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«Allora avete forse minacciato ospiti della mia locanda?»

«Quella è una Aes Sedai» cominciò Hari con rabbia, ma si bloccò, al gesto di Haral Luhhan.

Il fabbro si limitò a stiracchiarsi, sollevando le braccia sopra la testa e stringendo i pugni massicci fino a far scricchiolare le nocche; ma Hari lo guardò come se l’omaccione gli avesse agitato sotto il naso uno di quei pugni. Haral piegò le braccia sul petto. «Scusa, Hari, non volevo interromperti. Dicevi?»

Ma Hari, con le spalle ingobbite come se tentasse di ritrarsi in se stesso e scomparire, sembrava non avere più niente da dire.

«Mi meraviglio di voi» brontolò Bran. «Paet al’Caar, ieri notte tuo figlio si è rotto la gamba, ma oggi l’ho visto camminare... grazie a lei. Eward Candwin, eri disteso sulla pancia, con uno squarcio sulla schiena, come un pesce pronto a essere pulito, finché lei non ti ha curato. Se non sbaglio, adesso la cicatrice si vede appena. E tu, Cenn.» L’impagliatore cercò di ritrarsi maggiormente tra la folla, ma si fermò a disagio, bloccato dallo sguardo di Bran. «Sarei sconvolto nel vedere tra questa folla qualsiasi membro del Consiglio, ma te più d’ogni altro. Il braccio ti penderebbe ancora lungo il fianco, pieno di bruciature e di lividi, se non fosse per lei. Se non provi gratitudine, abbi almeno vergogna!»

Cenn sollevò quasi la destra, poi rabbiosamente scostò lo sguardo dalla mano. «Non posso negare quel che ha fatto» borbottò, e parve davvero vergognarsi. «Ha aiutato me e altri, ma è una Aes Sedai, Bran. Se quei Trolloc non sono venuti a causa sua, perché sono venuti? Non vogliamo avere a che fare con le Aes Sedai, nei Fiumi Gemelli. Tengano i loro guai lontano da noi.»

Alcuni, al sicuro tra la folla, si fecero sentire.

«Non vogliamo i guai delle Aes Sedai!»

«Mandala via!»

«Cacciala!»

«Perché sono venuti, se non per lei?»

Bran si accigliò, ma prima che potesse replicare, Moiraine alzò sopra la testa il bastone intagliato e lo fece girare in aria, reggendolo a due mani. L’ansito di Rand fu l’eco di quello dei paesani: dalle estremità del bastone sgorgò una fiamma bianca e sibilante. Perfino Bran e Haral si scostarono. Moiraine tese le braccia davanti a sé, con il bastone parallelo al terreno, ma le due lingue di fiamma continuarono a protendersi, più vivide delle torce. Gli uomini arretrarono schermandosi gli occhi da quel bagliore doloroso.

«Così si è ridotto il sangue di Aemon?» disse l’Aes Sedai, a voce bassa che però soffocò ogni altro suono. «Gentucola che si disputa il diritto di nascondersi come conigli selvatici? Avete dimenticato chi eravate, ma speravo che nel sangue e nelle ossa vi restasse almeno il ricordo. Un briciolo che vi desse forza per la lunga notte in arrivo.»

Nessuno parlò. I due Coplin avevano l’aspetto di chi non volesse più riaprire bocca.

«Dimenticato?» disse Bran. «Non siamo mai cambiati. Onesti contadini, pastori, artigiani. Gente dei Fiumi Gemelli.»

«A meridione» disse Moiraine «c’è il fiume che voi chiamate fiume Bianco; ma molto lontano da qui, a levante, gli uomini lo chiamano ancora col giusto nome. Manetherendrelle. Nella Lingua Antica, Acque della Montagna Patria. Acque scintillanti che un tempo scorrevano in una terra di coraggio e di bellezza. Duemila anni fa, il Manetherendrelle sfiorava le mura di una città montana così bella che i costruttori Ogier venivano a guardarla pieni di stupore. Fattorie e villaggi ricoprivano questa regione, e quella che chiamate la Foresta delle Ombre, e le terre più in là. Ma tutta questa gente si riteneva il popolo della Montagna Patria, il popolo di Manetheren.

«Il loro re era Aemon al Caar al Thorin, Aemon figlio di Caar figlio di Thorin, e Eldrene ay Elian ay Carlan era la regina. Aemon era un uomo che non conosceva la paura, tanto che, per fare a un coraggioso il migliore complimento, anche fra i suoi nemici si diceva che aveva il cuore di Aemon. Eldrene era così bella che si diceva che i fiori sbocciassero per farla sorridere. Coraggio e bellezza, sapienza e amore, che la morte non avrebbe separato. Piangete, se avete un cuore, per la loro perdita, per la perdita perfino del ricordo. Piangete, per la perdita del loro sangue.»

Moiraine tacque, ma nessuno parlò. Rand era prigioniero come gli altri dell’incantesimo da lei creato. Quando Moiraine riprese a parlare, Rand pendeva dalle sue labbra, come tutti gli altri.

«Per quasi due secoli le Guerre Trolloc avevano devastato il mondo in lungo e in largo; dovunque infuriassero le battaglie, lo stendardo con l’Aquila Rossa di Manetheren era in prima fila. Gli uomini di Manetheren erano una spina nel piede del Tenebroso e un rovo nella sua mano. Cantate di Manetheren, che non avrebbe mai piegato il ginocchio davanti all’Ombra. Cantate di Manetheren, la spada che non si sarebbe mai spezzata.

«Erano molto lontano, gli uomini di Manetheren, nel Campo di Bekkar, detto il Campo di Sangue, quando seppero che un esercito di Trolloc si muoveva contro la loro casa. Non potevano fare altro che aspettare la notizia della morte della propria terra, perché le forze del Tenebroso intendevano distruggerli tutti, uccidere la possente quercia tagliandone le radici. Potevano solo piangere. Ma erano gli uomini della Montagna Patria.

«Senza esitare, senza pensare alla distanza da percorrere, partirono dal campo della vittoria, ancora coperti di polvere, sudore, sangue. Giorno e notte marciarono, perché avevano visto l’orrore che un esercito di Trolloc si lasciava alle spalle e nessuno poteva dormire, quando un simile pericolo minacciava Manetheren. Procedettero come se avessero le ali ai piedi, fecero più strada di quanto gli amici si augurassero o i nemici temessero. In qualsiasi altro momento, quella marcia, da sola, avrebbe ispirato poeti. Quando gli eserciti del Tenebroso sciamarono sulle terre di Manetheren, gli uomini della Montagna Patria li affrontarono, con la schiena al Tarendrelle.

«L’esercito che confrontò gli uomini di Manetheren bastava ad atterrire il cuore più coraggioso. Corvi oscuravano il cielo; Trolloc oscuravano la terra. Trolloc e i loro alleati umani. Trolloc e Amici del Tenebroso, a decine e decine di migliaia, sotto il comando di Signori del Terrore. Di notte i fuochi da campo superarono in numero le stelle e l’alba rivelò in prima linea lo stendardo di Ba’alzamon. Ba’alzamon, Cuore delle Tenebre. Un antico nome del Padre delle Menzogne. Il Tenebroso era ancora incatenato nella prigione di Shayol Ghul, altrimenti neppure tutte le forze dell’umanità avrebbero potuto contrastarlo, ma lì c’era potere. Signori del Terrore; e una sorta di male che faceva sembrare appena giusto quello stendardo distruttore di luce e che mandava un brivido di gelo nell’anima degli uomini che lo confrontavano.

«Eppure costoro sapevano che cosa bisognava fare. La loro terra natale si trovava appena al di là del fiume. Quell’esercito e il potere che lo accompagnava dovevano essere tenuti lontano dalla Montagna Patria. Aemon aveva inviato messaggeri e ricevuto promesse di aiuti, se avessero resistito almeno tre giorni sulla sponda del Tarendrelle, contro forze che avrebbero dovuto spazzarli via nella prima ora. Eppure, con sanguinosi assalti e difese disperate, resistettero per la prima ora e per la seconda e per le successive. Tre giorni combatterono e, anche se il terreno divenne simile a un mattatoio, non permisero la traversata del Tarendrelle. Ma la terza notte non giunse alcun aiuto, non giunsero messaggeri. Continuarono a combattere da soli. Per sei giorni. Per nove. E il decimo giorno Aemon conobbe l’amaro sapore del tradimento. Non avrebbero ricevuto aiuti e non potevano più impedire la traversata del fiume.»

«Cosa accadde allora?» domandò Hari. La fiamma delle torce tremolava nella gelida brezza della notte, ma nessuno si mosse per stringersi addosso il mantello.

«Aemon» continuò Moiraine «attraversò il Tarendrelle e distrusse i ponti. E ordinò al suo popolo in tutto il territorio di darsi alla fuga, perché i poteri che sostenevano i Trolloc avrebbero trovato il modo di trasportare l’orda al di là del fiume. Mentre l’ordine si spargeva, i Trolloc iniziarono la traversata e i soldati di Manetheren ripresero il combattimento per guadagnare tempo, pagando con la propria vita. Nella città di Manetheren, Eldrene organizzò la fuga del suo popolo nelle foreste più fitte e nei rifugi sulle montagne.