Rand li fissò. Era pieno di calore, il calore ardente del sole. Scorgeva chiaramente i Draghkar, occhi privi d’anima in livide facce umane su corpi alati che non avevano nulla d’umano. Calore terribile. Calore scoppiettante.
Dal cielo sereno scaturì il fulmine: ogni saetta, nitida e ardente, colpì una forma alata. Strida di caccia divennero urla di morte; sagome carbonizzate precipitarono, lasciando pulito il cielo.
Il calore. Il terribile calore della Luce.
Rand cadde sulle ginocchia; credette di udire le sue stesse lacrime sfrigolargli sulle guance. «No!» Afferrò ciuffi d’ispida erba, per avere una certa presa sulla realtà: l’erba prese fuoco. «Per favore, nooooooo!»
Il vento si levò, ululò, ruggì con la voce di Rand giù per il passo, frustò le fiamme in una muraglia di fuoco che si avventò contro l’orda di Trolloc più rapidamente d’un cavallo al galoppo. Le fiamme divorarono i Trolloc e le montagne tremarono per le urla di quelle creature deformi, urla intense quasi quanto il vento e la voce di Rand.
«Deve finire!»
Rand prese a pugni il terreno e la terra rintoccò come gong. Graffiò con la mano il suolo pietroso e la terra tremò. Increspature corsero nel terreno in onde sempre più alte, di roccia e di terriccio, torreggiarono sopra Trolloc e Fade, si abbatterono su di loro mentre la montagna si apriva sotto i loro piedi. Una massa ribollente di carne e di pietrisco si riversò contro l’orda di Trolloc. I superstiti erano pur sempre un esercito possente, ma come numero erano solo il doppio degli uomini e per di più in preda al terrore e alla confusione.
Il vento morì. Le urla morirono. La terra rimase immobile. Polvere e fumo turbinarono nel passo e circondarono Rand.
«La Luce ti fulmini, Ba’alzamon! Deve finire!»
NON QUI.
Non era pensiero di Rand, questo che gli faceva vibrare il cranio.
NON VI PRENDERÒ PARTE. SOLO IL PRESCELTO PUÒ FARE QUEL CHE VA FATTO, SE VORRÀ.
«Dove?» Rand non l’avrebbe voluto chiedere, ma non poté trattenersi. «Dove?»
La foschia che lo circondava si suddivise e lasciò una cupola d’aria chiara e pulita, alta dieci braccia, tra pareti turbinanti di fumo e di polvere. Rand vide davanti a sé una serie di gradini, ciascuno isolato e privo d’appoggio, che si estendeva nel buio che oscurava il sole.
NON QUI.
Nella nebbiolina, come dal punto più lontano della terra, provenne un grido: «La Luce lo vuole!» Il terreno rombò sotto gli zoccoli, mentre l’esercito degli uomini si lanciava nell’ultima carica.
Rand provò un attimo di panico. I cavalieri alla carica non potevano vederlo, nel polverone: venivano dritti su di lui e l’avrebbero travolto. Spinto da una collera sorda, Rand salì i primi gradini. Bisognava farla finita!
Fu circondato dalle tenebre, il buio totale del nulla assoluto. Gli scalini erano sempre lì, sospesi nel buio, sotto i suoi piedi e più avanti. Quando si guardò indietro, Rand scoprì che quelli in basso erano svaniti nel nulla. Ma c’era ancora il cordone ombelicale, il filo lucente che si estendeva dietro di lui, rimpiccioliva e scompariva in lontananza. Era meno grosso di prima, ma pulsava ancora, lo riempiva di forza, di vita, di Luce. Rand continuò a salire.
La salita parve interminabile. Secoli e minuti. Il tempo era fermo, nel nulla. Il tempo accelerò. Rand salì, finché all’improvviso non si trovò di fronte a una porta, ruvida e scheggiata e vecchia: una porta che ricordava fin troppo bene. La toccò e la porta scoppiò in mille pezzi. Mentre le schegge ancora ricadevano, varcò il vano.
Anche la stanza era come la ricordava, con il folle cielo striato al di là della balconata, le pareti fuse, il tavolo lucido, l’orrido caminetto con le fiamme ruggenti e prive di calore. Alcune delle facce che formavano quel caminetto, contorte nel tormento, urlanti nel silenzio, gli stuzzicavano la memoria come se lui le conoscesse. Quando guardò lo specchio alla parete, vide la propria immagine, nitida e chiara.
«Sì» disse Ba’alzamon: la voce provenne dalla zona davanti al camino. «Ero sicuro che la bramosia avrebbe sopraffatto Aginor. Ma alla fine non fa differenza. Una lunga cerca, ormai terminata. Tu sei qui e io ti conosco.»
Il vuoto andò alla deriva in mezzo alla Luce e in mezzo al vuoto si librò Rand. Allungò la mano per toccare il suolo patrio e sentì roccia dura, resistente e secca, roccia spietata dove solo i forti potevano sopravvivere, solo quelli duri come le montagne. «Sono stufo di scappare» disse, stupito per la calma del proprio tono. «Stufo di vederti minacciare i miei amici. Non scapperò più.» Anche Ba’alzamon aveva un cordone ombelicale: nero, molto più grosso del suo, così grande che avrebbe reso minuscolo il corpo umano e che invece era reso minuscolo da Ba’alzamon. Ogni pulsazione di quella vena nera consumava luce.
«Credi che faccia differenza, se scappi o ti fermi?» Le fiamme nella bocca di Ba’alzamon risero. Le facce nel focolare piansero all’ilarità del loro padrone. «Sei fuggito da me in molte occasioni, ma ogni volta ti raggiungo e ti costringo a ingoiare il tuo orgoglio condito di lacrime e di piagnistei. In molte occasioni ti sei fermato a combattere e poi, sconfitto, hai strisciato implorando pietà. Hai questa scelta, verme, e solo questa: mettiti in ginocchio ai miei piedi, servimi bene e ti darò potere sopra i troni; oppure diventa il burattino di Tar Valon e urla mentre vieni sgretolato nella polvere del tempo.»
Rand cambiò posizione, con un’occhiata al di là della porta, quasi a cercare una via di fuga. Che il Tenebroso lo pensasse pure. Al di là della porta c’era sempre il nero del nulla, diviso in due dal cavo lucente che partiva dal suo corpo. E c’era anche il cordone ombelicale di Ba’alzamon, così nero da risaltare nella tenebra come sulla neve. I due cordoni pulsavano fuori fase, uno al contrario dell’altro, e la luce resisteva a stento alle ondate di tenebra.
«Ci sono altre scelte» disse Rand. «La Ruota, non tu, tesse il Disegno. Sono sfuggito a tutte le trappole che hai predisposto per me. Sono sfuggito ai Fade e ai Trolloc e ai tuoi Amici delle Tenebre. Ti ho rintracciato qui e ho distrutto il tuo esercito. Non sei tu, a tessere il Disegno.»
Gli occhi di Ba’alzamon ruggirono di fiamma, come due fornaci. Le labbra non si mossero, ma Rand credette di udire un’imprecazione contro Aginor. Poi i fuochi morirono e quell’ordinaria faccia umana gli sorrise in un modo da gelarlo anche nel calore della Luce.
«Posso radunare altri eserciti, sciocco. Verranno ancora altri eserciti che nemmeno ti sogni. E saresti stato tu, a rintracciarmi? Tu, limaccia nascosta sotto le pietre, hai rintracciato me? Ho iniziato a stabilire il tuo cammino dal giorno in cui nascesti, un cammino che ti avrebbe condotto alla tomba o qui. Alle Aiel fu concesso di fuggire, e a una di loro di vivere quanto bastava a pronunciare le parole che sarebbero echeggiate negli anni. Jain Farstrider, un eroe...» storpiò la parola in un riso di scherno «che dipinsi come un pazzo e inviai fra gli Ogier facendogli credere d’essersi liberato di me. L’Ajah Nera, le cui donne si contorcono sul ventre come vermi e girano il mondo a scovarti. Io tiro le fila e l’Amyrlin Seat danza, ma pensa d’essere lei a controllare gli eventi.»
Il vuoto tremolò. Rand si affrettò a rinsaldarlo. “Lui sa tutto” pensò. “Potrebbe averlo fatto. Potrebbe essere davvero come dice." La Luce scaldò il vuoto. Il dubbio alzò la voce e fu zittito, finché non rimase solo il seme. Rand si dibatté, senza sapere se voleva seppellire il seme o farlo crescere. Il vuoto si consolidò, più piccolo di prima, e lui galleggiò nella calma.