«Il sospetto soffoca Caemlyn, forse tutto l’Andor. La paura e il sospetto. Le donne denunciano le vicine, gli uomini scarabocchiano la Zanna del Drago sulla porta di gente che conoscono da anni. Non mi lascerò contagiare.»
«Morgase...» cominciò Elaida, ma la Regina la interruppe.
«Non mi lascerò contagiare. Quando sono salita al trono, ho giurato di amministrare la giustizia per i ricchi e per i poveri, e lo farò anche se sarò l’ultima nell’Andor a ricordare la giustizia. Rand al’Thor, giuri per la Luce che tuo padre, un pastore dei Fiumi Gemelli, ti ha dato questa spada col marchio dell’airone?»
«Lo giuro» riuscì a rispondere Rand. All’improvviso ricordò chi era l’interlocutrice e soggiunse: «Mia regina.» Lord Gareth inarcò il sopracciglio, ma Morgase parve non badargli.
«E ti sei arrampicato sul muro del giardino solo per dare un’occhiata al falso Drago?»
«Sì, mia regina.»
«Hai brutte intenzioni nei confronti del trono di Andor, o di mia figlia, o di mio figlio?»
«Non ho brutte intenzioni nei confronti di nessuno, mia regina. Men che meno, verso di te e i tuoi figli.»
«Allora ti renderò giustizia, Rand al’Thor. In primo luogo, perché a differenza di Elaida e di Gareth ho il vantaggio di avere udito, da giovane, la parlata dei Fiumi Gemelli; non hai l’aspetto di quella gente, ma, se la memoria non mi tradisce, parli come loro. In secondo luogo, nessuno che abbia i tuoi capelli e i tuoi occhi può sostenere d’essere un pastore dei Fiumi Gemelli, se non è vero. E che tuo padre ti abbia dato una spada col marchio dell’airone è troppo assurdo per essere una menzogna. In terzo luogo, una vocina mi mormora che spesso la menzogna migliore è quella troppo assurda per sembrare menzogna... ma questa non è una prova. Confermo le leggi da me fatte. Ti rendo la libertà, Rand al’Thor; ma ti suggerisco di badare in futuro a dove ti intrufoli. Se ti scoprono di nuovo nei terreni del Palazzo, non te la caverai altrettanto facilmente.»
«Grazie, mia regina» disse Rand, con voce rauca. Sentì, come ondata di calore sul viso, lo scontento di Elaida.
«Tallanvor, scorta questo... scorta l’ospite di mia figlia fuori del Palazzo e trattalo con ogni cortesia. Anche gli altri possono andare. No, Elaida, tu resta. E anche tu, lord Gareth, se non ti spiace. Devo prendere una decisione a riguardo dei Manti Bianchi in città.»
Tallanvor e le guardie rinfoderarono con riluttanza la spada, pronti a estrarla in un attimo. Eppure Rand fu lieto che i soldati formassero quadrato intorno a lui e seguì Tallanvor. Elaida ascoltava solo a metà le parole della Regina: lui sentiva sulla nuca lo sguardo dell’Aes Sedai. Cosa sarebbe accaduto, si domandò, se Morgase non avesse detto all’Aes Sedai di restare? Desiderò che i soldati si muovessero più in fretta.
Con sua sorpresa, appena fuori della stanza Elayne e Gawyn scambiarono qualche parola e rimasero accanto a lui. Anche Tallanvor si stupì e diede un’occhiata ai battenti che si chiudevano.
«Mia madre» disse Elayne «ha ordinato di scortarlo fuori del Palazzo, Tallanvor. Con ogni cortesia. Cosa aspetti?»
Tallanvor rivolse un’occhiata torva alla porta dietro cui la Regina conferiva con i propri consiglieri. «Niente, milady» rispose, acido, e ordinò alla scorta di muoversi.
Le meraviglie del Palazzo sfilarono senza che Rand le notasse. Era stordito, brandelli di conversazione continuavano a ronzargli nella testa. «Non hai l’aspetto.» «Costui si trova al centro.»
La scorta si fermò. Rand trasalì, sorpreso di trovarsi nella grande corte davanti al Palazzo, di fronte alle alte porte dorate. Quelle porte non si sarebbero aperte per una persona sola, certo non per un intruso, anche se l’Erede aveva rivendicato per lui il diritto d’ospitalità. Senza dire una parola, Tallanvor tolse il chiavistello a una porticina posta nel battente.
«È consuetudine» disse Elayne «scortare gli ospiti fino alle porte e non restare a guardarli mentre se ne vanno. Bisognerebbe ricordare il piacere della compagnia, non la tristezza della partenza.»
«Grazie, milady» disse Rand. Toccò il fazzoletto che gli fasciava la testa. «Grazie di tutto. Nei Fiumi Gemelli è consuetudine portare all’ospite un piccolo dono. Purtroppo non ho niente. Anche se...» proseguì, in tono ironico «a quanto pare ti ho insegnato qualcosa sulla gente dei Fiumi Gemelli.»
«Se avessi detto a nostra madre che ti ritengo un bel ragazzo, di sicuro ti avrebbe richiuso in cella.» Elayne gli rivolse un sorriso radioso. «Addio, Rand al’Thor.»
A bocca aperta, Rand la guardò allontanarsi, una versione più giovane della bellezza e della maestà di Morgase.
«Inutile, discutere con lei» rise Gawyn. «Avrà sempre l’ultima parola.»
Rand annuì, distratto. “Un bel ragazzo?" pensò. “Luce santa, ma lei è l’Erede al trono di Andor!" Si scosse per schiarirsi la testa. Gawyn pareva in attesa. Rand lo guardò.
«Milord, quando ho detto di provenire dai Fiumi Gemelli, sei rimasto sorpreso. Come ogni altro, tua madre, lord Gareth, Elaida Sedai...» sentì un brivido lungo la schiena «tutti quanti...» Non riuscì a terminare. Non sapeva nemmeno perché avesse cominciato. “Sono il figlio di Tam al’Thor” pensò “anche se non sono nato nei Fiumi Gemelli."
Gawyn annuì, come se aspettasse proprio questo. Ma esitò ancora. Rand aprì la bocca per ritrattare la domanda inespressa, e Gawyn disse: «Avvolgiti in testa uno shoufa, Rand, e diventi l’immagine perfetta di un Aiel. Eppure mia madre pare convinta che quanto meno parli come uno dei Fiumi Gemelli. Mi sarebbe piaciuto conoscerti meglio, Rand al’Thor. Addio.»
Un Aiel, pensò Rand.
Rimase a guardare la schiena di Gawyn, finché il colpo di tosse dello spazientito Tallanvor gli ricordò dove si trovava. Varcò la porticina e tolse le gambe appena in tempo: Tallanvor la chiuse con forza e mise rumorosamente a posto la sbarra interna.
Ormai la piazza ovale davanti al Palazzo era deserta. Spariti i soldati, la folla, le trombe, i tamburi, restavano solo rifiuti che il vento sparpagliava sul lastricato e alcune persone frettolose che, passata l’eccitazione, pensavano ai propri affari. Rand non riuscì a distinguere se portavano il rosso o il bianco.
Un Aiel, pensò di nuovo.
Con un sobbalzo si rese conto di stare fermo proprio davanti alle porte del Palazzo, dove Elaida poteva trovarlo con facilità, terminata la discussione con la Regina. Si strinse nel mantello e si avviò di buon passo. Attraversata la piazza, nelle vie della Città Interna si guardò spesso indietro, per scoprire se qualcuno lo seguiva; ma le vie piene di curve non gli consentivano di vedere molto lontano. Però ricordava fin troppo bene gli occhi di Elaida e provò l’impressione che ancora lo guardassero. Quando arrivò alle porte della Città Nuova, andava quasi di corsa.
41
Vecchi amici e nuovi pericoli
Tornato alla locanda, Rand si lasciò andare contro lo stipite della porta principale, ansimando. Aveva corso per tutta la strada, senza curarsi se qualcuno vedeva che portava il rosso né se considerava la corsa una scusa per inseguirlo. Nemmeno un Fade, si disse, l’avrebbe raggiunto.
Lamgwin sedeva su di una panca accanto alla porta e teneva in braccio un gatto pezzato. Senza smettere di accarezzarlo, si alzò a guardare se c’erano guai dalla parte da cui Rand era giunto. Non vide niente d’insolito, per cui tornò a sedersi, attento a non disturbare l’animale. «Alcuni pazzi hanno cercato di rubare qualche gatto, poco fa» disse. Si esaminò le nocche. «Valgono dei bei quattrini, al giorno d’oggi.»
I due uomini con la coccarda bianca erano ancora fermi dall’altra parte della via: uno, con un occhio nero e un livido alla mascella, sorvegliava con aria torva la locanda e lisciava con desiderio l’elsa della spada.
«Dov’è mastro Gill?» domandò Rand.
«Nella sala di lettura» rispose Lamgwin. Il gatto si mise a fare le fusa e lui sorrise. «Niente innervosisce a lungo un gatto, nemmeno il tentativo di metterlo in un sacco,»