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All’improvviso l’ombra tornò di corsa e passò davanti a Rand, al galoppo, senza rumore. Il cavaliere guardò solo davanti a sé, mentre correva verso ponente, in direzione delle Montagne di Nebbia. E della fattoria.

Rand si accasciò, ansimando, e con la manica si asciugò il sudore dal viso. Non gli interessava più sapere il motivo della venuta dei Trolloc. Andava bene anche se non lo scopriva, purché tutto finisse.

Si scosse e controllò le condizioni del padre. Tam mormorava ancora, ma così piano che Rand non distingueva le parole. Il ragazzo cercò di dargli da bere, ma l’acqua si versò sul mento del padre. Tam tossì, soffocato dalle poche gocce inghiottite, poi riprese a borbottare come se non fosse stato interrotto.

Rand bagnò di nuovo il panno sulla fronte del padre e riprese le stanghe.

Si rimise in cammino come se si fosse appena destato da una buona notte di sonno, ma le nuove energie non durarono a lungo. All’inizio la paura mascherò la stanchezza, ma questa maschera si dissipò in fretta e la paura rimase. Ben presto riprese a barcollare. Cercò di non pensare ai muscoli doloranti e alla fame. Si concentrò per mettere un piede davanti all’altro senza incespicare.

Immaginò Emond’s Field, scuri spalancati e case illuminate perla Notte d’Inverno, gente che vociava auguri e si scambiava visite, violini che suonavano “La follia di Jaem” e “Il volo dell’airone". Haral Luhhan avrebbe bevuto un bicchiere d’acquavite di troppo e si sarebbe messo a cantare “Il vento nel campo d’orzo", con voce simile al gracidio delle rane, finché la moglie non fosse riuscita a farlo stare zitto e Cenn Buie avrebbe deciso di dimostrare che sapeva ancora ballare bene come sempre e Mat avrebbe preparato qualche scherzo che non riusciva mai come voleva e tutti avrebbero saputo che era lui il responsabile anche se nessuno poteva provarlo. Rand quasi sorrise, al pensiero della notte di festa.

Dopo un poco Tam parlò di nuovo.

«Avendesora. Dicono che non faccia seme, ma ne portarono a Cairhien una piantina, un arboscello. Un dono meraviglioso per il Re.» Pareva infuriato, ma parlava a voce molto bassa, appena comprensibile. Chi l’avesse udito, avrebbe udito anche il lieve strusciare della barella sul terreno. Rand continuò a camminare, ascoltando solo in parte. «Non fecero mai pace. Mai. Ma portarono un alberello, in segno di pace. Crebbe per cento anni. Cento anni di pace con chi non faceva pace con i forestieri. Perché lui lo tagliò? Perché? Sangue era il prezzo dell’Avendoraldera. Sangue, il prezzo dell’orgoglio di Laman.» Ricadde di nuovo nel borbottio incomprensibile.

Stancamente Rand si domandò quale sogno provocato dalla febbre tormentasse Tam. Avendesora, l’Albero della Vita: si riteneva che possedesse ogni sorta di qualità miracolose, ma nessuna storia parlava di un arboscello, né di “loro". C’era solo l’Albero e apparteneva all’Uomo Verde.

Forse quella mattina si sarebbe sentito sciocco, a rimuginare sull’Uomo Verde e sull’Albero della Vita. Erano soltanto storie. Ma lo erano davvero? Fino a quella mattina anche i Trolloc erano storie. Forse tutte le storie erano reali come le notizie portate dai mercanti e dai venditori, tutte le storie dei menestrelli narrate di notte davanti al camino. Il suo prossimo incontro poteva benissimo essere con l’Uomo Verde, oppure con un Ogier gigantesco o un selvaggio Aiel dal velo nero.

Tam parlava di nuovo, a volte solo in un mormorio, a volte a voce abbastanza alta da farsi capire. Di tanto in tanto si fermava a riprendere fiato, poi continuava come se non avesse mai smesso di parlare.

«...le battaglie sono sempre ardenti, anche nella neve. Il sudore scalda. Il sangue scalda. Solo la morte è gelida. Il pendio della montagna... l’unico posto che non puzzava di morte. Dovevo allontanarmi da quel fetore... da quella scena di morte... ho udito il pianto d’un bimbo. Le loro donne combattono a fianco degli uomini, a volte; ma perché le avessero permesso di venire, non so... partorì lì, da sola, prima di morire per le ferite... coprì col mantello il neonato, ma il vento... soffiò via il mantello... neonato livido di freddo. Sarebbe morto... piangendo lì nella neve. Non potevo abbandonare un piccino... nessun figlio nostro... ho sempre saputo che volevi dei figli. Sapevo che gli avresti voluto bene, Kari. Sì, ragazza. Rand è un bel nome. Un buon nome.»

All’improvviso Rand si sentì mancare le forze. Barcollò e cadde sulle ginocchia. Tam gemette per il sobbalzo e l’imbracatura premette dolorosamente sulle spalle di Rand, ma lui nemmeno se ne accorse. Se in quel momento un Trolloc gli fosse balzato davanti, l’avrebbe guardato senza reagire. Da sopra la spalla guardò Tam, che era sprofondato di nuovo nel borbottio incomprensibile. Sogni provocati dalla febbre, si disse Rand, cocciuto. La febbre portava sempre brutti sogni e quella era una notte d’incubo anche per chi non fosse febbricitante.

«Sei mio padre» disse ad alta voce, allungando la mano dietro di sé per toccare Tam. «E io sono tuo...» La febbre era più alta, molto più alta.

Risolutamente si tirò in piedi. Tam mormorò qualcosa, ma Rand si rifiutò d’ascoltare oltre. Premette contro la bardatura improvvisata e cercò di pensare solo al passo seguente, a raggiungere la sicurezza di Emond’s Field. Ma non riusciva a eliminare l’eco che gli risuonava in fondo alla mente. “È mio padre” si disse. “Straparla per colpa della febbre. È mio padre. Straparla. Luce santa, chi sono io?"

7

Al villaggio

Al primo chiarore dell’alba, Rand procedeva faticosamente nella foresta e ancora non riusciva a convincersi d’avere impiegato quasi tutta la notte per il tratto dalla fattoria a Emond’s Field. Certo, di giorno la Strada della Cava, per quanto piena di sassi, era ben diversa dalla foresta di notte. D’altro canto, gli pareva che fossero passati giorni interi, da quando aveva visto il cavaliere dal mantello nero; settimane intere, da quando con Tam era entrato in casa per la cena. Non sentiva più la bardatura tagliargli la carne, ma d’altra parte aveva le spalle intorpidite, e anche i piedi, a dire il vero. Il respiro gli usciva in ansiti faticosi che da un pezzo gli bruciavano gola e polmoni; la fame gli sconvolgeva lo stomaco fino a dargli un senso di nausea.

Da un poco Tam era silenzioso. Rand non sapeva da quanto tempo suo padre aveva smesso di vaneggiare, ma non osò fermarsi per vedere come stava. Se si fosse fermato, non si sarebbe più mosso. E comunque non poteva aiutarlo. L’unica speranza era più avanti, nel villaggio. Provò ad allungare il passo, ma le gambe parevano di legno. Non si accorgeva nemmeno del freddo né del vento.

Colse un vago odore di legna bruciata: se fiutava i camini, allora finalmente era quasi arrivato. Sorrise stancamente, ma subito si accigliò. Il fumo riempiva l’aria... fin troppo. Certo, con quel freddo ogni camino del villaggio era acceso, ma il fumo era eccessivo. Rand ripensò ai Trolloc visti sulla strada. Trolloc che provenivano da levante, dalla direzione di Emond’s Field. Cercò di scorgere le prime case, pronto a gridare aiuto se vedeva qualcuno, fosse anche Cenn Buie o un Coplin. Dentro di lui, una vocina gli disse di augurarsi che ci fosse ancora qualcuno in grado di aiutare gli altri.

All’improvviso, fra gli ultimi alberi spogli comparve una casa: e a Rand non rimase altro che andare avanti, mentre la speranza si mutava in disperazione. Entrò barcollando nel villaggio.

Al posto di metà delle case di Emond’s Field c’erano mucchi di macerie carbonizzate da cui sporgevano, come dita sporche, camini di mattoni, neri di fuliggine. Riccioli di fumo salivano ancora dalle macerie. Paesani dal viso sudicio, alcuni in camicia da notte, frugavano tra le ceneri. Il poco salvato dalle fiamme punteggiava le vie: specchiere, credenze, cassettoni, sedie e tavoli con lenzuola e coperte, utensili da cucina, mucchietti di abiti e di biancheria.

La distruzione pareva seminata a caso: qua cinque case di fila erano intatte, là solo una restava isolata fra le rovine.