Regina che l’Andor abbia mai visto... che in più di mille anni nessuna nazione abbia mai visto. Per questo ti formeremo, se ne avrai la forza.»
Rand la fissò. Quella donna era certamente Elaida, l’Aes Sedai. A un tratto fu lieto di non avere chiesto aiuto a lei, indipendentemente dal colore della sua Ajah. Emanava una severità molto maggiore di quella di Moiraine. Certe volte, lui aveva paragonato Moiraine ad acciaio rivestito di velluto; nel caso di Elaida, il velluto era solo illusione.
«Basta così, Elaida» disse Morgase, con una ruga di disagio. «Sono cose che ha già sentito a sufficienza. La Ruota gira e ordisce come vuole.» Per un momento rimase in silenzio, a guardare la figlia. «E ora c’è la questione di questo giovanotto...» indicò Rand, senza staccare lo sguardo dal viso di Elayne «e del come e perché è venuto qui, e come mai, con tuo fratello, ti sei appellata al diritto d’ospitalità.»
«Posso parlare, madre?» Morgase annuì e Elayne raccontò semplicemente cos’era accaduto da quando aveva scorto Rand arrampicarsi su per il pendio fino al muro. Rand si aspettò che concludesse proclamandolo innocente, invece Elayne disse: «Madre, sostieni spesso che devo conoscere il nostro popolo, dal più alto al più umile, ma ogni volta che incontro un nostro suddito è sempre presente una decina di servitori. Come faccio a conoscere la realtà e la verità, in queste circostanze? Parlando con questo giovanotto, ho imparato più cose, sulla gente dei Fiumi Gemelli, di quante non ne avrei mai apprese dai libri. Non ti dice niente, il fatto che sia giunto da così lontano e abbia scelto il rosso, mentre tanti nuovi venuti portano il bianco per paura? Madre, ti prego di non maltrattare un suddito leale, che mi ha insegnato molte cose sulla gente che tu governi.»
«Un leale suddito giunto dai Fiumi Gemelli» sospirò Morgase. «Figlia mia, dovresti fare più attenzione ai libri. Da sei generazioni i Fiumi Gemelli non vedono un esattore né Guardie della Regina. Oserei dire che ben di rado si ricordano d’appartenere al Regno.» Rand mosse le spalle a disagio, ricordando la sorpresa nell’apprendere che i Fiumi Gemelli facevano parte del Regno di Andor. La Regina notò il gesto e sorrise tristemente alla figlia. «Capisci, bambina mia?»
Elaida aveva posato il lavoro a maglia e osservava Rand. Si alzò dal panchetto, scese dalla pedana e si fermò davanti a lui. «Dai Fiumi Gemelli?» disse. Allungò la mano verso la testa di Rand, che si ritrasse, e lei lasciò perdere. «Con questi capelli rossi e questi occhi grigi? La gente dei Fiumi Gemelli è scura d’occhi e di capelli; e ben di rado è così alta di statura.» Allungò di scatto la mano e gli scostò la manica della giubba, mettendo in mostra la pelle più chiara, non abbronzata dal sole. «E non ha questa carnagione.»