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Un progetto, una speranza. Nulla più.

Tradurre l’idea in realtà richiese molto lavoro, ma per fortuna c’era ancora abbastanza gente desiderosa di lanciarsi nell’impresa. L’astronave fu progettata, costruita e provata. Gli imprevisti si susseguirono uno dopo l’altro, mentre l’equipaggio veniva cercato ai quattro angoli del pianeta. E, alla fine, venne trovato. Il viaggio poteva cominciare, e presto cominciò. Un mondo abitabile andava localizzato. I perfezionatissimi strumenti di ricerca lavoravano a ciclo continuo, anche in quel momento.

E, una volta trovato il pianeta adatto, l’astronave sarebbe atterrata, fondando una piccola colonia che doveva sopravvivere e ampliarsi nonostante le difficoltà e le incognite del nuovo ambiente.

Già. Quello era il grande “se”.

— Aveva promesso di insegnarmi a giocare! — esclamò Noelle mettendo il broncio. Si trovavano di nuovo nella sala comune della Wotan, uno dei due centri della vita sociale di bordo: l’altro erano le terme. In quel momento si stavano giocando quattro partile con i soliti giocatori: Elliot e Sylvia, Roy e Paco, David e Heinz, Michael e Bruce.

Il comandante restò affascinato dall’improvviso broncio di Noelle, una cosa molto infantile, molto umana e graziosa. In quegli ultimi giorni, loro due avevano superato quell’attimo di tensione che tanto inaspettatamente aveva infiammato entrambi, riprendendo a lavorare in perfetta sintonia. Lui preparava i messaggi da trasmettere e lei li inviava a sua sorella sulla Terra, e presto dall’altro capo della linea mentale giungeva la replica: in genere si trattava delle solite cose, le notizie più interessanti, la politica, lo sport, le presunte novità delle arti e delle scienze, i saluti per questo o quel membro dell’equipaggio, gli auguri. Tutto molto leggero, amabile, vuoto, più o meno ciò che tutti si aspettavano dai benevoli, posati abitanti della Terra. E così sarebbe andata, pensò il comandante, fino a quando avrebbe funzionato il contatto mentale tra Noelle e Yvonne. Ma esisteva il rischio che un giorno le due gemelle non riuscissero più a trovarsi. In tal caso, il contatto in tempo reale tra la Terra e la Wotan sarebbe cessato per sempre. Inutile comunque preoccuparsene in quel momento, si disse; e in effetti era inutile preoccuparsene del tutto.

— Mi insegni a giocare, comandante — insistette lei. — Davvero voglio saper giocare come gli altri. So che posso imparare. Abbia fiducia in me.

— E va bene — si arrese il comandante. Dopotutto giocare a Go poteva essere positivo per lei, aiutarla a passare il tempo, distrarla e rilassarla. Noelle viveva una vita tanto rinchiusa, molto più della loro: si aggirava tutto il giorno in totale tranquillità per i soliti tre, quattro posti dell’astronave, del tutto priva di relazioni intime tranne quella con sua sorella Yvonne, distante sedici anni-luce e sempre più lontana a ogni momento che passava. Qualche distrazione non poteva farle che bene.

E quindi mosse verso i tavoli. Noelle sussultò per un attimo quando la mano del comandante le sfiorò il braccio, poi si rilassò e lasciò che lui la conducesse attraverso la stanza.

— Ecco, questa è una scacchiera di Go — spiegò il comandante, prendendole la mano per poi premerla dolcemente sulla scacchiera e portarla dapprima verso l’alto, poi verso i lati in modo da darle un’idea delle dimensioni e delle fattezze della tavola. — Ci sono diciannove linee orizzontali e diciannove linee verticali. Le pedine vengono giocate sulle intersezioni delle linee, non sui quadrati che formano le linee — chiarì, facendole percorrere le linee con il polpastrello dell’indice per farle capire lo schema di intersezione. Le linee erano stampate con uno spesso strato di inchiostro verde, ed evidentemente lei poteva distinguerne il leggero rilievo sulla tavola lucida. Infatti dopo qualche istante lui le lasciò la mano e lei continuò senza difficoltà a percorrere la trama delle linee.

— Sulla tavola ci sono nove punti, chiamati stelle — riprese lui dopo qualche istante. — Servono per orientarsi. — E di nuovo le prese l’indice per farle toccare ognuno dei nove punti. Anche quelli erano in leggero rilievo rispetto alla scacchiera solo per lo strato sottile di inchiostro verde, tuttavia era evidente che Noelle riusciva a trovarli come se fossero stati molto più sporgenti. Tutti i suoi sensi erano eccezionalmente acuti per compensare quello che le mancava. — Le linee verticali vengono numerate in questo senso, da uno a diciannove, e le linee orizzontali in quest’altro usando le lettere dell’alfabeto, dalla A alla T perché la I non viene utilizzata. In questo modo abbiamo delle coordinate per definire la posizione sulla scacchiera. Per esempio, questo è B10, questo D18, questo J4… riesce a seguirmi? — Posò l’indice di Noelle su ognuna delle posizioni appena nominate. Lei rispose con un cenno e un sorriso. Ciononostante il comandante non poté evitare di sentirsi vagamente ridicolo. Come poteva Noelle pretendere di memorizzare l’intera scacchiera? Era un’impresa impossibile. Ma Noelle continuò imperturbata a spostare la mano lungo i bordi della scacchiera, mormorando: — A, B, C, D…

Gli altri smisero di giocare. Tutti i presenti avevano occhi solo per loro. Lui le portò la mano verso le pedine, quelle nere di pietra levigata e quelle bianche simili a conchiglie. Poi le insegnò il modo più classico di posizionare le pedine, prendendole cioè tra due dita per poi posarle seccamente sull’intersezione prescelta. La mano di Noelle era lunga e affusolata, con la pelle estremamente liscia e fresca: fragile di aspetto, ma ferma e senza un tremito. — I giocatori più forti usano le pedine bianche. Il nero muove per primo. I giocatori sistemano le pedine a turno, una per volta, sulle intersezioni libere. Una volta piazzate, le pedine non si possono muovere, e quando vengono mangiate si tolgono dalla scacchiera.

— Capisco. E qual è l’obbiettivo del gioco?

— Controllare l’area più grande possibile con il minor numero di pedine. Si possono costruire dei muri, oppure si può circondare qualche pedina dell’avversario mentre questi cerca di circondare le tue. Il punteggio si calcola contando il numero di intersezioni vuote dentro la tua area, più il numero di pedine avversarie mangiate.

Lei ascoltava ogni cosa senza mai distogliere gli occhi da lui con intensa, esagerata attenzione, ancora più toccante in quanto pareva del tutto sprecata. Metodicamente il comandante le spiegò i fondamenti del gioco: la sistemazione delle pedine, la presa del territorio, la cattura delle pedine avversarie. Per farle capire meglio si aiutava con situazioni simulate, definendo ad alta voce la posizione delle pedine che sistemava. — Il nero tiene le intersezioni P12, Q12, R12, S12, T12. Mi segue? — Noelle rispose con un cenno di assenso. — Altre pedine nere sono su P11, P10, P9, Q8, R8, S8, T8. Ci siamo? — Un altro cenno di assenso. — I bianchi invece sono su… — In qualche modo lei era in grado di visualizzare la scacchiera; ripeteva gli schemi dopo di lui e poneva domande che rivelavano quanto velocemente afferrasse il gioco.

Lui si chiese perché fosse così sorpreso. Aveva sentito di ciechi che giocavano a scacchi, e anche molto bene: chiaramente erano in grado di memorizzare la scacchiera e di aggiornare la situazione a ogni mossa. Noelle doveva possedere lo stesso tipo di memoria ipertrofica. Tuttavia Go era ben diverso dagli scacchi. In una partita di scacchi il primo a muovere aveva a disposizione venticinque possibilità di apertura. Go invece presentava già all’inizio ben trecentosessantuno mosse possibili. Probabilmente una partita di Go aveva più possibilità di sviluppo di quanti fossero gli atomi nell’universo. La scacchiera degli scacchi aveva solo sessantaquattro caselle, sulle quali si schierava un numero di pezzi in costante calo, diminuendo e semplificando le opzioni a disposizione di ciascun giocatore a mano a mano che gli originali trentadue pezzi si riducevano a una manciata. Anche le pedine di Go calavano gradualmente a mano a mano che il gioco procedeva, ma la loro assenza rendeva più complessi gli schemi sulla scacchiera durante lo svolgimento della battaglia per la conquista del territorio.