Mentre percorrevano le vie lastricate, piene di gente e di carri, Rand corrugò la fronte, preoccupato. Fal Dara scoppiava di gente, ma le persone non erano né l’ansiosa folla di Caemlyn che si godeva anche fra le liti la magnificenza della città, né la folla agitata di Baerlon. Gomito a gomito, questi guardavano passare il gruppetto a cavallo, con occhi privi d’espressione. Carretti e carri ingombravano ogni vicolo e metà delle vie, carichi alla rinfusa di mobilio e di cassapanche intagliate, tanto piene da lasciar uscire lembi di vestiti. In cima sedevano i bambini: gli adulti li tenevano d’occhio e non li lasciavano allontanare nemmeno per giocare. I bambini erano più taciturni degli adulti e avevano occhi più tormentati. Gli spazi fra i carri erano pieni di bestiame irsuto e di maiali a macchie nere, chiusi in recinti di fortuna. Oche e polli, nelle gabbie, compensavano il silenzio delle persone. Adesso era chiaro dov’erano finiti i contadini.
Lan si diresse alla fortezza posta al centro della città, una massiccia costruzione di pietra, sulla collina più alta. Un fossato asciutto, profondo e largo, col fondo tappezzato di aste di ferro acuminate e taglienti, alte come una persona, circondava le mura della fortezza. Il luogo dell’estrema difesa, se la città fosse caduta. Da una delle torri che fiancheggiavano le porte, un uomo in armatura salutò: «Benvenuto, Dai Shan.» Un altro, dall’interno della fortezza, gridò: «La Gru Dorata! La Gru Dorata!»
Gli zoccoli dei cavalli tambureggiarono sull’assito del ponte levatoio, mentre il gruppetto attraversava il fossato e passava sotto le punte acuminate della saracinesca. Varcata la porta, Lan smontò e condusse a mano Mandarb, indicando agli altri di imitarlo.
La prima corte era un ampio quadrato pavimentato con grandi lastre di pietra e circondato da torri e da bastioni robusti come quelli all’esterno. Per quanto vasta, la corte sembrava affollata come le vie e piena di confusione, anche se non mancava un certo ordine. Dovunque c’erano uomini e cavalli in armatura. In cinque o sei fucine poste intorno alla corte i martelli rimbombavano e grossi mantici, azionati ciascuno da due uomini in grembiule di cuoio, facevano ruggire il fuoco delle forge. Un fiume continuo di garzoni portava di corsa ai maniscalchi i ferri di cavallo appena forgiati. I fabbricanti di frecce erano impegnati nel loro mestiere: appena un cesto era pieno, veniva portato via e sostituito con uno vuoto.
Mozzi di stalla in livrea comparvero di corsa, ansiosi e sorridenti, in vesti nero e oro. Rand si affrettò a togliere da dietro la sella le sue poche cose e affidò il baio a uno stalliere, mentre un uomo in armatura di piastre e di maglia s’inchinò formalmente. Sopra l’armatura portava un mantello giallo vivo, orlato di rosso, con il Falco Nero ricamato all’altezza del petto, e una sopravveste gialla con un gufo grigio. Non portava elmo ed era davvero a testa nuda, perché si era rasato i capelli, a parte un ciuffo legato con una cordicella di cuoio. «Manchi da moltissimo tempo, Moiraine Sedai» disse. «E mi fa piacere rivedere anche te, Dai Shan.» Rivolse un inchino anche a Loial e mormorò: «Gloria ai Costruttori. Kiserai ti Wansho.»
«Non ne sono degno» rispose formalmente Loial «e il lavoro è insignificante. Tsingu ma choba.»
«Con la tua presenza, Costruttore, ci onori» disse l’uomo. «Kiserai ti Wansho.» Si rivolse di nuovo a Lan. «Lord Agelmar è stato informato, Dai Shan, appena t’hanno visto giungere. Ti aspetta. Da questa parte, prego.»
Lo seguirono dentro la fortezza, lungo corridoi di pietra pieni di spifferi e adorni di arazzi dai colori vivaci e da grandi tendaggi di seta con scene di caccia e di battaglia. L’uomo continuò: «Sono lieto che il richiamo ti sia giunto, Dai Shan. Innalzerai ancora la bandiera della Gru Dorata?» A parte gli arazzi, i corridoi erano spogli; e anche i tendaggi mostravano il minimo di figure eseguite con la massima parsimonia di tratti, appena sufficiente a dare senso al disegno.
«La situazione è davvero brutta come sembra, Ingtar?» domandò piano Lan.
Ingtar scosse la testa, facendo oscillare il ciuffo di capelli, ma esitò, prima di sorridere. «La situazione non è mai brutta come sembra, Dai Shan. Un po’ peggiore del solito, quest’anno, ecco tutto. Le incursioni si sono susseguite per tutto l’inverno, anche nei periodi di freddo più intenso. Ma qui non sono state peggiori che altrove, lungo il Confine. Vengono sempre di notte, ma non ci si aspetta altro, in primavera, se questa si può chiamare primavera. Esploratori tornano dalla Macchia... quei pochi che tornano... con notizie di accampamenti Trolloc. Sempre notizie di nuovi accampamenti. Ma li affronteremo al passo di Tarwin, Dai Shan, e li ricacceremo come abbiamo sempre fatto.»
«Naturalmente» disse Lan, ma non parve molto convinto.
Per un attimo Ingtar perdette il sorriso. Senza aggiungere altro, li introdusse nello studio di lord Agelmar; si scusò e andò via.
Lo studio era una stanza adatta alla difesa come il resto della fortezza, con feritoie nella parete verso l’esterno e una pesante sbarra per bloccare la robusta porta, munita anch’essa di feritoie per le frecce e rinforzata con strisce di ferro. C’era un solo arazzo, che copriva un’intera parete e mostrava uomini in armatura simili a quelli di Fal Dara, impegnati in uno scontro con Myrddraal e Trolloc, in un passo di montagna.
Un tavolo, una cassapanca e alcune sedie completavano il mobilio, oltre a due rastrelliere a parete, che colpirono l’occhio di Rand quanto l’arazzo. Una conteneva uno spadone dal tipo che s’impugna a due mani, più lungo d’una persona, una spada normale e in basso una mazza chiodata e un lungo scudo romboidale con un emblema raffigurante tre volpi. All’altra era appesa un’armatura completa e disposta come la sì sarebbe indossata. Elmo crestato con visiera a sbarre, sopra un camaglio a maglia doppia. Usbergo di maglia, con lo spacco per consentire di cavalcare, e veste di cuoio reso lucido dall’uso. Pettorale, guanti di ferro, protezioni per gomiti e ginocchia, e mezza piastra per spalle e braccia e gambe. Anche lì, nel cuore della fortezza, armi e armatura sembravano pronte a essere usate da un momento all’altro. Come il mobilio, erano semplici e austeramente decorate in oro.
All’ingresso del gruppetto, Agelmar si alzò dal tavolo ingombro di mappe, fogli, penne e calamai, e venne incontro agli ospiti. Alla prima occhiata pareva un tipo troppo pacifico per quella stanza, con la giubba di velluto azzurro, l’alto colletto bianco, morbidi stivali di pelle; ma una seconda occhiata indusse Rand a cambiare idea. Come gli altri soldati, anche Agelmar aveva la testa rasata, a parte il ciuffo di capelli bianchissimi sulla sommità del cranio. Il viso era duro come quello di Lan, segnato solo da rughe intorno agli occhi, e questi occhi sembravano pietra marrone, anche se ora sorridevano.
«Siamo in pace, ma è bello vederti qui, Dai Shan» disse il signore di Fal Dara. «E forse di più, vedere anche te, Moiraine Sedai. La tua presenza mi scalda il cuore.»
«Ninte calichniye no domashita, Agelmar Dai Shan» rispose Moiraine, formalmente, ma con un tono che rivelava vecchia amicizia. «Il tuo benvenuto mi rallegra, lord Agelmar.»
«Kodome calichnye ga ni Aes Sedai hei. Qui le Aes Sedai sono sempre benvenute.» Agelmar si rivolse a Loial. «Sei lontano dallo stedding, Ogier, ma la tua presenza rende onore a Fal Dara. Sia sempre gloria ai Costruttori. Kiserai ti Wansho hei.»
«Non ne sono degno» rispose Loial, con un inchino. «Sei tu a rendermi onore.» Lanciò un’occhiata all’austerità delle pareti di pietra e parve lottare con se stesso. Rand fu lieto che l’Ogier riuscisse a trattenere ulteriori commenti.
Servitori in livrea nera e oro comparvero senza rumore. Alcuni portavano su vassoi d’argento panni caldi e umidi per togliere la polvere dal viso e dalle mani; altri, vino caldo speziato e ciotole d’argento con prugne e albicocche secche. Lord Agelmar ordinò di preparare per gli ospiti stanze e bagni.