La ragazza si staccò dall’abbraccio. «Ha bisogno del mio aiuto, Rand.»
«Egwene!»
A Rand parve che piangesse, mentre si allontanava; poi lei entrò in casa e Rand rimase da solo accanto alla barella. Guardò Tam, con una sensazione d’impotenza. A un tratto indurì il viso. «Il sindaco saprà cosa fare» disse, alzando di nuovo le stanghe. Stanco ma ostinato, si avviò alla locanda.
Incrociò un altro stallone dhurrano con le tirelle legate alle caviglie di un massiccio cadavere coperto con un telo impolverato. Braccia irsute strisciavano nella polvere e dal telo sporgeva un corno da caprone.
I Fiumi Gemelli non erano il posto dove le storie dovessero diventare orribilmente reali. I Trolloc appartenevano al mondo esterno, dove Aes Sedai e falsi Draghi e chissà cos’altro potevano prendere vita dai racconti dei menestrelli.
Mentre costeggiava il Parco, alcuni paesani lo chiamarono e gli chiesero se aveva bisogno d’aiuto. Rand li udì a malapena, anche quando lo accompagnarono per un breve tratto. Meccanicamente rispose che andava tutto bene. Lo lasciarono, con aria preoccupata, a volte dicendo che avrebbero mandato Nynaeve, ma Rand continuò a non udirli. Aveva in testa una sola idea: Bran al’Vere poteva aiutare Tam. Non si domandò come: il sindaco avrebbe escogitato qualcosa.
La locanda era sfuggita quasi per intero alla distruzione che aveva portato via metà villaggio. Alcune bruciature rovinavano le pareti, ma il tetto di tegole rosse brillava al sole come sempre. Però del carro dell’ambulante restavano solo i cerchioni di ferro delle ruote, neri contro la massa carbonizzata del pianale. I grandi semicerchi che avevano sostenuto il telone erano tutti di sghimbescio.
Thom Merrilin, seduto a gambe incrociate sulle pietre delle vecchie fondamenta, ritagliava con un paio di forbicine i bordi bruciacchiati delle toppe multicolori cucite al mantello. All’avvicinarsi di Rand, posò forbici e mantello. Senza chiedergli se aveva bisogno d’aiuto, saltò giù e prese la parte posteriore della barella.
«Dentro? Certo, certo. Sta’ tranquillo, ragazzo. La vostra Sapiente si prenderà cura di lui. L’ho guardata lavorare, stanotte: è abile ed esperta. Poteva andare peggio. Alcuni sono morti, stanotte. Non molti, forse; ma per me anche uno è già troppo. Il vecchio Fain è scomparso. Brutto segno: i Trolloc mangiano di tutto. Ringrazia la Luce che tuo padre è ancora vivo. La Sapiente lo guarirà.»
Rand cancellò le parole, ridusse la voce a rumore privo di senso, un ronzio di mosca. Non sopportava altre espressioni di simpatia, altri tentativi di risollevargli il morale. Almeno finché Bran al’Vere non gli avesse detto come aiutare Tam.
A un tratto si trovò di fronte a un segno scarabocchiato sulla porta della locanda, una linea curva tracciata con un bastoncino carbonizzato, una lacrima in equilibrio sulla punta. Erano successe tante di quelle cose che non si stupì di trovare il segno della Zanna del Drago sulla porta della locanda. Non capiva perché qualcuno volesse accusare di malvagità il proprietario o la sua famiglia, o portare sfortuna alla locanda, ma quella notte l’aveva convinto di una cosa: tutto era possibile. Tutto.
All’invito di Merrilin, alzò il chiavistello ed entrò.
La sala comune era deserta, a parte Bran al’Vere, e fredda, perché nessuno aveva trovato il tempo di accendere il fuoco. Il sindaco, seduto a un tavolo, con la testa china sopra un foglio di pergamena, intingeva nel calamaio la penna e mostrava una ruga di concentrazione. Si era infilato frettolosamente nelle brache la camicia da notte, che formava un notevole rigonfio intorno alla cintola, e con le dita di un piede si grattava l’altro. Aveva i piedi sporchi di terra, come se, nonostante il freddo, fosse uscito più d’una volta senza prendersi la briga di calzare gli stivali. «Cosa c’è?» disse senza alzare lo sguardo. «Parla in fretta. Ho mille cose da fare e mille altre avrei dovuto farle già da un’ora. Perciò ho poco tempo e meno pazienza. Sputa il rospo.»
«Mastro al’Vere?» disse Rand. «Si tratta di mio padre.»
Il sindaco sollevò di scatto la testa. «Rand? Tam!» Lasciò cadere la penna e balzò in piedi, rovesciando la sedia. «Forse la Luce non ci ha abbandonati del tutto. Vi credevo morti. Bela è arrivata al galoppo nel villaggio, un’ora dopo che i Trolloc se n’erano andati, in un bagno di sudore, soffiando come se avesse corso per tutta la strada dalla fattoria, e ho pensato... Lasciamo perdere, non c’è tempo. Portiamolo al piano di sopra.» Afferrò l’estremità della barella, scostando il menestrello. «Vai a chiamare la Sapiente, mastro Merrilin. E dille di affrettarsi! Non ti agitare, Tam. Presto ti metteremo in un morbido letto. Vai, menestrello, vai!»
Thom Merrilin sparì, prima che Rand potesse parlare. «Nynaeve non può fare niente. Ha detto che non può aiutarlo. Ero sicuro... mi auguravo che tu avessi un’idea.»
Mastro al’Vere guardò più attentamente Tam, poi scosse la testa. «Vedremo, ragazzo. Vedremo.» Ma non sembrava più tanto fiducioso. «Portiamolo a letto. Riposerà comodamente, almeno.»
Rand si lasciò spingere verso le scale in fondo alla sala comune, scosso dal dubbio improvviso nella voce del sindaco.
Al primo piano, sulla facciata, c’erano sei stanzette comode e ben sistemate, con finestre che si affacciavano sul Parco, usate in genere dai venditori ambulanti o da gente di Watch Hill o di Deven Ride. Al momento, tre erano occupate. Il sindaco spinse Rand in una di quelle libere.
Tolsero dal letto l’imbottita e le coperte, trasferirono Tam sul materasso di piume, gli misero sotto la testa guanciali di piume d’oca. Tam non emise nemmeno un gemito, a parte il respiro rauco, ma il sindaco tranquillizzò Rand dicendogli di accendere il fuoco per scaldare la stanza. Mentre il ragazzo prendeva legna e rametti dalla cassa posta accanto al camino, Bran tirò le tende della finestra per far entrare la luce del mattino, poi si mise a lavare con gentilezza il viso di Tam. Quando il menestrello tornò, una bella fiamma scaldava la stanza.
«Non viene» annunciò Thom Merrilin, entrando. Lanciò un’occhiata a Rand e aggrottò le sopracciglia. «Potevi dirmi che lei l’ha già visto. A momenti mi picchiava.»
«Pensavo... non so... forse il sindaco può fare qualcosa... può convincerla a...» A pugni stretti, Rand si girò verso Bran. «Mastro al’Vere, cosa posso fare?» Il sindaco scosse la testa, impotente. Mise sulla fronte di Tam un panno bagnato ed evitò d’incontrare lo sguardo del ragazzo. «Non posso lasciarlo morire senza fare niente» protestò Rand. «Il menestrello si mosse come per intervenire. Rand si girò, ansioso.» Hai un’idea? Proverò qualsiasi cosa.
«Mi chiedevo solo» rispose Thom, premendo tabacco nel fornello della pipa «se il sindaco sa chi ha scarabocchiato sulla porta la Zanna del Drago.» Fissò il fornello, poi guardò Tam e con un sospiro strinse fra i denti il cannello della pipa, senza accenderla. «Si direbbe che qualcuno non l’abbia in simpatia. O forse ce l’ha con i suoi ospiti.»
Rand gli rivolse un’occhiata di disgusto e si girò a fissare il fuoco. I suoi pensieri danzavano come le fiamme e come le fiamme si concentravano su una sola cosa. Non avrebbe ceduto. Non poteva stare a guardare Tam che moriva. “Mio padre” pensò ferocemente. “Mio padre." Passata la febbre, avrebbe chiarito anche questo. Ma prima bisognava che guarisse. Solo, come?
Bran al’Vere serrò le labbra, guardando la schiena di Rand; l’occhiata astiosa che rivolse al menestrello avrebbe fatto esitare un orso, ma Thom si limitò ad aspettare una risposta, come se non se ne fosse accorto.
«Sarà stato un Congar o un Coplin» disse infine il sindaco. «Ma solo la Luce sa il motivo. Sono due famiglie numerose. Se c’è da parlar male di qualcuno, e anche se non c’è, sparlano. Al loro confronto, Cenn Buie ha una lingua melata.»
«Quella carrettata di gente giunta poco prima dell’alba?» domandò il menestrello. «Non avevano nemmeno sentito l’odore d’un Trolloc e volevano solo sapere quando sarebbe iniziata la Festa, come se non vedessero che metà villaggio era in cenere.»