C’era senz’altro un mucchio di gente, calcolò Rand. Alcuni indossavano vestiti di buon taglio, migliori di qualsiasi vestito visto nei Fiumi Gemelli — belli quasi quanto quelli di Moiraine — e parecchi portavano lunghi giacconi orlati di pelliccia che sbattevano contro le caviglie. I minatori, di cui alla locanda tutti continuavano a parlare, avevano l’aria ingobbita di chi è abituato a scavare sottoterra. Ma gran parte della gente non sembrava diversa da quella con cui lui era cresciuto, sia nel modo di vestire, sia nel viso. Chissà perché, si era aspettato che fosse diversa; invece parecchi avevano l’aria di gente dei Fiumi Gemelli, tanto che lui poteva immaginare che appartenessero all’una o all’altra delle famiglie che conosceva a Emond’s Field. Un tizio sdentato, dai capelli grigi e orecchie che sembravano manici di caraffa, seduto sulla panca davanti a una locanda a guardare tristemente il boccale vuoto, avrebbe potuto essere un parente stretto di Bili Congar. Il sarto dalla mascella cascante che cuciva davanti alla propria bottega sembrava quasi il fratello di Jon Thane, aveva perfino la stessa pelata. Una copia quasi esatta di Samel Crawe passò accanto a Rand, mentre questi svoltava l’angolo e...
Incredulo, Rand fissò un ometto ossuto con le braccia lunghe e il naso a patata, che si faceva frettolosamente largo tra la folla e indossava vestiti che sembravano un mucchietto di stracci. L’uomo aveva gli occhi infossati e il viso smagrito e sporco, come se da giorni non mangiasse né dormisse, ma Rand avrebbe giurato... In quel momento lo straccione lo scorse e si bloccò, incurante della gente che lo urtava. Rand sentì svanire l’ultimo dubbio.
«Mastro Fain!» gridò. «Credevamo tutti che fossi...»
Rapido come un battito di ciglia, l’ambulante schizzò via, ma Rand lo inseguì, chiedendo scusa senza fermarsi alla gente che urtava. Tra la folla scorse Fain infilarsi in un vicolo e gli andò dietro. Dopo alcuni passi l’ambulante si fermò. Un’alta staccionata rendeva la viuzza un vicolo cieco. Mentre Rand si arrestava, Fain si girò contro di lui, raccolto su se stesso, e arretrò con diffidenza. Agitò le mani luride per tenerlo indietro. La sua giubba aveva più d’uno strappo e il mantello era consunto e lacero come se fosse stato usato più rudemente del dovuto.
«Mastro Fain?» domandò Rand, in tono esitante. «Cosa c’è? Sono io, Rand al’Thor, di Emond’s Field. Credevamo tutti che i Trolloc ti avessero divorato.»
Fain gesticolò bruscamente e, sempre raccolto su se stesso, mosse alcuni passi di lato, verso l’apertura del vicolo. Non cercò di oltrepassare Rand e nemmeno di accostarsi a lui. «No!» ansimò. Muoveva in continuazione la testa e cercava di guardare tutto quel che c’era nella via alle spalle di Rand. «Non nominare...» La voce divenne un bisbiglio rauco e Fain lanciò a Rand rapide occhiate di traverso. «Non nominarli! Ci sono Manti Bianchi, in città.»
«Non hanno motivo d’infastidirci. Vieni con me al Cervo e Leone. Mi sono fermato lì, con alcuni amici. Li conosci quasi tutti. Saranno lieti di vederti. Ti credevamo morto.»
«Morto?» sbottò l’ambulante, indignato. «Padan Fain, no. Padan Fain sa da quale parte saltare e dove atterrare. L’ha sempre saputo e lo saprà sempre.» Si aggiustò gli stracci, come se fosse vestito a festa. «Avrò vita lunga, più lunga di...» All’improvviso, con una smorfia, strinse le mani sul bordo della giubba. «Mi hanno bruciato il carro e tutte le mercanzie. Non avevano motivo di farlo, no? Non ho potuto prendere i cavalli. I miei cavalli. Quel grassone li aveva chiusi a chiave nella stalla. Mi sono dovuto muovere in fretta per non farmi tagliare la gola e cosa ho ottenuto? Mi resta solo quel che ho addosso. Ti sembra giusto, eh?»
«I tuoi cavalli sono al sicuro nella stalla di mastro al’Vere. Puoi riprenderli quando vuoi. Se vieni con me alla locanda, sono sicuro che Moiraine ti aiuterà a tornare ai Fiumi Gemelli.»
«Aaaaah! Lei è... lei è l’Aes Sedai, no?» Assunse un’espressione circospetta. «Forse, però...» Esitò, si umettò nervosamente le labbra. «Quanto vi fermerete in questa... Come si chiama? Cervo e Leone?»
«Partiamo domani. Ma cosa c’entra con...»
«Tu non capisci, lì a pancia piena, dopo una bella dormita in un comodo letto» gemette Fain. «Quasi non ho chiuso occhio, da quella notte. Ho consumato gli stivali, a furia di correre, e in quanto al cibo...» Contorse il viso in una smorfia. «Non voglio avvicinarmi nemmeno a un miglio da una Aes Sedai.» Parve sputare le ultime due parole. «Nemmeno a dieci miglia. Ma forse sarò costretto. Non ho scelta, no? Il pensiero che lei mi guardi, o solo che sappia dove mi trovo...» Allungò la mano verso Rand, come se volesse afferrargli la giubba, ma si fermò prima, tremando, e in realtà indietreggiò d’un passo. «Promettimi che non le dirai niente. Mi mette paura. Non c’è motivo di dirglielo, non c’è motivo che una Aes Sedai sappia che sono vivo. Devi prometterlo. Devi!»
«Promesso» disse Rand, per calmarlo. «Ma non hai motivo d’essere terrorizzato da lei. Vieni con me. Almeno avrai un pasto caldo.»
«Forse. Forse.» Fain si strofinò il mento, pensieroso. «Domani, hai detto? Nel frattempo... non dimenticherai la promessa? Non le farai sapere...»
«Non lascerò che ti faccia del male» disse Rand, domandandosi però come avrebbe potuto impedire a una Aes Sedai di fare quel che voleva.
«Non mi farà del male» disse Fain. «No, non lo farà. Non glielo permetterò.» Come un lampo saettò davanti a Rand e si tuffò tra la folla.
«Mastro Fain!» gli gridò dietro Rand. «Aspetta!»
Uscì di corsa nella via, appena in tempo per scorgere il mantello lacero scomparire dietro l’angolo. Continuando a chiamarlo, corse dietro di lui e girò l’angolo. Ebbe solo il tempo di vedere la schiena di un uomo, prima di andarci a sbattere contro: tutt’e due finirono nel fango, l’uno sull’altro.
«Non guardi dove corri?» brontolò una voce, da sotto. Rand si tirò in piedi, sorpreso.
«Mat?»
Mat si alzò a sedere, con sguardo minaccioso, grattando via fango dal mantello. «Diventi proprio un uomo di città. Dormi fino a mezzogiorno e pesti la gente.» Si tirò in piedi, si fissò le mani sporche di fango, brontolò e se le pulì sul mantello. «Non immagini nemmeno chi ho appena visto.»
«Padan Fain» disse Rand.
«Padan Fa... Come lo sai?»
«Lo inseguivo, ma mi è sfuggito.»
«Allora i Tro...» Mat s’interruppe, guardingo, ma i passanti non li degnarono di un’occhiata. Rand fu lieto di vedere che l’amico aveva imparato un po’ di prudenza. «Allora non l’hanno catturato» riprese Mat. «Chissà perché se n’è andato da Emond’s Field, così senza una parola. Probabilmente si è messo a correre e non si è più fermato finché non è arrivato qui. Ma perché correva anche un minuto fa?»
Rand scosse la testa e subito rimpianse d’averlo fatto: pareva che volesse staccarsi dal collo. «So solo che ha paura di... di lady Alys.» Non era facile stare sempre attenti a quel che si diceva. «Non vuole che lei sappia che lui è qui. Mi ha fatto promettere di non dirglielo.»
«Per quel che mi riguarda, il suo segreto è al sicuro» disse Mat. «Vorrei che lei non avesse saputo nemmeno dov’ero io.»
«Mat?» La gente continuava a passare senza badare ai due ragazzi, ma Rand abbassò ugualmente la voce e si sporse più vicino. «Mat, hai avuto un incubo, stanotte? Un uomo che uccideva un topo?»