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«Ma alcuni non fuggirono. Prima come rivolo, poi come fiume, poi come inondazione, corsero non verso la salvezza, ma ad unirsi ai soldati che combattevano per la loro terra. Pastori armati d’arco, contadini armati di forcone, boscaioli armati di scure. E anche donne, armate di quello che avevano trovato, marciarono a fianco a fianco con i loro uomini. Tutti sapevano d’intraprendere un viaggio senza ritorno. Ma quella era la loro terra, era stata dei loro padri e sarebbe stata dei loro figli. Andarono a pagare il prezzo. Non un palmo di terreno fu ceduto prima che fosse zuppo di sangue, ma alla fine l’esercito di Manetheren fu respinto fin qui, fino alla zona che oggi chiamate Emond’s Field. E qui le orde di Trolloc lo circondarono.

«I cadaveri di Trolloc e di rinnegati formarono alti cumuli, ma sempre nuovi nemici scavalcavano i mucchi di vittime, in ondate di morte che non avevano fine. Una sola conclusione era possibile. Non un uomo né una donna, di coloro che all’alba di quel giorno avevano combattuto sotto lo stendardo dell’Aquila Rossa, al calare della notte sopravviveva. La spada che non si sarebbe mai spezzata era stata fatta a pezzi.

«Nelle Montagne di Nebbia, rimasta da sola nella città deserta di Manetheren, Eldrene sentì Aemon morire e il suo cuore morì con lui. E al posto del cuore le rimase soltanto sete di vendetta, vendetta per l’amato, vendetta per il suo popolo e la sua terra. Spinta dal dolore, Eldrene attinse alla Vera Fonte e scagliò l’Unico Potere contro l’esercito Trolloc. E i Signori del Terrore morirono lì dove si trovavano, mentre tenevano consigli di guerra o esortavano i soldati. In un batter di ciglio i Signori del Terrore e i generali del Tenebroso furono avvolti dalle fiamme. Il fuoco consumò il loro corpo e il terrore consumò l’esercito vittorioso.

«Tutti fuggirono come animali davanti all’incendio della foresta, senz’altro pensiero che la salvezza. Fuggirono a settentrione e a meridione. A migliaia annegarono nel tentativo di attraversare il Tarendrelle senza l’aiuto dei Signori del Terrore; e, varcato il Manetherendrelle, distrussero i ponti, per paura di quel che potesse inseguirli. Dove trovarono gente, uccisero e incendiarono, ma pensarono soprattutto alla fuga. Finché, in conclusione, nessuno di loro rimase sulle terre di Manetheren. Furono dispersi come polvere davanti ai turbini di vento. La vendetta finale giunse più lentamente, ma giunse, quando furono inseguiti da altri popoli, da altri eserciti in altre regioni. Nessuno sopravvisse, degli autori del massacro di Aemon’s Field.

«Ma il costo fu alto, per Manetheren. Eldrene aveva attinto l’Unico Potere in quantità superiore a quanto un essere umano possa usare senza aiuto. Come morirono i generali nemici, così morì anche lei; e le fiamme che la consumarono, incenerirono anche la città deserta di Manetheren, perfino le sue pietre, fino alla roccia stessa delle montagne. Tuttavia il popolo era stato salvato.

«Niente rimase delle loro fattorie, dei loro villaggi, della loro grande città. Alcuni avrebbero detto che rimaneva loro soltanto la fuga in altre terre. Loro la pensarono diversamente. Per la loro terra avevano pagato, in sangue e speranza, un prezzo mai pagato prima; e adesso erano legati a quella terra da legami più robusti dell’acciaio. Altre guerre li avrebbero distrutti negli anni a venire; alla fine dimenticarono il loro angolo di mondo e le guerre e il modo di fare guerra. Manetheren non si risollevò mai più. Le sue altissime guglie e le fontane zampillanti divennero un sogno che piano piano svanì dalla mente del suo popolo. Ma loro, e i loro figli, e i figli dei loro figli, conservarono la terra che era stata loro, anche quando i secoli ne cancellarono dal ricordo i motivi. La conservarono finché, oggi, ci siete voi. Piangete per Manetheren. Piangete per ciò che è perduto per sempre.»

Le fiamme alle estremità del bastone di Moiraine si spensero; la donna lo abbassò come se pesasse cento libbre. Per un lungo momento si udì solo il gemito del vento. Poi Paet al’Caar scostò i Coplin e venne avanti.

«Non so niente del tuo racconto» disse. «Non sono una spina nel piede del Tenebroso e non penso d’esserlo mai. Ma il mio Wil cammina grazie a te e per questo mi vergogno d’essere qui. Non so se mi perdonerai, ma anche senza perdono, me ne vado. E per me resta pure a Emond’s Field finché ne hai voglia.»

Con un rapido cenno, quasi un inchino, si aprì la strada tra la folla. Altri borbottarono parole di scusa e a uno a uno si allontanarono, pieni di vergogna. I Coplin, scuri in faccia, si guardarono intorno e senza dire niente scomparvero nella notte. Bili Congar era già sparito prima dei suoi cugini.

Lan tirò indietro Rand e chiuse la porta. «Andiamo, ragazzo» disse. Si diresse verso il retro della locanda. «Venite, tutt’e due. Presto!»

Rand esitò, scambiò con Mat un’occhiata di stupore. Mentre Moiraine raccontava la storia, nemmeno i cavalli dhurrani di mastro al’Vere sarebbero riusciti a tirarlo via; ma ora qualcosa d’altro gli bloccava i piedi. Questo era il vero inizio: lasciare la locanda e seguire il Custode nella notte... Si scosse e cercò di rafforzare la propria decisione. Non aveva scelta. Ma sarebbe tornato a Emond’s Field, per quanto lungo fosse il viaggio.

«Che cosa aspettate?» disse Lan, dalla porta in fondo alla sala comune. Con un sobbalzo Mat si affrettò a raggiungerlo.

Cercando di convincersi che era l’inizio di una grandiosa avventura, Rand li seguì nella cucina buia e fuori nel cortile della stalla.

10

Commiato

L’unica luce era fornita dalla lanterna con gli scuri semichiusi, appesa al chiodo infisso nel montante di uno stallo, ma non disperdeva le fitte ombre. Quando Rand varcò la soglia, alle calcagna di Mat e del Custode, Perrin, che se ne stava seduto con la schiena contro il battente di uno stallo, balzò in piedi, con un fruscio di paglia smossa. Era avvolto in un pesante mantello.

Lan si fermò quanto bastava a domandare: «Hai guardato come ti ho detto, fabbro?»

«Ho guardato» rispose Perrin. «Non c’è nessuno, a parte noi. Perché qualcuno dovrebbe nascondersi...»

«Prudenza e vita lunga vanno a braccetto, fabbro.» Il Custode esaminò rapidamente la stalla in penombra e le ombre più fitte del fienile sovrastante, poi scosse la testa. «Non c’è tempo» borbottò tra sé. «Dobbiamo sbrigarci, dice lei.»

Subito si diresse verso i cinque cavalli già sellati, fermi ai margini della zona illuminata; due erano lo stallone morello e la giumenta bianca; gli altri, meno alti di zampe e meno lucidi di pelo, sembravano comunque fra i migliori disponibili nei Fiumi Gemelli. Lan cominciò a esaminare attentamente gli straccali, i sottosella, le cinghie di cuoio che reggevano le bisacce, le ghirbe e i rotoli di coperte dietro la sella.

Rand scambiò con gli amici un sorriso incerto, cercando di sembrare ansioso di partire.

Solo allora Mat notò la spada di Rand e la indicò. «Vuoi diventare Custode?» rise; poi deglutì, con un’occhiata a Lan, che parve non accorgersi di niente. «O come minimo guardia di mercanti» continuò Mat, con un sogghigno che parve solo un po’ sforzato. Mostrò l’arco. «Non ti bastava un’onesta arma da uomini?»

Rand avrebbe voluto fare sfoggio della spada, ma fu dissuaso dalla presenza di Lan. Il Custode non guardava neppure nella loro direzione, ma Rand era sicuro che niente gli sfuggiva. Con noncuranza esagerata disse invece: «Può venire utile.» Come se portare una spada fosse la cosa più naturale del mondo.

Perrin si mosse, cercando di nascondere qualcosa sotto il mantello. Rand scorse intorno ai fianchi dell’apprendista fabbro un’ampia cintura di cuoio nella quale era infilato il manico di un’ascia.

«Cos’hai lì?» domandò.

«Guardia di mercante, proprio» rise Mat.