Non appena l'ebbe mandata fuori, essa cercò subito di tornare dentro, da Kivrin.
— No — ingiunse lei. — Non c'è tempo.
Andò comunque nel solaio del granaio per gettare in cortile un po' di fieno con il forcone, poi raccolse le sue cose e tornò di corsa in chiesa.
Roche era scivolato in uno stato d'incoscienza e il suo corpo si era rilassato: le grandi gambe erano allargate e le mani giacevano lungo i fianchi con il palmo verso l'alto, una posizione che lo faceva apparire come un uomo atterrato da un pugno. Il respiro era affaticato e tremante, come se stesse rabbrividendo.
Kivrin lo coprì con il mantello purpureo.
— Sono tornata, Roche — disse, battendogli un colpetto sul braccio, ma lui non mostrò in nessun modo di averla sentita.
Kivrin tolse la protezione alla lanterna e si servì di essa per accendere tutte le candele. Ne restavano soltanto tre di quelle di Lady Imeyne, e per di più erano per metà consumate, quindi accese anche le torce e la grossa candela di sego nella nicchia della statua di Santa Caterina, e le avvicinò maggiormente a Roche in modo da poter vedere bene.
— Devo toglierti la calzamaglia — disse, piegando all'indietro le coltri, — perché è necessario incidere il bubbone.
Slacciò quindi la calzamaglia logora e lui non sussultò al suo tocco, limitandosi ad emettere un piccolo gemito gorgogliante.
Kivrin cercò di tirare la calzamaglia per sfilarla dai fianchi, e quando non ci riuscì provò a tirare dalla parte delle gambe, ma il tessuto era troppo aderente. Avrebbe dovuto tagliarlo.
— Dovrò tagliare la tua calzamaglia — spiegò, strisciando fin dove aveva lasciato il coltello e la bottiglia del vino. — Cercherò di non ferirti.
Annusò il contenuto della bottiglia, ne bevve un piccolo sorso e si mise a tossire. Bene, era vino vecchio e molto alcoolico. Ne versò un poco sulla lama del coltello, l'asciugò sulla propria gamba e versò ancora un po' di vino, badando a lasciarne una scorta per disinfettare il bubbone dopo averlo inciso.
— Beata — mormorò Roche, spostando la mano verso l'inguine.
— Va tutto bene — lo rassicurò Kivrin, afferrando una delle gambe della calzamaglia e tagliando la lana. — So che fa male, ma devo incidere il bubbone — aggiunse tirando con entrambe le mani il tessuto logoro che, fortunatamente, si spaccò con un suono acuto.
Roche contrasse le ginocchia.
— No, no, lascia giù le gambe — disse Kivrin, esercitando pressione su di esse. — Devo incidere il bubbone.
Non riuscì a smuoverlo e per il momento ci rinunciò, finendo di lacerare la calzamaglia e protendendosi sotto la gamba per aprire fino in cima il tessuto e poter vedere il bubbone: era grosso il doppio di quello di Rosemund ed era completamente nero. Avrebbe dovuto essere stato inciso già da ore, anzi da giorni.
— Roche, per favore, abbassa le gambe — insistette, appoggiandosi su di esse con tutto il suo peso. — Devo aprire il bubbone.
Non ci fu risposta e del resto non era certa che il prete potesse rispondere, che i suoi muscoli non si stessero contraendo spontaneamente com'era successo al segretario; d'altro canto non poteva però aspettare che lo spasmo cessasse, perché il bubbone si poteva rompere da un istante all'altro.
Si ritrasse per un istante e si inginocchiò accanto ai piedi di Roche, protendendo la mano con il coltello sotto le gambe piegate. Roche gemette e lei abbassò appena la lama, spostandola con cautela in avanti fino a toccare il bubbone.
Il calcio la colse in pieno nelle costole e la scagliò a terra, facendole sfuggire di mano il coltello che scivolò rumorosamente sul pavimento di pietra. Il colpo le tolse il fiato e lei rimase distesa per un momento, annaspando per respirare e traendo lunghe e sibilanti boccate d'aria. Quando cercò di sedersi avvertì una fitta di dolore al fianco destro e ricadde all'indietro con una mano stretta intorno alle costole.
Roche stava urlando, il suono lungo e assurdo di un animale torturato. Serrandosi la mano contro le costole Kivrin rotolò lentamente sul fianco sinistro, in modo da poterlo vedere. Il prete si stava dondolando avanti e indietro come un bambino, continuando a urlare e con le gambe ritratte protettivamente contro il petto, una posizione che le impediva di vedere il bubbone.
Kivrin cercò di sollevarsi, puntellandosi con la mano contro il pavimento di pietra fino a trovarsi parzialmente seduta e spostando poi la mano verso di sé in modo da potersi sorreggere con entrambe e alzarsi in ginocchio… e dalle labbra le sfuggirono piccole grida tremanti che si persero in mezzo alle urla di Roche. Consapevole che il prete doveva averle rotto qualche costola, si sputò su una mano, timorosa di vedere del sangue.
Quando infine riuscì a issarsi in ginocchio rimase ferma per un intero minuto, lottando contro il dolore.
— Mi dispiace — sussurrò. — Non volevo farti del male.
Strisciò quindi in avanti sulle ginocchia, usando il braccio destro come una stampella, uno sforzo che la costrinse a respirare più profondamente e le provocò una fitta al fianco ad ogni respiro.
— Va tutto bene, Roche — sussurrò. — Sto arrivando. Sto arrivando.
Al suono della sua voce il prete tirò su spasmodicamente le gambe e Kivrin si spostò intorno a lui in modo da portarsi fra il suo corpo e il muro laterale, lontano dalla sua portata. Quando aveva scalciato, Roche aveva rovesciato una delle candele di Santa Caterina che adesso giaceva accanto a lui in una polla giallastra, continuando ad ardere. Kivrin la raddrizzò e posò una mano sulla spalla di Roche.
— Zitto — disse. — Va tutto bene. Adesso sono qui.
Il prete smise di urlare.
— Mi dispiace — ripeté Kivrin, chinandosi su di lui. — Non volevo farti male. Intendevo soltanto incidere il bubbone.
Roche contrasse ancora di più le ginocchia. Raccolta la candela rossa, Kivrin la tenne sopra il suo fianco nudo e riuscì a scorgere il bubbone, nero e duro alla luce della fiamma: non lo aveva neppure perforato. Sollevando ulteriormente il lume cercò di vedere dove fosse andato a finire il coltello, che era scivolato in direzione della tomba, ma per quanto protendesse la candela in quella direzione nella speranza di cogliere un riflesso di luce sul metallo non trovò nulla.
Cercò allora di alzarsi, muovendosi con cautela per evitare il dolore, ma la fitta la colse prima che potesse sollevarsi del tutto e lei si piegò in avanti con un grido.
— Cosa c'è? — chiese Roche. Aveva gli occhi aperti e un po' di sangue all'angolo della bocca, il che indusse Kivrin a domandarsi se si fosse morso la lingua mentre urlava. — Ti ho fatto del male?
— No — garantì Kivrin, tornando a inginocchiarsi accanto a lui. — No, non mi hai fatto del male.
E gli pulì la bocca con la manica del proprio giustacuore.
— Devi… — cominciò a dire lui, e quando aprì la bocca ne uscì dell'altro sangue. Inghiottì a fatica e riprese: — Devi dire le preghiere per i morenti.
— No, non morirai — ribatté Kivrin, asciugandogli ancora la bocca, — ma devo incidere il bubbone prima che si rompa da solo.
— Non lo fare — mormorò Roche, e Kivrin non comprese se avesse inteso dirle di non incidere il bubbone o di non andarsene. Aveva i denti serrati e il sangue filtrava in mezzo ad essi.
Kivrin si lasciò scivolare in ginocchio, badando a non gridare, e gli adagiò la testa sul proprio grembo.
— Requiem aeternam dona eis — recitò Roche, emettendo un suono gorgogliante, — et lux perpetua.
Il sangue gli stava filtrando dal palato. Kivrin gli sistemò la testa più in alto appallottolando sotto di essa il mantello purpureo e continuò a pulirgli la bocca e il mento con il proprio giustacuore. Esso era però ormai intriso di sangue, quindi lei si protese a prendere l'alba del prete.