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Perrin rimase in fondo al gruppetto, discosto: aveva l’aria di non voler udire altro, dall’Uomo Verde. Rand capiva benissimo la reazione dell’amico. Figlio del Drago. Con cautela osservò l’Uomo Verde fare strada, con Moiraine e Lan, circondato da farfalle che formavano una nuvola di chiazze gialle e rosse. “Cosa avrà voluto dire, con quelle parole?" si domandò Rand. “No, non voglio saperlo."

Comunque, si sentiva il passo più leggero, le gambe più scattanti. Il disagio gli restava ancora nelle viscere, gli rodeva lo stomaco; ma la paura si era rarefatta, pareva quasi svanita. Non poteva aspettarsi di più, a meno di mezzo miglio dalla Macchia, anche se le sue creature non potevano entrare in quel luogo. I mille puntini luminosi che gli avevano forato le ossa si erano spenti nel momento stesso in cui era entrato nel dominio dell’Uomo Verde. Era stato lui a spegnerli, si disse; l’Uomo Verde e quel luogo.

Anche Egwene e Nynaeve percepivano la pace e la consolazione, la calma della bellezza. Mostravano un sorriso sereno e accarezzavano i fiori, si soffermavano ad annusarli, inspiravano a fondo il profumo.

L’Uomo Verde se ne accorse. «I fiori sono fatti per servire da ornamento» disse. «Piante ed esseri umani, è la stessa cosa. Nessuno ci fa caso, se non se ne colgono troppi.» E si mise a raccogliere un fiore qui, uno là, mai più di due dalla stessa pianta. In breve Nynaeve e Egwene avevano sui capelli una corona di rose selvatiche, campanule gialle, bianche stelle del mattino. La treccia della Sapiente sembrava un giardino rosa e bianco, lungo fino alla cintola. Anche Moiraine ricevette una candida ghirlanda di stelle del mattino, intrecciata con tanta abilità che i fiori sembravano crescere ancora.

E Rand non era sicuro che non crescessero davvero. Mentre camminava e parlava sottovoce con Moiraine, l’Uomo Verde si prendeva cura della foresta giardino, quasi senza pensarci. Gli occhi di nocciola notarono un rametto storto di una rosa rampicante, che il ramo fiorito d’un melo costringeva a una goffa piegatura; e lui, sempre parlando, si soffermò a passarvi sopra la mano. Rand non fu sicuro se gli occhi gli avessero giocato uno scherzo, oppure le spine si fossero davvero scostate per non pungere quelle dita verdi. Quando la figura torreggiante dell’Uomo Verde riprese il cammino, il ramoscello era dritto e schiudeva petali rossi tra i fiori bianchi del melo. L’Uomo Verde si chinò a mettere la mano a coppa intorno a un minuscolo seme che giaceva su un letto di ciottoli; quando si raddrizzò, un piccolo germoglio aveva messo radici tra le pietre, fino a raggiungere il buon terriccio.

«Ogni cosa deve crescere dove si trova, secondo il Disegno» spiegò l’Uomo Verde, senza girarsi, quasi in tono di scusa. «E affrontare il giro della Ruota. Ma al Creatore non importerà, se intervengo per un piccolo aiuto.»

Rand guidò Red attorno al germoglio, badando che gli zoccoli del baio non lo calpestassero: non gli pareva giusto disfare l’opera dell’Uomo Verde solo per evitare un passo in più. Egwene gli sorrise, uno dei suoi sorrisi segreti, e gli toccò il braccio. Era così graziosa, con i capelli sciolti pieni di fiori, che Rand ricambiò il sorriso finché lei non arrossì e abbassò lo sguardo.

L’Uomo Verde li portò nel cuore della foresta primaverile, davanti a un’arcata che si apriva nelle pendici d’una collina. Era un semplice e alto arco di pietra bianca; sulla chiave di volta aveva un cerchio diviso in due da una linea sinuosa, metà scabro, metà liscio. L’antico simbolo Aes Sedai. L’apertura era in ombra.

Per un momento tutti si limitarono a guardare in silenzio. Poi Moiraine si tolse dai capelli la ghirlanda e l’appese ai rami d’un cespuglio di biancospino che cresceva accanto all’arcata. Fu come se il suo gesto autorizzasse a parlare di nuovo.

«Non è qui?» domandò Nynaeve. «Quello per cui siamo venuti.»

«Mi piacerebbe davvero vedere l’Albero della Vita» disse Mat, senza staccare lo sguardo dal simbolo in alto. «Possiamo aspettare un poco, vero?»

L’Uomo Verde diede a Rand un’occhiata bizzarra, poi scosse la testa. «L’Avendesora non è qui. Da duemila anni non ho più riposato fra i suoi ruvidi rami.»

«L’Albero della Vita non è il motivo della nostra venuta» disse con fermezza Moiraine. Indicò l’arco. «Il nostro motivo è lì.»

«Non entrerò con voi» disse l’Uomo Verde. Le farfalle svolazzarono come se condividessero una certa agitazione. «Molto, moltissimo tempo fa, sono stato posto di guardia all’Occhio, ma provo disagio ad avvicinarmi troppo. Mi sento come se mi disfacessero: la mia fine in qualche modo è legata a esso. Ricordo quando lo fabbricarono. In parte.» Parve fissare il vuoto, perduto nei ricordi, e si toccò la cicatrice. «Fu il primo giorno della Frattura del Mondo, quando la gioia per la vittoria sul Tenebroso divenne amara, alla scoperta che ogni cosa poteva andare in frantumi sotto il peso dell’Ombra. Cento di loro lo fabbricarono, uomini e donne insieme. Le maggiori opere Aes Sedai erano sempre fatte in questo modo, attingendo al Saidin e al Saidar, come si attinge alla Vera Fonte. Morirono tutti, per renderlo puro, mentre intorno a loro il mondo era lacerato. Sapendo di morire, m’incaricarono di sorvegliarlo in previsione dei futuri bisogni. Non ero stato fatto per questo, ma tutto andava a pezzi, e loro erano soli e non avevano altro. Non ero stato fatto per questo, ma ho mantenuto la parola.» Guardò Moiraine e annuì. «Ho mantenuto la parola, fino al momento del bisogno. E ora è la fine.»

«Hai mantenuto la parola meglio della maggior parte di noi che ti diede l’incarico» disse l’Aes Sedai. «Forse non sarà così brutto come pensi.»

La testa segnata dalla cicatrice si mosse lentamente da parte a parte. «So distinguere la fine, quando la vedo, Aes Sedai. Troverò un altro luogo dove far crescere le cose.» Con sguardo rattristato accarezzò la foresta verdeggiante. «Un altro luogo, forse. Quando uscirete, vi rivedrò, se ci sarà tempo.» Con queste parole si allontanò, fra un turbine di farfalle, e divenne tutt’uno con la foresta, più di quanto non potesse fare Lan grazie al mantello.

«Cosa significa, se ci sarà tempo?» domandò Mat.

«Andiamo» disse Moiraine. Varcò l’arcata. Lan la seguì da presso.

Rand non sapeva che cosa aspettarsi, seguendoli. Si sentì rizzare i capelli. Ma si trovò in un corridoio le cui pareti lucide si univano ad arco. C’era spazio più che sufficiente per Loial e sarebbe bastato anche per l’Uomo Verde. Il pavimento era liscio e lucido come ardesia passata a cera, ma dava appoggio sicuro ai piedi. Pareti bianche e prive di commessure scintillavano d’innumerevoli puntini di colori indicibili ed emanavano una luce fioca e riposante, anche quando una curva nascose l’ingresso. Rand era sicuro che quella luce non fosse naturale, ma percepì anche che era benigna. Eppure, lui aveva ancora la pelle d’oca. Procedettero in discesa, per parecchio tempo.

«Là» disse infine Moiraine, segnando a dito. «Più avanti.»

Il corridoio si apriva in un vasto ambiente a cupola, la cui nuda e scabra roccia del soffitto era punteggiata di agglomerati cristallini in formazione. In basso, un laghetto occupava l’intera caverna, a parte la passerella che girava intorno, larga forse cinque braccia. Di forma ovale come un occhio, il laghetto era rivestito lungo il bordo da urla bassa e piatta guarnizione di cristalli che brillavano di luce più opaca eppure più intensa di quelli in alto. La superficie era liscia come vetro e chiara come l’acqua della Fonte di Vino. Rand provò l’impressione di poterla sondare con lo sguardo per sempre, senza mai scorgere il fondo.

«L’Occhio del Mondo» disse piano Moiraine, accanto a lui.

Guardandosi intorno pieno di stupore, Rand capì che i lunghi anni da quando era stato fatto — tremila — avevano avuto il loro peso. Nella cupola, non tutti i cristalli brillavano con la stessa intensità. Alcuni erano più vividi, altri più fiochi; alcuni tremolavano, altri erano solo grumi sfaccettati che riflettevano la luce. Se tutti avessero brillato, la cupola sarebbe stata luminosa come il cielo a mezzogiorno; ma ora sembrava solo tardo pomeriggio. La polvere ricopriva il vialetto, mista a frammenti di roccia e perfino di cristallo. Lunghi anni d’attesa, mentre la Ruota girava e macinava.