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Stese addosso a Tam l’ultima coperta e sistemò sulla barella la ghirba e gli altri panni puliti. Con un sospiro si chinò fra le stanghe e si passò sulle spalle la striscia di coperta. Afferrò le stanghe e si raddrizzò in modo che la maggior parte del peso gli gravasse sulle spalle. Cercando di procedere senza scossoni, si avviò in direzione di Emond’s Field.

Aveva già deciso di prendere la Strada della Cava e di seguirla fino al villaggio. Il pericolo sarebbe stato maggiore, certo; ma se lui si fosse smarrito nei boschi, Tam non avrebbe ricevuto nessun aiuto.

Quasi senza accorgersene incrociò la Strada della Cava. Si girò in fretta e riportò sotto gli alberi la barella; si fermò a prendere fiato e a calmare il battito del cuore. Sempre ansimando, puntò a levante, in direzione di Emond’s Field.

Procedere al buio fra gli alberi era certo più faticoso, ma seguire apertamente la strada sarebbe stata follia. Doveva raggiungere il villaggio senza incontrare i Trolloc. Di sicuro quelle creature avrebbero dato loro la caccia e prima o poi avrebbero capito che si era diretto al villaggio; la Strada della Cava era il percorso più probabile. E a dire il vero Rand la costeggiava più di quanto non gli piacesse. La notte e l’ombra degli alberi erano una protezione ben misera dallo sguardo di chi percorresse la strada.

Il chiaro di luna filtrava fra i rami spogli ma riusciva solo a dargli una falsa impressione del terreno. A ogni passo, c’erano radici che lo facevano inciampare, vecchi arbusti che gli frustavano le gambe, improvvise depressioni o sollevamenti che lo facevano traballare quando posava il piede nel vuoto o urtava una montagnola. I borbottii di Tam diventavano gemiti acuti, ogni volta che una stanga rimbalzava sopra una radice sporgente o un sasso.

L’incertezza spingeva Rand a scrutare nel buio fino a farsi bruciare gli occhi, a tendere penosamente l’orecchio. Ogni sfregamento di ramo contro ramo, ogni fruscio d’aghi di pino, lo spingeva a fermarsi e a trattenere il fiato, col timore di non udire in tempo rumori di pericolo e con la paura di udirli. Solo dopo essersi assicurato che si trattava solo del vento, si fidava a riprendere il cammino.

A poco a poco la stanchezza gli appesantì le braccia e le gambe, accresciuta dal vento notturno che si prendeva gioco del mantello e della giubba. Si era alzato prima dell’alba per iniziare i lavori domestici e, anche contando il viaggio a Emond’s Field, aveva fatto quasi un giorno intero di lavoro. In una notte normale, a quest’ora si sarebbe riposato davanti al camino, leggendo un libro della piccola biblioteca di Tam, prima di andare a letto. Il gelo acuto gli penetrava fin nelle ossa e lo stomaco gli ricordava che non aveva mangiato più niente, dopo i dolcetti al miele di comare al’Vere.

Si rimproverò di essere andato via senza prendere un po’ di viveri: qualche minuto per cercare un paio di pagnotte e un pezzo di formaggio non avrebbe fatto differenza. Di sicuro comare al’Vere gli avrebbe dato un pasto caldo, una volta alla locanda. Un piatto fumante di stufato d’agnello, probabilmente. E un pezzo del pane che aveva in forno quel pomeriggio. E una bella tazza di tè caldo.

«Hanno scavalcato il Muro del Drago come un fiume in piena» disse Tam all’improvviso, con voce forte e rabbiosa. «Hanno inondato di sangue la regione. Quanti sono morti per il peccato di Laman?»

Rand quasi cadde per la sorpresa. Stanco morto, abbassò la barella e si tolse l’imbracatura. La striscia di coperta gli lasciò sulle spalle un solco bruciante. Mosse le braccia per sciogliere i muscoli contratti e si inginocchiò accanto a Tam. Cercò a tentoni la ghirba e intanto scrutò la strada nelle due direzioni, ma la fioca luce non permetteva di vedere a più di venti passi. Niente si muoveva, tranne le ombre.

«Non c’è nessuna invasione di Trolloc, padre. Presto saremo al sicuro a Emond’s Field. Bevi un sorso d’acqua.»

Tam scostò la ghirba, con un gesto deciso, come se avesse riacquistato le forze. Afferrò Rand per il bavero e lo tirò a sé, tanto che il ragazzo sentì il calore della febbre sulla guancia del padre. «Li hanno chiamati selvaggi» disse Tam, in tono pressante. «Gli sciocchi hanno detto che li si poteva spazzare come immondizia. Quante battaglie furono perdute, quante città furono incendiate, prima che si affrontasse la realtà? Prima che le nazioni si alleassero contro di loro?» Lasciò la presa e il suo tono si riempì di tristezza. «A Marath il terreno era coperto di morti, si udiva solo lo stridio dei corvi e il ronzio delle mosche. Le torri scoperchiate di Cairhien bruciavano nella notte come torce. Per tutta la strada fino alle Mura Splendenti, appiccavano fuoco a trucidavano, prima d’essere ricacciati. Per tutta la strada fino...»

Rand premette la mano sulla bocca del padre. Il rumore si ripeté: da una direzione imprecisabile proveniva un tonfo ritmico che si attenuava e aumentava col mutare del vento. Rand girò lentamente la testa per stabilirne la provenienza. Con la coda dell’occhio colse un fuggevole movimento e all’istante si acquattò sopra Tam. Sorpreso, si accorse di stringere in pugno la spada, ma si concentrò sulla Strada della Cava, come se quella fosse l’unica cosa reale del mondo.

A levante, le mobili ombre a poco a poco divennero un cavaliere seguito da sagome alte e massicce che trottavano sulla strada per tenere il passo del cavallo. La fioca luce della luna traeva riflessi dalla punta delle lance e dalla lama delle asce. Nemmeno per un istante Rand pensò che fossero paesani venuti in aiuto. Sapeva chi erano, lo sentiva come sabbia che gli graffiasse le ossa, anche prima che le sagome si avvicinassero quanto bastava perché il chiaro di luna rivelasse il mantello con cappuccio del cavaliere, un mantello che il vento non agitava. Tutte le figure sembravano nere, nella notte, e gli zoccoli del cavallo provocavano lo stesso rumore di qualsiasi animale, ma Rand riconobbe quel destriero.

Dietro il cavaliere nero venivano figure d’incubo con corna e musi e becchi, Trolloc in doppia fila, a passo di marcia, stivali e zoccoli che colpivano il terreno nello stesso istante, come se ubbidissero a una sola volontà. Rand ne contò venti e si domandò quale sorta d’uomo osasse girare le spalle a tanti Trolloc.

La colonna scomparve verso ponente e il tonfo di passi si affievolì; ma Rand rimase dov’era, senza muovere muscolo se non per respirare. Qualcosa gli diceva che, prima di muoversi, doveva essere assolutamente sicuro che se ne fossero andati. Alla fine, inspirò a fondo e cominciò ad alzarsi.

Questa volta il cavallo non produsse alcun rumore. Nel silenzio spettrale, il cavaliere nero tornò, col destriero che si fermava ogni pochi passi nel ripercorrere lentamente la strada. Il vento crebbe di forza, gemendo fra gli alberi; il mantello del cavaliere era sempre immobile come la morte. Ogni volta che il cavallo si fermava, la testa incappucciata del cavaliere si girava da una parte e dall’altra, come se l’uomo scrutasse la foresta. Proprio di fronte a Rand, il cavallo si fermò di nuovo e l’apertura in ombra del cappuccio si girò verso il punto dove il ragazzo stava acquattato sopra il padre.

Rand serrò la mano intorno all’elsa. Sentì la forza dello sguardo, proprio come quel mattino, e rabbrividì di nuovo per l’odio che ne proveniva. L’uomo incappucciato odiava tutti e tutto, qualsiasi essere vivente. Nonostante il vento gelido, sul viso di Rand si formarono goccioline di sudore.

Poi il cavallo proseguì, alcuni passi silenziosi e un arresto, finché Rand non scorse solo una sagoma incerta nella notte. Non la perdette di vista nemmeno per un istante. Non voleva rischiare di accorgersi di nuovo del cavaliere nero solo quando il cavallo silenzioso era addosso a loro.