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Colin si avvicinò di corsa e lei sollevò di nuovo il bastone.

— È tutto a posto — ripeté Dunworthy. — Questo è Colin, e anche lui è stato vaccinato. Siamo venuti per portarti a casa.

Lei lo guardò fisso per un intero minuto, mentre la neve continuava a cadere intorno a loro.

— Per portarmi a casa — disse, con voce priva di espressione, e abbassò lo sguardo sulla tomba ai propri piedi, più corta e stretta delle altre, come se contenesse un bambino.

Dopo un altro minuto risollevò lo sguardo su Dunworthy, e ancora non c'era espressione sul suo volto.

Sono arrivato troppo tardi, pensò lui, con disperazione, guardandola ferma lì nella casacca insanguinata, circondata da tombe. L'hanno già crocifissa.

— Kivrin… — cominciò.

— Dovete aiutarmi — affermò lei, lasciando cadere la pala, poi si girò e si allontanò verso la chiesa.

— È certo che sia lei? — chiese Colin.

— Sì — rispose Dunworthy.

— Cosa le ha preso?

Sono arrivato troppo tardi, pensò Dunworthy, appoggiandosi alla spalla di Colin per cercare sostegno. Non mi perdonerà mai.

— Cosa c'è che non va? — domandò il ragazzo. — Si sente male di nuovo?

— No — garantì lui, ma attese ancora un momento prima di ritrarre la mano.

Kivrin si era fermata sulla soglia della chiesa e si stava tenendo di nuovo il fianco. Con un brivido, Dunworthy si disse che alla fine era stata contagiata. Aveva la peste.

— Stai male? — le chiese.

— No — rispose lei, ritraendo la mano e guardandola come se si aspettasse di vederla coperta di sangue. — Lui mi ha dato un calcio — spiegò, cercando di aprire la porta della chiesa, ma poi sussultò e lasciò che lo facesse Colin. — Credo che mi abbia rotto alcune costole.

Colin spinse il pesante battente di legno ed entrarono. Dunworthy sbatté le palpebre per l'improvvisa oscurità, cercando di imporre ai suoi occhi di adeguarsi ad essa. Dalle strette finestre non filtrava la minima luce, anche se era in grado di stabilire dove si trovavano; nella penombra poteva distinguere una sagoma bassa e massiccia più avanti sulla sinistra… un corpo?… e le masse più scure dei primi pilastri, ma più oltre non si scorgeva nulla. Accanto a lui, Colin stava frugando nelle tasche dei suoi calzoni sformati.

Più avanti una fiamma tremolò, senza illuminare nulla tranne se stessa, e si spense.

— Aspettate un momento — disse Colin, e accese una torcia tascabile.

Il suo bagliore accecò Dunworthy, avvolgendo ogni cosa al di fuori del suo raggio di luce nello stesso fitto buio che si era trovato di fronte appena entrato. Colin diresse la luce in giro per la chiesa, sulle pareti dipinte, sui massicci pilastri, sul pavimento ineguale, e sull'oggetto che Dunworthy aveva creduto essere un corpo. Si trattava di una tomba.

— Lei è laggiù — disse Dunworthy, indicando verso l'altare, e Colin si affrettò a dirigere da quella parte il fascio luminoso.

Kivrin era inginocchiata accanto a qualcuno che giaceva sul pavimento davanti alla parete divisoria. Quando si avvicinò maggiormente, Dunworthy vide che si trattava di un uomo, con le gambe e la parte inferiore del corpo nascoste da una coperta purpurea e con le grandi mani incrociate sul petto. Kivrin stava cercando di accendere una candela con un carbone ardente, ma ormai la candela si era consumata trasformandosi in un deforme moncherino di cera e rifiutava di restare accesa. Quando Colin si avvicinò con la torcia, la ragazza parve accogliere con gratitudine la luce che piovve su di loro.

— Mi dovete aiutare con Roche — disse, socchiudendo gli occhi per il chiarore improvviso, e si protese verso l'uomo per prendergli la mano.

Crede che sia ancora vivo, pensò Dunworthy.

— È morto questa mattina — aggiunse però subito Kivrin, in un tono piatto e asettico.

Colin diresse la luce della torcia sul corpo: le mani dell'uomo erano quasi purpuree come la coperta sotto quell'illuminazione violenta, ma il volto era pallido e assolutamente sereno.

— Chi era, un cavaliere? — chiese il ragazzo, in tono pieno di meraviglia.

— No — rispose Kivrin. — Un santo.

E posò su quella del morto la propria mano callosa, insanguinata e con le unghie nere di sporcizia.

— Mi dovete aiutare — ripeté.

— Aiutarti in che cosa? — volle sapere Colin.

Vuole che l'aiutiamo a seppellirlo, si disse Dunworthy, ma non possiamo farlo.

L'uomo che lei aveva chiamato Roche era enorme, tanto che doveva aver torreggiato su Kivrin quando era ancora vivo, e anche se fossero riusciti a scavare la tomba loro tre non ce l'avrebbero mai fatta a portarvelo, e Kivrin non avrebbe mai permesso che gli mettessero una corda intorno al collo per trascinarlo nel cortile della chiesa.

— Aiutarti in cosa? — insistette Colin. — Non abbiamo molto tempo.

Non ne avevano affatto, perché era già tardo pomeriggio e non sarebbero mai riusciti a trovare la strada fino al sito con il buio e non era possibile prevedere per quanto tempo Badri avrebbe potuto mantenere l'apertura intermittente della rete. Aveva parlato di ventiquattr'ore, ma aveva dato l'impressione di non essere in condizione di resistere neppure per due e ne erano già passate otto. Inoltre il terreno era gelato, Kivrin aveva le costole rotte e gli effetti delle aspirine stavano svanendo… Dunworthy stava cominciando a rabbrividire di nuovo, lì nella chiesa gelida.

Non lo possiamo seppellire, pensò, guardando Kivrin inginocchiata accanto al corpo, ma come posso dirglielo, considerato che sono arrivato troppo tardi per fare qualsiasi altra cosa?

— Kivrin — chiamò.

Lei batté un colpetto gentile sulla mano rigida.

— Non saremo in grado di seppellirlo — affermò, con voce calma e inespressiva. — Abbiamo dovuto mettere Rosemund nella tomba preparata per lui, dopo che il castaldo… — S'interruppe e sollevò lo sguardo su Dunworthy. — Questa mattina ho tentato di scavarne un'altra, ma il terreno è troppo duro e ho spezzato la pala. Ho recitato per lui la messa per i morti, e ho cercato di suonare la campana.

— Ti abbiamo sentita — intervenne Colin. — È stato così che ti abbiamo trovata.

— Avrei dovuto suonare nove colpi, ma ho dovuto fermarmi — spiegò, portandosi la mano al fianco come se stesse ricordando il dolore provato. — Dovete aiutarmi a suonare gli altri.

— Perché? — chiese Colin. — Non credo che sia rimasto qualcuno vivo che possa sentire.

— Non ha importanza — ribatté Kivrin, fissando Dunworthy.

— Non abbiamo tempo — insistette il ragazzo. — Fra poco sarà buio, e il sito è…

— La suonerò io — lo interruppe Dunworthy. — Tu resta qui — aggiunse, anche se Kivrin non aveva neppure accennato ad alzarsi, — e io suonerò la campana.

E si avviò lungo la navata.

— Si sta facendo buio — gli ricordò Colin, correndo per raggiungerlo, con la luce della sua torcia che danzava follemente sui pilastri e sul pavimento ad ogni movimento, — e lei stesso ha detto di non sapere per quanto tempo sarebbero riusciti a tenere aperta la rete. Aspetti un momento.

Dunworthy aprì la porta della chiesa, socchiudendo gli occhi per proteggersi dalla luminosità che si aspettava di trovare, ma mentre erano nella chiesa si era fatto più buio, il cielo era coperto e c'era odore di neve nell'aria. Con passo rapido attraversò il cortile della chiesa fino alla torre campanaria, mentre la mucca che Colin aveva visto quando erano entrati nel villaggio oltrepassava il cancello del portico e si avviava fra le tombe per raggiungerli, con gli zoccoli che sprofondavano nella neve.