La campana rintoccò una volta e poi tacque… e Kivrin si bloccò con la cinghia del sottopancia in mano, aspettandosi di sentirla suonare ancora. Sapeva che i colpi previsti per una donna erano tre, e sapeva anche perché Roche si era fermato. Un colpo per un bambino. Oh, Rosemund.
Legò la cinghia del sottopancia e cominciò a riempire le bisacce: erano troppo piccole per contenere tutto, quindi avrebbe dovuto legare anche i sacchi sul dorso del mulo. Riempì una sacca di tela grezza con l'avena per nutrire l'animale, prelevandola dalla mangiatoia con entrambe le mani e rovesciandone in abbondanza sul pavimento sporco, poi cercò di prendere una rozza corda che pendeva dallo stallo del pony di Agnes per poterla chiudere. La corda era però legata allo stallo con un nodo che non riusciva a sciogliere, quindi alla fine si arrese e corse fino alla cucina per prendere un coltello, e al ritorno portò con sé i sacchi di viveri che aveva preparato in precedenza.
Staccata la corda dallo stallo la divise in pezzi più piccoli e si avvicinò all'asino, che stava cercando di praticare con i denti un buco nella sacca dell'avena, gli legò sul dorso tutti i bagagli con i pezzi di corda e lo condusse nel cortile e attraverso la piazza, fino alla chiesa.
Roche non si vedeva da nessuna parte. Kivrin doveva ancora andare a prendere le coperte e le candele, ma voleva riporre prima i sacramenti nelle sacche. Cibo, avena, coperte, candele. Aveva dimenticato qualcosa?
Roche apparve sulla soglia della chiesa, senza però avere nulla in mano.
— Dove sono i sacramenti? — gli chiese Kivrin.
Lui non rispose e per un momento si appoggiò allo stipite, con la faccia improntata alla stessa espressione che aveva avuto quando era venuto a dirle della morte del castaldo.
Ma sono morti tutti, pensò Kivrin. Non c'è più nessuno che possa morire.
— Devo suonare la campana — disse quindi Roche, e si avviò attraverso il cortile in direzione della torre campanaria.
— L'hai già suonata — replicò Kivrin. — Non c'è tempo per la campana a morto perché dobbiamo metterci in viaggio per la Scozia. — Legò quindi l'asino al cancello del porticato, annaspando con le dita gelate per serrare la corda, e gli corse dietro, afferrandolo per una manica. — Cosa c'è?
Lui si girò quasi con violenza, e l'espressione del suo volto la spaventò: sembrava un tagliagole, un assassino.
— Devo suonare la campana dei vespri — ribatté, e si liberò dalla sua stretta con un gesto energico.
Oh, no, pensò Kivrin.
— È appena mezzogiorno — insistette. — Non è ancora ora dei vespri.
È soltanto stanco, si disse. Siamo entrambi stanchi e non riusciamo a pensare in maniera coerente.
— Vieni, padre — aggiunse, prendendolo per una manica. — Dobbiamo andare, in modo da essere fuori del bosco prima di notte.
— L'ora è passata e non ho ancora suonato i vespri — replicò Roche. — Lady Imeyne si infurierà.
Oh no, gemette interiormente Kivrin. Oh no, oh no.
— Li suonerò io — si offrì, parandosi davanti a lui per fermarlo. — Adesso devi andare in casa e riposare.
— Si fa buio — ribatté il prete, con rabbia, poi aprì la bocca come per inveire ancora e da essa scaturì una grande boccata di vomito e di sangue che andò a spruzzare il giustacuore di Kivrin.
Oh no oh no oh no.
Roche guardò con espressione sconcertata il giustacuore macchiato e ogni traccia di violenza svanì dal suo volto.
— Sono malato? — chiese, continuando a fissare il giustacuore sporco di sangue.
— No — rispose Kivrin. — Ma sei stanco e devi riposare.
Lo guidò verso la chiesa, e quando lui incespicò ebbe un momento di panico, perché sapeva che se fosse caduto non sarebbe riuscita a farlo rialzare. Lo aiutò ad entrare, tenendo puntellata la pesante porta con la schiena, e lo fece sedere con le spalle addossate alla parete.
— Temo che il lavoro mi abbia stancato — mormorò Roche, appoggiando la testa contro le pietre. — Dormirò un poco.
— Sì, dormi — approvò Kivrin, e non appena lui ebbe chiuso gli occhi tornò di corsa al maniero per prendere delle coperte e una trapunta per preparargli un pagliericcio. Quando però entrò di volata in chiesa il prete non era più dove lo aveva lasciato. — Roche! — chiamò, cercando di vedere qualcosa nella navata buia. — Dove sei?
Non ebbe risposta e saettò di nuovo fuori tenendo le coperte ancora stette al petto, ma lui non era nella torre campanaria e neppure nel cortile della chiesa e non poteva essere arrivato fino alla casa, quindi tornò di corsa in chiesa e risalì la navata, trovandolo infine inginocchiato ai piedi della statua di Santa Caterina.
— Devi sdraiarti — disse, stendendo per terra le coperte.
Lui obbedì senza protestare e si lasciò mettere la trapunta piegata sotto la testa.
— Ho la peste, vero? — domandò, fissandola.
— No — ribatté Kivrin, coprendolo. — Sei stanco, ecco tutto. Cerca di dormire.
Roche si girò su un fianco, dandole le spalle, ma dopo pochi momenti si sollevò a sedere con il volto atteggiato di nuovo ad un'espressione omicida e gettò via le coltri.
— Devo suonare la campana dei vespri — dichiarò, in tono di accusa, e Kivrin riuscì a stento a impedirgli di alzarsi in piedi. Quando tornò a riassopirsi strappò delle strisce dal bordo logoro del proprio giustacuore e gli legò le mani alla parete divisoria.
— Non gli fare questo — si mise a mormorare ininterrottamente, senza neppure rendersene conto. — Ti prego! Ti prego! Non gli fare questo.
— Di certo Dio deve dare ascolto ad una così fervente preghiera — osservò Roche, aprendo gli occhi per un momento, poi scivolò in un sonno più profondo e tranquillo.
Kivrin corse fuori e scaricò l'asino, slegandolo, quindi raccolse i sacchi del cibo e la lanterna e portò il tutto in chiesa. Roche stava ancora dormendo, perciò lei sgusciò di nuovo fuori e attraversò di corsa il cortile per attingere un secchio d'acqua dal pozzo.
Al suo ritorno le parve che Roche stesse continuando a dormire, ma mentre gli bagnava la fronte con un pezzo di tessuto strappato dal panno dell'altare lui parlò senza aprire gli occhi.
— Temevo che te ne fossi andata — mormorò.
— Non andrei mai in Scozia senza di te — replicò Kivrin, pulendogli la bocca sporca di sangue.
— Non in Scozia — la corresse Roche. — In cielo.
Kivrin mangiò un po' di pane stantio e di formaggio prelevati dal sacco e cercò di dormire, ma faceva troppo freddo… tanto che quando Roche si girò nel sonno e sospirò lei poté vedere la nuvoletta del suo alito.
Preparò un fuoco, raccogliendo i bastoni che formavano una delle staccionate delle capanne e accumulandoli davanti alla parete divisoria, ma il solo risultato fu che la chiesa si riempì di fumo, anche tenendo le porte aperte. Roche tossì e vomitò ancora… questa volta quasi soltanto sangue. Kivrin spense il fuoco ed effettuò altri due affrettati viaggi per prendere tutte le pellicce e le coperte che riuscì a trovare e usarle per creare una specie di nido.
Durante la notte Roche ebbe la febbre alta e si liberò scalciando delle coperte, gridando nel delirio parole che per lo più Kivrin non riusciva a comprendere.
— Va', che tu sia maledetto! — gridò una volta il prete, distintamente, e più volte ripeté. — Si sta facendo buio.
Kivrin prese le candele che si trovavano sull'altare e sulla sommità della parete divisoria e le dispose davanti alla statua di Santa Caterina; quando i vaneggiamenti di Roche a proposito del buio divennero particolarmente violenti lei accese le candele e tornò a coprirlo, e questo parve calmarlo un poco.
Poi la febbre si fece ancora più alta e lui si mise a battere i denti nonostante le coltri che Kivrin gli aveva accumulato addosso; sembrava che la sua carnagione si stesse già scurendo a causa delle emorragie sottocutanee.