La via da cui era entrato in città, ampia e lastricata di pietra liscia e grigia, si estendeva dritta davanti a lui, verso il centro; all’estremità si stagliava una torre più larga e alta di tutte, candida come neve appena caduta. In quella torre c’erano la salvezza e la conoscenza che cercava. Ma la città era uno spettacolo che mai aveva sognato d’ammirare. Certo non importava, se avesse tardato un poco nel recarsi alla torre. Svoltò in una via più stretta, dove giocolieri camminavano fra venditori ambulanti di frutti bizzarri.
Più avanti, in fondo alla via, c’era una torre candida come neve. La stessa torre. Solo un momento, si disse, e girò un altro angolo. Anche all’estremità di questa via c’era la torre bianca. Testardo, girò ancora un angolo, e un altro, e ogni volta vide la torre d’alabastro. Girò di scatto per allontanarsi dalla torre... e si bloccò. Davanti a lui, la torre bianca. Non osò guardarsi indietro, per paura di scoprirla anche lì.
Tutt’intorno le facce erano ancora amichevoli, ma gli occhi erano pieni di speranza infranta, per colpa sua. A gesti ora supplichevoli la gente lo invitava ancora a procedere. Verso la torre. Gli occhi mostravano una richiesta disperata che solo lui poteva esaudire. Solo lui poteva salvare quelle persone.
"E va bene” si disse. La torre, in fin dei conti, era il luogo dove voleva recarsi.
Appena mosse il primo passo, la delusione scomparve dalla faccia di quelli che lo circondavano e ricomparve il sorriso. La gente si mosse con lui e i bambini lanciarono petali davanti ai suoi piedi. Confuso, si guardò indietro, chiedendosi per chi fossero quei fiori, ma alle sue spalle c’era solo altra folla in movimento che lo invitava a procedere. “Sono certamente per me” si disse, stupito solo per un attimo di un comportamento che all’improvviso gli parve normale.
Un poco alla volta, la gente iniziò a cantare, finché ogni voce si levò in un coro glorioso. Lui continuava a non capire le parole, ma l’armonia parlava di gioia e di salvezza. Musicanti saltellavano tra la folla e aggiungevano all’inno la musica di flauti, arpe, tamburi d’ogni forma e dimensione. Ragazze danzavano intorno a lui, gli mettevano al collo ghirlande di fiori profumati, gli sorridevano e diventavano più allegre a ogni suo passo. Lui non poteva non rispondere ai sorrisi. Aveva voglia di unirsi a loro nella danza e subito si ritrovò a danzare, seguendo le figure come se le conoscesse dalla nascita. Gettò indietro la testa e rise: non aveva mai danzato con tanta leggerezza, quando ballava con... Non riuscì a ricordare il nome, ma non gli parve importante.
È il tuo destino, gli bisbigliò una voce nella testa; e il bisbiglio era un filo del canto di gioia.
Trasportandolo come rametto sulla cresta dell’onda, la folla si riversò in una vasta piazza nel centro della città e per la prima volta lui vide che la torre bianca si alzava da un grande palazzo di marmo chiaro, scolpito più che edificato, con mura ricurve, cupole rigonfie, guglie delicate che toccavano il cielo. Rimase a bocca aperta, colto da stupore reverenziale. Un’ampia scalinata di pietra portava al palazzo; la folla si fermò ai piedi della scalinata, ma il canto crebbe d’intensità. Le voci incoraggiarono i suoi passi. Il tuo destino, bisbigliò la voce, ora insistente, ansiosa.
Lui non danzava più, ma neppure si fermò. Senza esitazione salì i gradini. Apparteneva a quel luogo.
I massicci battenti in cima alla scalinata erano coperti di volute ornamentali, intagli così complessi e delicati che lui non riusciva a immaginare una lama tanto sottile per eseguirli. I battenti si spalancarono e lui entrò. I battenti si chiusero alle sue spalle, con uno schianto che echeggiò come tuono.
«Ti aspettavamo» sibilò il Myrddraal.
Rand si rizzò a sedere, ansimante, scosso da brividi, con lo sguardo fisso. Tam continuava a dormire. Nel camino, sopra un bel letto di braci, i ceppi erano per metà consumati; qualcuno era entrato a curare il fuoco, mentre Rand dormiva. La barella di fortuna non c’era più; il mantello di Tam e il suo erano appesi accanto all’uscio.
Con mano incerta Rand si asciugò il sudore freddo; si domandò se nominare in sogno il Tenebroso ne richiamasse l’attenzione come nominandolo ad alta voce.
Il crepuscolo rabbuiava la finestra; la luna era alta, tonda e grassa, e le stelle della sera brillavano sopra le Montagne di Nebbia. Rand aveva dormito per tutto il giorno. Si massaggiò il fianco indolenzito a causa dell’elsa contro le costole. Lo stomaco vuoto e gli eventi della notte bastavano a giustificare l’incubo.
Lo stomaco gli brontolava. Rand si alzò, irrigidito, e andò al tavolo dove comare al’Vere aveva lasciato il vassoio. Scostò il tovagliolo: il brodo e il pane croccante erano caldi. Evidentemente comare al’Vere aveva sostituito il vassoio; se decideva che avevi bisogno di un pasto caldo, non era tranquilla finché non l’avevi mangiato.
Rand bevve un po’ di brodo, mise carne e formaggio fra due pezzi di pane e cominciò a mangiare a grandi bocconi. Si accostò al letto.
Comare al’Vere aveva pensato anche a Tam: gli aveva rimboccato le coperte e pulito i vestiti, ora ben piegati sul comodino. Quando Rand gli toccò la fronte, Tam aprì gli occhi.
«Ah, eccoti qui, figliolo. Marin mi aveva detto che c’eri, ma non sono riuscito nemmeno a mettermi a sedere per darti un’occhiata. Ha detto che eri stanco e che non ti avrebbe svegliato. Nemmeno Bran riesce a farle cambiare idea, quando ha preso una decisione.»
La voce di Tam era debole, ma lo sguardo era limpido e fermo. L’Aes Sedai aveva ragione, pensò Rand. Con il riposo sarebbe tornato quello di prima.
«Ti porto da mangiare? Comare al’Vere ha lasciato un vassoio pieno.»
«Me ne ha già dato... per così dire. Solo brodino. Come fa, un uomo, a evitare i brutti sogni se nella pancia ha solo brodo?» Tam allungò la mano e toccò la spada alla cintola di Rand. «Allora non era un sogno. Quando Marin mi ha detto che ero ammalato, ho pensato... Ma tu stai bene. Conta solo questo. E la fattoria?»
«I Trolloc hanno ucciso le pecore. Credo che abbiano preso anche la mucca e la casa ha bisogno di una buona pulizia.» Sorrise debolmente. «Abbiamo avuto più fortuna di altri. I Trolloc hanno incendiato mezzo villaggio.»
Raccontò a Tam quasi tutto l’accaduto. Tam ascoltò attentamente e gli rivolse domande acute; Rand fu costretto a dirgli d’essere tornato alla fattoria e d’avere ucciso un Trolloc; e gli disse pure che secondo Nynaeve lui sarebbe morto, per spiegare come mai a curarlo era stata una Aes Sedai anziché la Sapiente. Tam spalancò gli occhi, nell’udire che a Emond’s Field c’era una Aes Sedai. Ma Rand non vide la necessità di raccontargli le traversie per tornare al villaggio, né le proprie paure, né la presenza del Myrddraal lungo la strada. E certo non l’incubo che aveva appena avuto. Né, soprattutto, i vaneggiamenti di Tam durante la febbre. Ma non aveva modo di tenere per sé la storia di Moiraine.
«Un racconto da rendere orgoglioso un menestrello» brontolò Tam, quando Rand terminò. «Cosa vorranno i Trolloc da voi ragazzi? O il Tenebroso?»
«Credi che Moiraine mi abbia mentito? Mastro al’Vere ha confermato che i Trolloc hanno assalito solo due fattorie. E incendiato la casa di mastro Luhhan e di mastro Cauthon.»
Per un momento Tam rimase in silenzio. Poi disse: «Riferiscimi le parole di Moiraine. Le parole esatte.»
Rand si strinse nelle spalle. Mai nessuno ricordava le parole esatte! Si morsicò il labbro e si grattò la testa; a poco a poco le ricostruì come le ricordava. «Non mi viene in mente altro» terminò. «Non sono sicuro che siano proprie le sue parole, ma il senso è esatto.»