Nel cortile di una fattoria lungo la strada, una gallina solitaria raspava il terreno. Un battente della porta del fienile dondolava al vento; l’altro pendeva di sghimbescio, perché il cardine inferiore era rotto. La casa, bizzarra per chi come Rand era abituato a quelle dei Fiumi Gemelli, aveva il tetto a punta, rivestito di grosse scandole che arrivavano quasi a terra; non vi si scorgeva movimento, né si udivano rumori. Nessun cane uscì ad abbaiare contro gli intrusi. In mezzo al cortile del granaio c’era una falce; accanto al pozzo, un mucchio di secchi capovolti.
Moiraine diede alla casa colonica un’occhiata sospettosa e mosse le redini di Aldieb, che allungò il passo.
Rand scosse la testa. Non riusciva a immaginare che lì crescesse qualcosa. Ma d’altra parte non riusciva nemmeno a immaginare le Vie, anche ora che le aveva percorse.
«Non credo che lei si aspettasse una scena del genere» disse piano Nynaeve, con un gesto che includeva le fattorie abbandonate viste fino a quel momento.
«Dove sono finiti, tutti quanti?» disse Egwene. «E perché se ne sono andati? Non da molto, sembra.»
«Come mai t’è venuta quest’idea?» domandò Mat. «Dall’aspetto di quella porta di fienile, potrebbero mancare da tutto l’inverno.» Nynaeve e Egwene lo guardarono come se fosse tardo di comprendonio.
«Le tendine alle finestre» spiegò Egwene, paziente. «Sembrano troppo leggere, per l’inverno. Nessuna donna le avrebbe appese da più d’un paio di settimane, forse meno.»
«Tendine» ridacchiò Perrin. Tornò subito serio, quando le due donne lo guardarono di storto. «Oh, sono d’accordo. Sulla falce non c’era ruggine, perciò sarà rimasta all’aperto una settimana al massimo. Avresti dovuto notarlo, Mat. Anche se ti sono sfuggite le tendine.»
Rand lanciò a Perrin un’occhiata di scancio. Lui aveva — o aveva avuto, quando andavano insieme a caccia di conigli — vista più acuta di Perrin, ma non aveva notato se la lama della falce era arrugginita.
«Non m’interessa dove sono andati» brontolò Mat. «Voglio solo trovare un posto con un fuoco. E presto.»
«Ma perché se ne sono andati?» disse Rand, sottovoce. La Macchia non era lontano, da lì. La Macchia, dove c’erano i Fade e i Trolloc, tranne quelli scesi nell’Andor a dare loro la caccia. La Macchia, dove erano diretti.
Alzò un poco la voce. «Nynaeve, forse non è necessario che tu e Egwene veniate con noi all’Occhio.» Le due donne lo guardarono come se straparlasse; ma, con la Macchia a così breve distanza, Rand doveva fare un altro tentativo. «Forse per voi è sufficiente trovarvi nelle vicinanze. Moiraine non ha detto che dovete andarci. Nemmeno tu, Loial. Potete fermarvi a Fal Dara fino al nostro ritorno. O partire per Tar Valon. Forse ci sarà una carovana di mercanti o Moiraine affitterà una carrozza. Ci incontreremo a Tar Valon, quando tutto sarà finito.»
«Ta’veren.» Il sospiro di Loial parve rombo di tuono all’orizzonte. «Tu fai turbinare le vite intorno a te, Rand al’Thor. Tu e i tuoi amici. Il tuo destino coinvolge il nostro.» L’Ogier scrollò le spalle e all’improvviso sorrise. «E poi, sarà un bel colpo, incontrare l’Uomo Verde. L’Anziano Haman parla sempre del suo incontro con lui, e anche mio padre, e gran parte degli Anziani.»
«Tanti così?» disse Perrin. «Secondo le storie, l’Uomo Verde è difficile da trovare e nessuno lo trova due volte.»
«Due volte no» convenne Loial. «Ma io non l’ho mai incontrato e voi neppure. E lui non sembra evitare gli Ogier come evitargli esseri umani. Sa molte cose, sugli alberi. Perfino le Canzoni dell’Albero.»
Rand disse: «Ma io volevo...»
Nynaeve lo interruppe. «Lei dice che Egwene e io facciamo parte del Disegno. Legate a voi tre. Se bisogna crederle, nel modo in cui è intessuto questo pezzo del Disegno c’è qualcosa che potrebbe fermare il Tenebroso. Purtroppo, io le credo: sono accadute troppe cose, per non crederle. Ma se Egwene e io ce ne andiamo, quali cambiamenti apportiamo al Disegno?»
«Cercavo soltanto di...»
Nynaeve lo interruppe di nuovo, bruscamente. «So benissimo cosa cerchi di fare.» Lo guardò, finché Rand non si mosse a disagio sulla sella; poi addolcì l’espressione. «Lo so, Rand. Non ho molta simpatia per le Aes Sedai, meno di tutte per questa qui. E mi piace ancora meno l’idea di andare nella Macchia. Ma ho la massima avversione per il Padre delle Menzogne. Sei voi ragazzi... se voi uomini fate quel che va fatto, per quanto poco vi piaccia, vuoi che io sia da meno? O Egwene?» Mosse le redini e si accigliò guardando l’Aes Sedai più avanti. «Mi domando se arriveremo presto a questa Fal Dara e se lei intende farci passare la notte all’aperto.»
Mentre Nynaeve aumentava l’andatura per avvicinarsi a Moiraine, Mat disse: «Ci ha chiamati uomini. Mi sembra ieri, quando diceva che dovevamo stare attaccati alle sottane di nostra madre.»
«Tu dovresti farlo ancora adesso» disse Egwene, ma senza molta convinzione, secondo Rand. Spostò Bela accanto a Red e abbassò la voce in modo che nessuno udisse, anche se Mat cercò ugualmente di origliare. «Con Aram ho ballato soltanto, Rand» mormorò, senza guardarlo. «Non puoi prendertela con me solo perché ho ballato con uno che non vedrò mai più.»
«No, certo» rispose lui. Che cosa l’aveva spinta a tornare adesso sull’argomento? All’improvviso ricordò una frase di Min, detta quando erano a Baerlon, sembrava cent’anni fa: «Lei non è per te e tu non sei per lei; almeno, non nel modo che entrambi vorreste».
La città di Fal Dara sorgeva su delle alture, ma era assai meno vasta di Caemlyn; però era circondata da mura più alte. Per un miglio intero, tutt’intorno alle mura, il terreno era disboscato e anche l’erba era rasa. Niente poteva avvicinarsi senza essere scorto dalle numerose torri sormontate da una palizzata di legno. Mentre le mura di Caemlyn avevano anche un’intrinseca bellezza, i costruttori di Fal Dara avevano badato solo all’efficienza. La pietra grigia era implacabile, proclamava d’esistere a un unico scopo: impedire l’accesso. In cima alle palizzate, bandiere garrivano al vento; sembrava che il Falco Nero in picchiata, emblema dello Shienar, volasse lungo le mura.
Lan gettò indietro il cappuccio del mantello e, nonostante il freddo, indicò agli altri di imitarlo. Moiraine aveva già abbassato il proprio. «È la legge dello Shienar» spiegò il Custode. «Di tutte le Marche di Confine. Nessuno può nascondere il viso, dentro le mura d’una città.»
«Sono tutti così belli?» rise Mat.
«Un Mezzo Uomo non può nascondersi, se mostra la faccia» rispose il Custode, in tono piatto.
Rand perdette il sorriso. Mat si affrettò a togliersi il cappuccio.
Le porte, alti battenti rivestiti di ferro, erano spalancate; ma dodici uomini in armatura erano di guardia. Indossavano la sopravveste gialla col Falco Nero. Appesa alla schiena portavano la spada, la cui elsa sporgeva sopra la spalla; alla cintura avevano un’altra spada a lama larga, o una mazza, o un’ascia. I cavalli, legati nelle vicinanze, erano resi grotteschi da bardature metalliche che coprivano petto, collo e testa. Le guardie non fecero alcun gesto per fermare Lan e Moiraine e gli altri. Anzi, agitarono il braccio in segno di saluto e lanciarono allegri richiami.
«Dai Shan!» gridò un soldato al loro passaggio, agitando sopra la testa il pugno guantato di maglia metallica. «Dai Shan!»
Altri gridarono: «Gloria ai Costruttori!» e: «Kiserai ti Wansho!» Loial parve sorpreso, poi sorrise e salutò le guardie.
Un uomo, per quanto ingombrato dall’armatura, corse per un breve tratto a fianco del cavallo di Lan. «La Gru Dorata volerà ancora, Dai Shan?»
«Pace, Ragan» fu la risposta del Custode, e l’uomo rimase indietro. Lan restituì alle guardie il saluto, ma divenne più torvo in viso.