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A quel punto, venne loro spiegato che l’astronave stava ancora viaggiando a velocità inferiore a quella della luce. Ci voleva tempo anche nel non-spazio per raggiungere la piena velocità. Il processo di accelerazione nel non-spazio, quantitativamente e concettualmente diverso da ciò che tutti concepivano come accelerazione nello spazio normale, era pur sempre un processo graduale. Ci sarebbero voluti diversi giorni per raggiungere la velocità della luce.

La velocità della luce! Magica barriera! Noelle ne aveva sentito parlare così spesso: la velocità limite, il confine tra il noto e l’ignoto. Cosa sarebbe accaduto al ponte telepatico una volta raggiunto e superato quel limite? Nessuno ne aveva idea. Noelle sapeva solo che, nonostante l’enorme distanza e la velocità a cui procedevano, Yvonne era sempre lì con lei, e questo la rassicurava profondamente. Tuttavia non poteva fare a meno di domandarsi che cosa sarebbe successo una volta che fossero penetrati nel reame in cui persino i fotoni non potevano entrare. Cosa poteva succedere? Come avrebbe fatto senza Yvonne? Nessuno aveva discusso queste cose con lei. E lei ne sapeva così poco! Aveva sempre sentito che viaggiare a velocità superiore a quella della luce comportava paradossi, mistero, bizzarria. C’era qualcosa di proibito in quel passo. “Era contro la Legge.”

Quella terribile tensione riprese a farsi sentire. La grande prova, quella che sperava essere l’ultima, si avvicinava. Non aveva mai avuto tanta paura. Superare la barriera della velocità della luce poteva rendere impossibile alla sua mente l’aggancio con l’universo normale, e quindi il contatto con Yvonne. Chi poteva dirlo? Non aveva mai viaggiato a simili velocità prima di allora. Ancora una volta si ritrovò a riflettere sulla possibilità di un’esistenza senza Yvonne. Mai, in vita sua, si era sentita tanto sola. Ma adesso… adesso…

E di nuovo le sue paure si rivelarono insensate. A un certo punto di quel giorno, raggiunsero la sinistra barriera, superandola senza neppure un annuncio formale. Dopotutto, si trovavano fuori dallo spazio einsteniano fin dal primo momento di quel viaggio: perché, dunque, dare importanza al superamento di una barriera significativa solo per l’universo normale quando ne erano già fuori, tranquillamente in viaggio nel non-spazio?

Quel giorno qualcuno le raccontò che stavano già muovendosi più veloci della luce. La sensazione che le dava la costante presenza di Yvonne non si era attenuata neppure per un attimo.

“È accaduto” riferì a sua sorella. “Eccoci qui, ovunque sia” aggiunse, e repentina come sempre arrivò la risposta di Yvonne. Un caldo, ridente saluto dal vecchio continuum. Il segnale rimase nitido e forte, nitido e forte, fino all’arrivo del primo disturbo.

Hesper sapeva di trovarsi nel suo elemento. Il comandante aveva convocato tutto l’equipaggio in riunione, e lui avrebbe illustrato a tutti le sue ultime scoperte e le sue conclusioni. Dopo molte esitazioni, il comandante si era finalmente deciso a compiere quel passo, dichiarare che Hesper aveva trovato tracce di un pianeta, in effetti di diversi pianeti, che sembravano offrire le condizioni per stabilire una colonia. Si imponeva quindi di far rotta su quello più promettente con l’intenzione di effettuare uno sbarco.

Per quanto grande fosse la Wotan, più grande di qualunque altra nave spaziale, non aveva uno spazio sufficientemente grande per una riunione di cinquanta persone. L’equipaggio dovette stiparsi nel corridoio centrale del ponte superiore, invadendo anche parte della sala comune. La gente si alzava in punta di piedi, si sporgeva dalle porte, si arrampicava sulle paratie del corridoio.

In piedi davanti a loro con le braccia vanitosamente conserte, Hesper esibì il più largo dei sorrisi, una cosa di prima grandezza, e disse: — La galassia è piena di pianeti. Questo non rappresenta certo un segreto. In ogni caso, noi abbiamo determinati limiti fisici che ci obbligano a cercare un pianeta con la massa appropriata, una distanza dal suo sole adatta alla vita, una composizione atmosferica a noi compatibile, e…

— Cerchiamo di arrivare al punto — lo interruppe Sieglinde, una donna muscolosa dai modi bruschi, con grandi seni e capelli color miele riuniti in una lunga treccia. Era famosa per la sua impazienza. — Questa roba la conosciamo tutti.

Il brillante sorriso di Hesper svanì all’istante. Il piccolo uomo la fulminò con lo sguardo.

— Sieglinde, forse per lei ho trovato il pianeta giusto: è simile a Giove ma molto più grosso e ha una temperatura media superficiale di seimila gradi Kelvin, sotto una cappa di gas corrosivi spessa cinquantamila chilometri. Io credo che ci si troverà bene. Per quanto riguarda noi…

Sieglinde continuò a borbottare, ma Hesper non si scostò di una virgola dal discorso che aveva in mente. Senza sosta, ricordò a tutti che il pianeta che cercavano doveva appartenere alla rara categoria di pianeti su cui l’uomo poteva vivere. Questa cosmica banalità venne esposta in termini di temperatura, attrazione gravitazionale, composizione atmosferica, costante solare e tutto il resto; dopodiché Hesper chiese se qualcuno aveva qualche domanda da fare.

Sieglinde borbottò qualcosa di poco rispettoso in tedesco; Zena le diede una leggera gomitata dicendole di tacere, mentre tutti gli altri attesero in silenzio.

— Bene — riprese Hesper. — Adesso vi spiegherò cosa ho trovato.

Un leggero tocco su uno degli interruttori e le luci del corridoio si abbassarono, mentre un’immagine tridimensionale comparve dietro Hesper, proprio all’altezza di un nodo d’intersezione tra due linee di comunicazione.

Era l’immagine di una stella e del suo sistema solare, si affrettò a spiegare Hesper. Per il momento la stella non aveva un nome, ma solo una sigla di catalogazione di otto caratteri. Pertanto, non era mai stata scoperta dagli antichi astronomi arabi che, mille o duemila anni prima, avevano dato a Rigel, Mizar, Aldebaran e altre stelle i loro poetici nomi. Solo una sigla per quella stella, dunque; tuttavia aveva diversi pianeti: sei, per la precisione.

— Questo è il pianeta A — annunciò. Gli stipati viaggiatori contemplavano intanto un grosso punto luminoso con sei altri puntini in orbita attorno. Hesper spiegò che quella non era una vera e propria immagine telescopica, ma solo una decodificazione analogica della realtà. Una simulazione assolutamente realistica, si affrettò a rassicurare. Gli strumenti grazie a cui riusciva ad alzare il velo del non-spazio erano accurati quanto un telescopio. — Quella che vedete è una stella della sequenza principale di tipo G2. Le stelle di tipo G e forse quelle di tipo K sono le sole stelle che possono risultare accettabili per noi. È un sole giallo arancio, molto simile quindi al sole della Terra. Il pianeta per noi interessante è il quarto pianeta.

Un altro vago movimento del dito indice, e uno dei sei piccoli puntini prese a espandersi occupando interamente l’immagine: un globo verde dalle accese tinte blu, rosse e marrone con grossi cumuli bianchi sparsi qua e là. Tutto sommato l’aspetto era familiare. — Eccolo qua. Vi ricordo ancora una volta che non è un’immagine telescopica, ma una sofisticata elaborazione dei dati in nostro possesso. Ha un diametro molto vicino a quello della Terra. La distanza dal suo sole è tale che ai poli devono esservi delle moderate calotte di ghiaccio. L’esame spettrografico indica un forte calo della luminosità a 0,76 micron, cioè la lunghezza d’onda a cui le molecole di ossigeno assorbono le irradiazioni. Anche l’azoto è presente, più che sulla Terra, ma comunque entro i nostri livelli di tollerabilità. Ho anche indicazione della presenza di acqua e, visto che la distanza di questo pianeta dalla sua stella è tale da consentire all’acqua di esistere in superficie, è logico supporre che vi siano mari, laghi e fiumi. Ora, notate anche la brusca banda di assorbimento all’estremità più lontana dello spettro visibile: 0,7 micron circa. La luce verde viene riflessa, la rossa e la blu assorbite. Questa è una caratteristica della clorofilla.