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Si chiese anche se era distesa sulla strada, nel qual caso non poteva certo restare dov'era perché un cavallo al galoppo o un carro come quello che aveva tracciato i solchi presenti nel suolo sarebbe potuto passarle addosso a causa del buio.

Rifletté però che le campane non suonavano nel cuore della notte, e inoltre la luce che filtrava attraverso le sue palpebre chiuse era troppo intensa perché potesse essere buio. Se però i rintocchi che sentiva erano quelli dei vespri, avrebbe fatto bene ad alzarsi e a darsi un'occhiata intorno prima del cadere della notte.

Si rimise di nuovo in ascolto, percependo il canto degli uccelli, lo stormire degli alberi, il frusciare costante prodotto da qualcosa. Poi la campana si arrestò lasciando nell'aria l'eco del proprio suono, e nella quiete maggiore lei poté udire un rumore soffocato, come un respiro trattenuto o lo spostarsi di un piede sul terriccio morbido… un rumore che proveniva da molto vicino.

Si tese, sperando che il suo movimento involontario non fosse trapelato attraverso il mantello, e attese ancora senza però che le giungessero all'orecchio un rumore di passi o un suono di voci. E nel frattempo anche gli uccelli avevano smesso di cantare. Qualcuno o qualcosa le si era fermato accanto, ne era certa perché poteva udire il suo respiro e avvertire il suo alito su di lei. Quel qualcosa rimase là per molto tempo, immobile, e dopo quello che parve un intervallo infinito Kivrin si rese conto che stava trattenendo il fiato; esalando lentamente il respiro cercò di ascoltare ancora ma non riuscì a udire altro che il pulsare del proprio sangue. Tratto un profondo respiro emise un gemito e un sospiro.

Nulla. Quel qualcosa non si mosse e non emise un solo suono, dimostrando che il Signor Dunworthy aveva avuto ragione: fingere di essere privi di sensi non era il modo di fare il proprio ingresso in un secolo in cui i lupi si aggiravano ancora nelle foreste. E anche gli orsi. Senza preavviso, gli uccelli ripresero a cantare, il che significava che la presenza non era quella di un lupo o che l'animale si era allontanato. Kivrin protese nuovamente l'udito e infine aprì gli occhi.

Poteva vedere soltanto la propria manica che le ricadeva sul naso, ma il semplice atto di sollevare le palpebre accentuò il dolore alla testa. Richiudendo gli occhi emise un altro gemito e si mosse, spostando il braccio quanto bastava per poter vedere qualcosa di più quando avesse risollevato le palpebre. Con un terzo gemito riaprì gli occhi.

Non c'era nessuno in piedi accanto a lei e non era il cuore della notte… in alto la fetta di cielo visibile attraverso il groviglio di rami era tinta di un pallido azzurro grigiastro. Kivrin si sollevò a sedere e si guardò intorno.

— La gente di quell'epoca — le aveva detto come prima cosa il Signor Dunworthy, quando lei aveva espresso il proprio desiderio di recarsi nel medioevo, — era sporca e piena di malattie, la feccia della storia, e quanto prima si libererà di qualsiasi idea da favola al riguardo tanto meglio sarà.

Aveva avuto ragione, naturalmente, ma adesso lei si trovava in un bosco da favola: insieme al carro e a tutto il resto era andata a finire in un piccolo spazio aperto troppo ristretto e ombroso per poter essere definito una radura; alberi alti e spessi s'inarcavano su di esso.

Kivrin era distesa sotto una quercia che conservava qualche foglia dentellata in alto fra i rami; la pianta era piena di nidi, anche se i loro occupanti avevano smesso nuovamente di cantare, spaventati dai suoi movimenti, e il folto sottobosco era composto da un alto strato di foglie secche e di erbacce avvizzite che avrebbe dovuto essere morbido ma non lo era. L'oggetto pungente che le aveva indolenzito il fianco risultò essere il cappello di una ghianda. Alcuni funghi bianchi con la testa costellata di chiazze rosse crescevano a ridosso delle radici della quercia e come ogni altra cosa nella radura… i tronchi degli alberi, il carro, l'edera… scintillavano per la condensa prodotta dall'alone della rete.

Era ovvio che lì non c'era mai stato nessuno, così com'era parimenti evidente che quella non era la strada fra Oxford e Bath e che nessun viandante sarebbe passato di lì entro 1,6 ore… o in qualsiasi altro momento. A quanto pareva, le mappe medievali di cui si erano serviti per determinare il sito della transizione si erano rivelate imprecise come aveva detto il Signor Dunworthy e di certo la strada era più a nord di quanto fosse risultato sulle carte mentre lei si trovava a sud di essa, nella Foresta di Wychwood.

— Accerti immediatamente la sua esatta posizione nello spazio e nel tempo — aveva detto il Signor Gilchrist, ma ora Kivrin si chiese come poteva farlo… chiedendo informazioni agli uccelli? Erano troppo in alto rispetto a lei perché potesse vedere a quali specie appartenevano e del resto l'estinzione di massa non era cominciata fino agli Anni Settanta del ventesimo secolo, quindi a meno che si trattasse di piccioni migratori o di dodi la loro presenza non avrebbe comunque indicato un particolare tempo o luogo.

— Sono arrivata — disse, poi s'interruppe perché se avesse riferito che era apparsa nel cuore di un bosco invece che sulla strada fra Oxford e Bath questo avrebbe soltanto confermato il parere del Signor Dunworthy, e cioè che il Signor Gilchrist non aveva mai saputo quello che stava facendo e che lei non era capace di prendersi cura di sé. Subito dopo ricordò però che questo non avrebbe avuto nessuna importanza, perché Dunworthy non avrebbe sentito il rapporto fino a quando lei non fosse tornata indietro sana e salva.

Se fosse tornata indietro sana e salva, cosa che non avrebbe fatto se si fosse trovata ancora in quel bosco al cadere della notte. Alzatasi in piedi, si guardò intorno, ma nel bosco le era impossibile determinare se era primo mattino o tardo pomeriggio e probabilmente non avrebbe potuto determinarlo neppure dalla posizione del sole nel cielo una volta che fosse riuscita a vedere bene il cielo. Il Signor Dunworthy le aveva detto che a volte chi viaggiava nel tempo rimaneva confuso al riguardo fino al suo rientro e le aveva anche fatto imparare a orientarsi servendosi delle ombre, ma per poterlo fare aveva bisogno di sapere che ora era, senza contare che non aveva tempo da sprecare chiedendosi quali fossero le diverse direzioni. Doveva trovare il modo di uscire di lì, perché ormai la foresta era quasi completamente in ombra.

Non si scorgeva traccia di una strada e neppure di un sentiero. Kivrin girò intorno al carro e alle scatole alla ricerca di un'apertura fra gli alberi e le parve che la vegetazione fosse un po' più rada dalla parte che lei supponeva essere l'ovest; quando però si avviò in quella direzione, guardandosi alle spalle ogni pochi passi per essere certa di non perdere di vista lo sbiadito telo azzurro che copriva il carro, si accorse che si trattava soltanto di una macchia di betulle, i cui tronchi bianchi davano un'illusione di spaziosità. Tornata al carro si incamminò nella direzione opposta, anche se da quella parte il bosco appariva più cupo.

La strada distava appena un centinaio di metri. Scavalcato un tronco caduto e attraversato un boschetto di salici piangenti, Kivrin si affacciò su di essa. Una strada maestra, così l'avevano definita alla Sezione Statistiche, ma non aveva l'aspetto di una strada maestra e neppure di una strada… sembrava più un sentiero da percorrere a piedi o addirittura una pista tracciata da qualche mucca vagante. Dunque erano queste le meravigliose strade maestre dell'Inghilterra del quattrodicesimo secolo, grazie alle quali il commercio si stava diffondendo e gli orizzonti si stavano aprendo.

La strada era larga appena quanto bastava per il passaggio di un carro, anche se era evidente che dei carri l'avevano percorsa… o almeno un carro, dal momento che il terreno era segnato da profondi solchi sui quali si erano posate le foglie secche. Pozzanghere di acqua scura si erano formate in alcuni tratti all'interno dei solchi e lungo il bordo della strada, e su alcune di esse si poteva notare una sottilissima crosta di ghiaccio.